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I testi fondamentali della poetica manzoniana sono quattro:
1) Lettre à M. Chauvet (1820), contro le critiche di quel letterato al suo Carmagnola
Manzoni dimostra l'irragionevolezza delle cosiddette unità aristoteliche di tempo e di luogo.
Afferma che la storia è l'unica fonte della poesia. In cosa si distinguono le due attività? La storia ci dà dei fatti che non sono, per cosìdire, conosciuti se non nel loro aspetto esteriore, quello cioè che gli uomini hanno fatto, ma non ci dice i pensieri, i sentimenti che li hanno accompagnati: «tutto ciò che la volontà ha di vigoroso e di misterioso, la sventura di religioso e di profondo» (Basti pensare al «5 maggio», che è storia di un'anima, di ciò che non si racconta nella vita di Napoleone).
Il poeta deve «contemplare la storia», la sua invenzione che «deve accordarsi con la realtà», anzi «è un modo di costringerla a venir fuori, a rivelarsi».
Ogni azione storica, poi, se la si considera attentamente si distingue per «un carattere particolare, quasi individuale, qualcosa di esclusivo e proprio che la fa ciò che essa è»: il poeta deve saper cogliere questo carattere, né può accettare il concetto di imitazione senza contraddire questa realtà esclusiva e propria di ogni soggetto.
Ciò significa che l'arte è creazione.
L'imitazione e le regole, che si vogliono far risalire ad Aristotele, sono in realtà un'invenzione dei grammatici, che hanno abusato del suo nome per «instaurare un deplorabile dispotismo».
Il fine che il poeta deve proporsi è di «interessare per mezzo della verità: non domandiamogli altro che di essere vero».
E la verità è, come dice nelle OMC, «questo fondo comune di miseria e di debolezza», «ciò che è e ciò che dovrebbe essere, il bene e il male» (Prefazione).
Noi viviamo in una sfera di idee e di realtà «stretta ed agitata»: il poeta ci sollevi a una sfera «di idee calme e grandi», agli ideali di giustizia e di bontà che ciascuno porta in sé.
2) Lettera sul Romanticismo (1823), Manzoni vi si professa romantico, mostra perché è arrivato alla professione romantica
La lettera consta di due parti, una negativa e una positiva.
I - Nella prima, più sviluppata, Manzoni dice che il Romanticismo rifiuta l'imitazione servile (che non vuol dire lettura) dei classici; le unità di tempo e di luogo, la mitologia. I due primi rifiuti sono giustificati dal fatto che sono «irragionevoli», se si tien conto che ogni opera poetica è «organismo» che ha una sua legge intrinseca; il concetto di imitazione, cui neppure i classici stessi si sono attenuti, presuppone inoltre un'unica forma di bellezza. La mitologia, infine, va rifiutata perché «è cosa assurda parlare del falso (gli dei bugiardi) riconosciuto come si parla del vero; cosa fredda, perché non richiama nessuna idea o sentimento a un mondo che è cristiano; cosa noiosa il ricantare questo freddo e questo falso». Non c'è quindi una giustificazione poetica per la mitologia, perché non sono più credenze comuni, spontanee, naturali: nel Cristianesimo la mitologia «sta a pigione». Le ragioni più profonde di questo rifiuto vanno comunque ricercate nel rifiuto della concezione pagana della vita rispecchiata nella mitologia («L'uso delle favole è idolatria»).
II - La parte positiva, che «non è così precisa ed estesa», consiste in questo:
a) la poesia (prima edizione) deve porsi per oggetto il vero (vero storico-morale): comportamento degli uomini nella storia;
b) per fine l'utile (utile inteso anch'esso in senso morale: ideale di giustizia e di bene);
c) per mezzo l'interessante, non solo per «le persone più dotte», ma «per un maggior numero di lettori».
Il soggetto interessante dovrà essere tratto «dalle memorie e dalle impressioni giornaliere della vita», cioè dal reale, non da ciò che è fittizio: il diletto della mente può nascere solo dall'assenso dato a un'idea. Il falso è perciò fonte di «diletto instabile e temporario». In queste teorie romantiche che Manzoni fa sue, egli vede una tendenza cristiana: infatti il sistema romantico «proponendo anche in termini generalissimi il vero, l'utile, il buono, il ragionevole, concorre, se non altro con le parole, allo scopo del Cristianesimo, non lo contraddice almeno nei termini».
3) Del Romanzo Storico (scritto in varie fasi dal 1830 al 1845)
In questo discorso diventa problema ciò che nella Lettera allo Chauvet appariva come una conclusione pacifica (arte = sintesi di vero storico e di vero morale o poetico): è possibile esprimere il vero non solo attraverso i fatti storici, ma anche attraverso l'invenzione poetica? È possibile costruire un romanzo storico aggiungendo ai fatti conosciuti elementi di invenzione?
L'intento di Manzoni in questo discorso è dimostrare che ciò è impossibile e assurdo, in quanto:
a) l'unico VERO con carattere di storicità è quello POSITIVO, e il VEROSIMILE di per sé non vi aggiunge nulla;
b) è impossibile fondere STORIA e INVENZIONE, VERO e VEROSIMILE.
Pare che Manzoni sconfessi completamente il suo romanzo storico (I Promessi Sposi). In realtà la riflessione teorica lo aiuta a dare un senso più chiaro alla propria opera; se davvero fosse stato persuaso che storia e invenzione sono incompatibili, perché si sarebbe tanto preoccupato di offrire, durante la stesura dello studio sul romanzo storico, un romanzo storico come capolavoro di poesia? (Del Romanzo Storico: 1830-1845; edizione definitiva Promessi Sposi: 1840-1841).
Inoltre nel discorso stesso «Del Romanzo Storico» il Manzoni rinvia al «Dialogo dell'Invenzione» come allo sviluppo ultimo del suo pensiero in proposito.
4) Dialogo dell'Invenzione (1841-1845)
Costituisce la risposta alla domanda: il vero e il bello, il vero storico e l'immaginazione, il bello morale e il bello artistico, tutto insomma, dove trova la sua ragionevolezza? La risposta di Manzoni si articola così:
a) l'artista, a differenza dello storico, «inventa», ma come? in che senso?
b) L'«inventare» (dal latino «invenio») significa «trovare» qualcosa che preesiste, rendere presente alla mente un'idea che era prima che l'artista la rivelasse;
c) ma queste idee dov'erano prima di venire in mente all'artista? Nella mente di Dio. L'inventare assume il significato di scoperta del VERO DI DIO.
d) Così anche il romanzo storico non è più unione di storia = vero e di invenzione = falso, bensì di VERO STORICO e di VERO POETICO, cioè di due tipi di vero, di due modi di rappresentare il vero.
Dietro questo dialogo sta una riflessione filosofica e teologica (vedi rapporto con Rosmini): il poeta non è un genio soggettivo, che crea da sé la verità, ma è invece, attraverso gli strumenti della fantasia e dell'intuizione, un servo della verità, che già c'è ed è la verità di Dio. In questo senso il romanzo storico è l'unione di due modi di esprimere la verità, una verità che Manzoni riconosce come non sua, ma esistente prima di sé. Il compito del poeta è quindi un servizio alla verità : far emergere, dentro la rappresentazione di un fatto, di una vicenda, la verità di quel fatto, di quella vicenda, che è la verità dell'intera realtà dell'uomo e della storia. Nelle tragedie e nei Promessi Sposi questa intuizione, qui espressa teoricamente, cerca di farsi comprensibile a tutti (anche se, nelle tragedie, la verità fatica a intervenire nella storia umana, a emergere in tutta la sua grandezza, e sembra come schiacciata, sconfitta, a differenza dei Promessi Sposi).