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L'osteria della "Luna piena" a Milano (capitolo XIV)
(...) Renzo aveva parlato
tanto di cuore, che, fin dall'esordio, una gran parte de' radunati, sospeso ogni
altro discorso, s'eran rivoltati a lui; e, a un certo punto, tutti erano
divenuti suoi uditori. Un grido confuso d'applausi, di - bravo: sicuro: ha
ragione: è vero pur troppo, - fu come la risposta dell'udienza. Non mancaron
però i critici. - Eh sì, - diceva uno: - dar retta a' montanari: son tutti
avvocati -; e se ne andava. - Ora, - mormorava un altro, - ogni scalzacane vorrà
dir la sua; e a furia di metter carne a fuoco, non s'avrà il pane a buon
mercato; che è quello per cui ci siam mossi - Renzo però non sentì che i
complimenti; chi gli prendeva una mano, chi gli prendeva l'altra. - A rivederci
a domani. - Dove? - Sulla piazza del duomo. - Va bene. - Va bene. - E qualcosa
si farà. - E qualcosa si farà.
- Chi è di questi bravi
signori che voglia insegnarmi un'osteria, per mangiare un boccone, e dormire da
povero figliuolo? - disse Renzo.
- Son qui io a servirvi,
quel bravo giovine, - disse uno, che aveva ascoltata attentamente la predica, e
non aveva detto ancor nulla. - Conosco appunto un'osteria che farà al caso
vostro; e vi raccomanderò al padrone, che è mio amico, e galantuomo.
- Qui vicino? - domandò
Renzo. - Poco distante, - rispose colui.
La radunata si sciolse; e
Renzo, dopo molte strette di mani sconosciute, s'avviò con lo sconosciuto,
ringraziandolo della sua cortesia.
- Di che cosa? - diceva
colui: - una mano lava l'altra, e tutt'e due lavano il viso. Non siamo obbligati
a far servizio al prossimo? - E camminando, faceva a Renzo, in aria di discorso,
ora una, ora un'altra domanda. - Non per sapere i fatti vostri; ma voi mi parete
molto stracco: da che paese venite?
- Vengo, - rispose Renzo,
- fino, fino da Lecco.
- Fin da Lecco? Di Lecco
siete?
- Di Lecco... cioè del
territorio.
- Povero giovine! per
quanto ho potuto intendere da' vostri discorsi, ve n'hanno fatte delle grosse.
- Eh! caro il mio
galantuomo! ho dovuto parlare con un po' di politica, per non dire in pubblico i
fatti miei; ma... basta, qualche giorno si saprà; e allora... Ma qui vedo
un'insegna d'osteria; e, in fede mia, non ho voglia d'andar più lontano.
- No, no! venite dov'ho
detto io, che c'è poco, - disse la guida: - qui non istareste bene.
- Eh, sì; - rispose il
giovine: - non sono un signorino avvezzo a star nel cotone: qualcosa alla buona
da mettere in castello, e un saccone, mi basta: quel che mi preme è di trovar
presto l'uno e l'altro. Alla provvidenza! - Ed entrò in un usciaccio, sopra il
quale pendeva l'insegna della luna piena. - Bene; vi condurrò qui, giacché vi
piace così, - disse lo sconosciuto; e gli andò dietro.
- Non occorre che
v'incomodiate di più, - rispose Renzo. - Però, - soggiunse, - se venite a bere
un bicchiere con me, mi fate piacere.
- Accetterò le vostre
grazie, - rispose colui; e andò, come più pratico del luogo, innanzi a Renzo,
per un cortiletto; s'accostò all'uscio che metteva in cucina, alzò il
saliscendi, aprì, e v'entrò col suo compagno. Due lumi a mano, pendenti da due
pertiche attaccate alla trave del palco, vi spandevano una mezza luce. Molta
gente era seduta, non però in ozio, su due panche, di qua e di là d'una tavola
stretta e lunga, che teneva quasi tutta una parte della stanza: a intervalli,
tovaglie e piatti; a intervalli, carte voltate e rivoltate, dadi buttati e
raccolti; fiaschi e bicchieri per tutto. Si vedevano anche correre berlinghe,
reali e parpagliole, che, se avessero potuto parlare, avrebbero detto
probabilmente: «noi eravamo stamattina nella ciotola d'un fornaio, o nelle
tasche di qualche spettatore del tumulto, che tutt'intento a vedere come
andassero gli affari pubblici, si dimenticava di vigilar le sue faccendole
private». Il chiasso era grande. Un garzone girava innanzi e indietro, in
fretta e in furia, al servizio di quella tavola insieme e tavoliere: l'oste era
a sedere sur una piccola panca, sotto la cappa del cammino, occupato, in
apparenza, in certe figure che faceva e disfaceva nella cenere, con le molle; ma
in realtà intento a tutto ciò che accadeva intorno a lui. S'alzò, al rumore
del saliscendi; e andò incontro ai soprarrivati. Vista ch'ebbe la guida, «maledetto!»
disse tra sé: «che tu m'abbia a venir sempre tra' piedi, quando meno ti
vorrei!» Data poi un'occhiata in fretta a Renzo, disse, ancora tra sé: «non
ti conosco; ma venendo con un tal cacciatore, o cane o lepre sarai: quando avrai
detto due parole, ti conoscerò». Però, di queste riflessioni nulla trasparve
sulla faccia dell'oste, la quale stava immobile come un ritratto: una faccia
pienotta e lucente, con una barbetta folta, rossiccia, e due occhietti chiari e
fissi.
- Cosa comandan questi
signori? - disse ad alta voce.
- Prima di tutto, un buon
fiasco di vino sincero, - disse Renzo: - e poi un boccone -. Così dicendo, si
buttò a sedere sur una panca, verso la cima della tavola, e mandò un - ah! -
sonoro, come se volesse dire: fa bene un po' di panca, dopo essere stato, tanto
tempo, ritto e in faccende. Ma gli venne subito in mente quella panca e quella
tavola, a cui era stato seduto l'ultima volta, con Lucia e con Agnese: e mise un
sospiro. Scosse poi la testa, come per iscacciar quel pensiero: e vide venir
l'oste col vino. Il compagno s'era messo a sedere in faccia a Renzo. Questo gli
mescé subito da bere, dicendo: per bagnar le labbra -. E riempito l'altro
bicchiere, lo tracannò in un sorso.
- Cosa mi darete da
mangiare? - disse poi all'oste.
- Ho dello stufato: vi
piace? - disse questo.
- Sì, bravo; dello
stufato.
- Sarete servito, - disse
l'oste a Renzo; e al garzone: - servite questo forestiero -. E s'avviò verso il
cammino. - Ma... - riprese poi, tornando verso Renzo: - ma pane, non ce n'ho in
questa giornata.
- Al pane, - disse Renzo,
ad alta voce e ridendo, - ci ha pensato la provvidenza -. E tirato fuori il
terzo e ultimo di que' pani raccolti sotto la croce di san Dionigi, l'alzò per
aria, gridando: - ecco il pane della provvidenza!
All'esclamazione, molti si
voltarono; e vedendo quel trofeo in aria, uno gridò: - viva il pane a buon
mercato!
- A buon mercato? - disse
Renzo: - gratis et amore.
- Meglio, meglio.
- Ma, - soggiunse subito
Renzo, - non vorrei che lor signori pensassero a male. Non è ch'io l'abbia,
come si suol dire, sgraffignato. L'ho trovato in terra; e se potessi trovare
anche il padrone, son pronto a pagarglielo.
- Bravo! bravo! -
gridarono, sghignazzando più forte, i compagnoni; a nessuno de' quali passò
per la mente che quelle parole fossero dette davvero.
- Credono ch'io canzoni;
ma l'è proprio così, - disse Renzo alla sua guida; e, girando in mano quel
pane, soggiunse: - vedete come l'hanno accomodato; pare una schiacciata: ma ce
n'era del prossimo! Se ci si trovavan di quelli che han l'ossa un po' tenere,
saranno stati freschi -. E subito, divorati tre o quattro bocconi di quel pane,
gli mandò dietro un secondo bicchier di vino; e soggiunse: - da sé non vuol
andar giù questo pane. Non ho avuto mai la gola tanto secca. S'è fatto un gran
gridare!
- Preparate un buon letto
a questo bravo giovine, - disse la guida: - perché ha intenzione di dormir qui.
- Volete dormir qui? -
domandò l'oste a Renzo, avvicinandosi alla tavola.
- Sicuro, - rispose Renzo:
- un letto alla buona; basta che i lenzoli sian di bucato; perché son povero
figliuolo, ma avvezzo alla pulizia.
- Oh, in quanto a questo!
- disse l'oste: andò al banco, ch'era in un angolo della cucina; e ritornò,
con un calamaio e un pezzetto di carta bianca in una mano, e una penna
nell'altra.
- Cosa vuol dir questo? -
esclamò Renzo, ingoiando un boccone dello stufato che il garzone gli aveva
messo davanti, e sorridendo poi con maraviglia, soggiunse: - è il lenzolo di
bucato, codesto?
L'oste, senza rispondere,
posò sulla tavola il calamaio e la carta; poi appoggiò sulla tavola medesima
il braccio sinistro e il gomito destro; e, con la penna in aria, e il viso
alzato verso Renzo, gli disse: - fatemi il piacere di dirmi il vostro nome,
cognome e patria.
- Cosa? - disse Renzo: -
cosa c'entrano codeste storie col letto?
- Io fo il mio dovere, -
disse l'oste, guardando in viso alla guida: - noi siamo obbligati a render conto
di tutte le persone che vengono a alloggiar da noi: nome e cognome, e di che
nazione sarà, a che negozio viene, se ha seco armi... quanto tempo ha di
fermarsi in questa città... Son parole della grida.
Prima di rispondere, Renzo
votò un altro bicchiere: era il terzo; e d'ora in poi ho paura che non li
potremo più contare. Poi disse: - ah ah! avete la grida! E io fo conto d'esser
dottor di legge; e allora so subito che caso si fa delle gride.
- Dico davvero, - disse
l'oste, sempre guardando il muto compagno di Renzo; e, andato di nuovo al banco,
ne levò dalla cassetta un gran foglio, un proprio esemplare della grida; e
venne a spiegarlo davanti agli occhi di Renzo.
- Ah! ecco! - esclamò
questo, alzando con una mano il bicchiere riempito di nuovo, e rivotandolo
subito, e stendendo poi l'altra mano, con un dito teso, verso la grida: - ecco
quel bel foglio di messale. Me ne rallegro moltissimo. La conosco quell'arme; so
cosa vuol dire quella faccia d'ariano, con la corda al collo - (In cima alle
gride si metteva allora l'arme del governatore; e in quella di don Gonzalo
Fernandez de Cordova, spiccava un re moro incatenato per la gola). - Vuol dire,
quella faccia: comanda chi può, e ubbidisce chi vuole. Quando questa faccia avrà
fatto andare in galera il signor don... basta, lo so io; come dice in un altro
foglio di messale compagno a questo; quando avrà fatto in maniera che un
giovine onesto possa sposare una giovine onesta che è contenta di sposarlo,
allora le dirò il mio nome a questa faccia; le darò anche un bacio per di più.
Posso aver delle buone ragioni per non dirlo, il mio nome. Oh bella! E se un
furfantone, che avesse al suo comando una mano d'altri furfanti: perché se
fosse solo... - e qui finì la frase con un gesto: - se un furfantone volesse
saper dov'io sono, per farmi qualche brutto tiro, domando io se questa faccia si
moverebbe per aiutarmi. Devo dire i fatti miei! Anche questa è nuova. Son
venuto a Milano per confessarmi, supponiamo; ma voglio confessarmi da un padre
cappuccino, per modo di dire, e non da un oste.
L'oste stava zitto, e
seguitava a guardar la guida, la quale non faceva dimostrazione di sorte veruna.
Renzo, ci dispiace il dirlo, tracannò un altro bicchiere, e proseguì: - ti
porterò una ragione, il mio caro oste, che ti capaciterà. Se le gride che
parlan bene, in favore de' buoni cristiani, non contano; tanto meno devon
contare quelle che parlan male. Dunque leva tutti quest'imbrogli, e porta in
vece un altro fiasco; perché questo è fesso - Così dicendo, lo percosse
leggermente con le nocca, e soggiunse: - senti, senti, oste, come crocchia.
Anche questa volta, Renzo
aveva, a poco a poco, attirata l'attenzione di quelli che gli stavan d'intorno:
e anche questa volta, fu applaudito dal suo uditorio.
- Cosa devo fare? - disse
l'oste, guardando quello sconosciuto, che non era tale per lui.
- Via, via, - gridaron
molti di que' compagnoni: - ha ragione quel giovine: son tutte angherie,
trappole, impicci: legge nuova Oggi, legge nuova. In mezzo a queste grida, lo
sconosciuto, dando all'oste un'occhiata di rimprovero, per quell'interrogazione
troppo scoperta, disse: - lasciatelo un po' fare a suo modo: non fate scene.
- Ho fatto il mio dovere,
- disse l'oste, forte; e poi tra se: «ora ho le spalle al muro». E
prese la carta, la penna, il calamaio, la grida, e il fiasco voto, per
consegnarlo al garzone.
- Porta del medesimo, -
disse Renzo: - che lo trovo galantuomo; e lo metteremo a letto come l'altro,
senza domandargli nome e cognome, e di che nazione sarà, e cosa viene a fare, e
se ha a stare un pezzo in questa città.
- Del medesimo, - disse
l'oste al garzone, dandogli il fiasco; e ritornò a sedere sotto la cappa del
cammino. «Altro che lepre!» pensava, istoriando di nuovo la cenere: «e in che
mani sei capitato! Pezzo d'asino! se vuoi affogare, affoga; ma l'oste della luna
piena non deve andarne di mezzo, per le tue pazzie».
Renzo ringraziò la guida,
e tutti quegli altri che avevan prese le sue parti. - Bravi amici! - disse: -
ora vedo proprio che i galantuomini si dànno la mano, e si sostengono - Poi,
spianando la destra per aria sopra la tavola, e mettendosi di nuovo in
attitudine di predicatore, - gran cosa, - esclamò, - che tutti quelli che
regolano il mondo, voglian fare entrar per tutto carta, penna e calamaio! Sempre
la penna per aria! Grande smania che hanno que' signori d'adoprar la penna!
- Ehi, quel galantuomo di
campagna! volete saperne la ragione? - disse ridendo uno di que' giocatori, che
vinceva.
- Sentiamo un poco, -
rispose Renzo.
- La ragione è questa, -
disse colui: - che que' signori son loro che mangian l'oche, e si trovan lì
tante penne, tante penne, che qualcosa bisogna che ne facciano.
Tutti si misero a ridere,
fuor che il compagno che perdeva.
- To', - disse Renzo: - è
un poeta costui. Ce n'è anche qui de' poeti: già ne nasce per tutto. N'ho una
vena anch'io, e qualche volta ne dico delle curiose... ma quando le cose vanno
bene.
Per capire questa
baggianata del povero Renzo, bisogna sapere che, presso il volgo di Milano, e
del contado ancora più, poeta non significa già, come per tutti i
galantuomini, un sacro ingegno, un abitator di Pindo, un allievo delle Muse;
vuol dire un cervello bizzarro e un po' balzano, che, ne' discorsi e ne' fatti,
abbia più dell'arguto e del singolare che del ragionevole. Tanto quel
guastamestieri del volgo è ardito a manomettere le parole, e a far dir loro le
cose più lontane dal loro legittimo significato! Perché, vi domando io, cosa
ci ha che fare poeta con cervello balzano?
- Ma la ragione giusta la
dirò io, - soggiunse Renzo: - è perché la penna la tengon loro: e così, le
parole che dicon loro, volan via, e spariscono; le parole che dice un povero
figliuolo, stanno attenti bene, e presto presto le infilzan per aria, con quella
penna, e te le inchiodano sulla carta, per servirsene, a tempo e luogo. Hanno
poi anche un'altra malizia; che, quando vogliono imbrogliare un povero
figliuolo, che non abbia studiato, ma che abbia un po' di... so io quel che
voglio dire... - e, per farsi intendere, andava picchiando, e come arietando la
fronte con la punta dell'indice; - e s'accorgono che comincia a capir
l'imbroglio, taffete, buttan dentro nel discorso qualche parola in latino, per
fargli perdere il filo, per confondergli la testa. Basta; se ne deve smetter
dell'usanze! Oggi, a buon conto, s'è fatto tutto in volgare, e senza carta,
penna e calamaio; e domani, se la gente saprà regolarsi, se ne farà anche
delle meglio: senza torcere un capello a nessuno, però; tutto per via di
giustizia.
Intanto alcuni di que'
compagnoni s'eran rimessi a giocare, altri a mangiare, molti a gridare; alcuni
se n'andavano; altra gente arrivava; l'oste badava agli uni e agli altri: tutte
cose che non hanno che fare con la nostra storia. Anche la sconosciuta guida non
vedeva l'ora d'andarsene; non aveva, a quel che paresse, nessun affare in quel
luogo; eppure non voleva partire prima d'aver chiacchierato un altro poco con
Renzo in particolare. Si voltò a lui, riattaccò il discorso del pane; e dopo
alcune di quelle frasi che, da qualche tempo, correvano per tutte le bocche,
venne a metter fuori un suo progetto. - Eh! se comandassi io, - disse, - lo
troverei il verso di fare andar le cose bene.
- Come vorreste fare? -
domandò Renzo, guardandolo con due occhietti brillanti più del dovere, e
storcendo un po' la bocca, come per star più attento.
- Come vorrei fare? -
disse colui: - vorrei che ci fosse pane per tutti; tanto per i poveri, come per
i ricchi.
- Ah! così va bene, -
disse Renzo.
- Ecco come farei. Una
meta onesta, che tutti ci potessero campare. E poi, distribuire il pane in
ragione delle bocche: perché c'è degl'ingordi indiscreti, che vorrebbero tutto
per loro, e fanno a ruffa raffa, pigliano a buon conto; e poi manca il pane alla
povera gente. Dunque dividere il pane. E come si fa? Ecco: dare un bel biglietto
a ogni famiglia, in proporzion delle bocche, per andare a prendere il pane dal
fornaio. A me, per esempio, dovrebbero rilasciare un biglietto in questa forma:
Ambrogio Fusella, di professione spadaio, con moglie e quattro figliuoli, tutti
in età da mangiar pane (notate bene): gli si dia pane tanto, e paghi soldi
tanti. Ma far le cose giuste, sempre in ragion delle bocche. A voi, per esempio,
dovrebbero fare un biglietto per... il vostro nome?
- Lorenzo Tramaglino, -
disse il giovine; il quale, invaghito del progetto, non fece attenzione ch'era
tutto fondato su carta, penna e calamaio; e che, per metterlo in opera, la prima
cosa doveva essere di raccogliere i nomi delle persone.
- Benissimo, - disse lo
sconosciuto: - ma avete moglie e figliuoli?
- Dovrei bene... figliuoli
no... troppo presto... ma la moglie... se il mondo andasse come dovrebbe
andare...
- Ah siete solo! Dunque
abbiate pazienza, ma una porzione più piccola.
- È giusto; ma se presto,
come spero... e con l'aiuto di Dio.. Basta; quando avessi moglie anch'io?
- Allora si cambia il
biglietto, e si cresce la porzione. Come v'ho detto; sempre in ragion delle
bocche, - disse lo sconosciuto, alzandosi.
- Così va bene, - gridò
Renzo; e continuò, gridando e battendo il pugno sulla tavola: - e perché non
la fanno una legge così?
- Cosa volete che vi dica?
Intanto vi do la buona notte, e me ne vo; perché penso che la moglie e i
figliuoli m'aspetteranno da un pezzo.
- Un altro gocciolino, un
altro gocciolino, - gridava Renzo, riempiendo in fretta il bicchiere di colui; e
subito alzatosi, e acchiappatolo per una falda del farsetto, tirava forte, per
farlo seder di nuovo. - Un altro gocciolino: non mi fate quest'affronto.
Ma l'amico, con una
stratta, si liberò, e lasciando Renzo fare un guazzabuglio d'istanze e di
rimproveri, disse di nuovo: - buona notte, - e se n'andò. Renzo seguitava
ancora a predicargli, che quello era già in istrada; e poi ripiombò sulla
panca. Fissò gli occhi su quel bicchiere che aveva riempito; e, vedendo passar
davanti alla tavola il garzone, gli accennò di fermarsi, come se avesse qualche
affare da comunicargli; poi gli accennò il bicchiere, e con una pronunzia lenta
e solenne, spiccando le parole in un certo modo particolare, disse: - ecco,
l'avevo preparato per quel galantuomo: vedete; pieno raso, proprio da amico; ma
non l'ha voluto. Alle volte, la gente ha dell'idee curiose. Io non ci ho colpa:
il mio buon cuore l'ho fatto vedere. Ora, giacché la cosa è fatta, non bisogna
lasciarlo andare a male - Così detto, lo prese, e lo votò in un sorso.
- Ho inteso, - disse il
garzone, andandosene.
- Ah! avete inteso anche
voi, - riprese Renzo: - dunque è vero. Quando le ragioni son giuste...!
Qui è necessario tutto
l'amore, che portiamo alla verità, per farci proseguire fedelmente un racconto
di così poco onore a un personaggio tanto principale, si potrebbe quasi dire al
primo uomo della nostra storia. Per questa stessa ragione d'imparzialità,
dobbiamo però anche avvertire ch'era la prima volta, che a Renzo avvenisse un
caso simile: e appunto questo suo non esser uso a stravizi fu cagione in gran
parte che il primo gli riuscisse così fatale. Que' pochi bicchieri che aveva
buttati giù da principio, l'uno dietro l'altro, contro il suo solito, parte per
quell'arsione che si sentiva, parte per una certa alterazione d'animo, che non
gli lasciava far nulla con misura, gli diedero subito alla testa: a un bevitore
un po' esercitato non avrebbero fatto altro che levargli la sete. Su questo il
nostro anonimo fa una osservazione, che noi ripeteremo: e conti quel che può
contare. Le abitudini temperate e oneste, dice, recano anche questo vantaggio,
che, quanto più sono inveterate e radicate in un uomo, tanto più facilmente,
appena appena se n'allontani, se ne risente subito; dimodoché se ne ricorda poi
per un pezzo; e anche uno sproposito gli serve di scola.
Comunque sia, quando que'
primi fumi furono saliti alla testa di Renzo, vino e parole continuarono a
andare, l'uno in giù e l'altre in su, senza misura né regola: e, al punto a
cui l'abbiam lasciato, stava già come poteva. Si sentiva una gran voglia di
parlare: ascoltatori, o almeno uomini presenti che potesse prender per tali, non
ne mancava; e, per qualche tempo, anche le parole eran venute via senza farsi
pregare, e s'eran lasciate collocare in un certo qual ordine. Ma a poco a poco,
quella faccenda di finir le frasi cominciò a divenirgli fieramente difficile.
Il pensiero, che s'era presentato vivo e risoluto alla sua mente, s'annebbiava e
svaniva tutt'a un tratto; e la parola, dopo essersi fatta aspettare un pezzo,
non era quella che fosse al caso. In queste angustie, per uno di que' falsi
istinti che, in tante cose, rovinan gli uomini, ricorreva a quel benedetto
fiasco. Ma di che aiuto gli potesse essere il fiasco, in una tale circostanza,
chi ha fior di senno lo dica.
Noi riferiremo soltanto
alcune delle moltissime parole che mandò fuori, in quella sciagurata sera: le
molte più che tralasciamo, disdirebbero troppo; perché, non solo non hanno
senso, ma non fanno vista d'averlo: condizione necessaria in un libro stampato.
- Ah oste, oste! -
ricominciò, accompagnandolo con l'occhio intorno alla tavola, o sotto la cappa
del cammino; talvolta fissandolo dove non era, e parlando sempre in mezzo al
chiasso della brigata: - oste che tu sei! Non posso mandarla giù... quel tiro
del nome, cognome e negozio. A un figliuolo par mio...! Non ti sei portato bene.
Che soddisfazione, che sugo, che gusto... di mettere in carta un povero
figliuolo? Parlo bene, signori? Gli osti dovrebbero tenere dalla parte de' buoni
figliuoli... Senti, senti, oste; ti voglio fare un paragone... per la ragione...
Ridono eh? Ho un po' di brio, sì... ma le ragioni le dico giuste. Dimmi un
poco; chi è che ti manda avanti la bottega? I poveri figliuoli, n'è vero? dico
bene? Guarda un po' se que' signori delle gride vengono mai da te a bere un
bicchierino.
- Tutta gente che beve
acqua, - disse un vicino di Renzo.
- Vogliono stare in sé, -
soggiunse un altro, - per poter dir le bugie a dovere.
- Ah! - gridò Renzo: -
ora è il poeta che ha parlato. Dunque intendete anche voi altri le mie ragioni.
Rispondi dunque, oste: e Ferrer, che è il meglio di tutti, è mai venuto qui a
fare un brindisi, e a spendere un becco d'un quattrino? E quel cane assassino di
don...? Sto zitto, perché sono in cervello anche troppo. Ferrer e il padre Crrr...
so io, son due galantuomini; ma ce n'è pochi de' galantuomini. I vecchi peggio
de' giovani; e i giovani... peggio ancora de' vecchi. Però, son contento che
non si sia fatto sangue: oibò; barbarie, da lasciarle fare al boia. Pane; oh
questo sì. Ne ho ricevuti degli urtoni; ma... ne ho anche dati. Largo!
abbondanza! viva!... Eppure, anche Ferrer... qualche parolina in latino... siés
baraòs trapolorum... Maledetto vizio! Viva! giustizia! pane! ah, ecco le
parole giuste!... Là ci volevano que' galantuomini... quando scappò fuori quel
maledetto ton ton ton, e poi ancora ton ton ton. Non si sarebbe fuggiti, ve',
allora. Tenerlo lì quel signor curato... So io a chi penso!
A questa parola, abbassò
la testa, e stette qualche tempo, come assorto in un pensiero: poi mise un gran
sospiro, e alzò il viso, con due occhi inumiditi e lustri, con un certo
accoramento così svenevole, così sguaiato, che guai se chi n'era l'oggetto
avesse potuto vederlo un momento. Ma quegli omacci che già avevan cominciato a
prendersi spasso dell'eloquenza appassionata e imbrogliata di Renzo, tanto più
se ne presero della sua aria compunta; i più vicini dicevano agli altri:
guardate; e tutti si voltavano a lui; tanto che divenne lo zimbello della
brigata. Non già che tutti fossero nel loro buon senno, o nel loro qual si
fosse senno ordinario; ma, per dire il vero, nessuno n'era tanto uscito, quanto
il povero Renzo: e per di più era contadino. Si misero, or l'uno or l'altro, a
stuzzicarlo con domande sciocche e grossolane, con cerimonie canzonatorie.
Renzo, ora dava segno d'averselo per male, ora prendeva la cosa in ischerzo,
ora, senza badare a tutte quelle voci, parlava di tutt'altro, ora rispondeva,
ora interrogava; sempre a salti, e fuor di proposito. Per buona sorte, in quel
vaneggiamento, gli era però rimasta come un'attenzione istintiva a scansare i
nomi delle persone; dimodoché anche quello che doveva esser più altamente
fitto nella sua memoria, non fu proferito: ché troppo ci dispiacerebbe se quel
nome, per il quale anche noi sentiamo un po' d'affetto e di riverenza, fosse
stato strascinato per quelle boccacce, fosse divenuto trastullo di quelle lingue
sciagurate.
L'osteria di Gorgonzola (capitolo XVI)
(...) Già
cammin facendo, aveva disegnato di far lì un'altra fermatina, per fare un pasto
un po' più sostanzioso. Il corpo avrebbe anche gradito un po' di letto; ma
prima che contentarlo in questo, Renzo l'avrebbe lasciato cader rifinito sulla
strada. Il suo proposito era d'informarsi all'osteria, della distanza dell'Adda,
di cavar destramente notizia di qualche traversa che mettesse là, e di
rincamminarsi da quella parte, subito dopo essersi rinfrescato. Nato e cresciuto
alla seconda sorgente, per dir così, di quel fiume, aveva sentito dir più
volte, che, a un certo punto, e per un certo tratto, esso faceva confine tra lo
stato milanese e il veneto: del punto e del tratto non aveva un'idea precisa;
ma, allora come allora, l'affar più urgente era di passarlo, dovunque si fosse.
Se non gli riusciva in quel giorno, era risoluto di camminare fin che l'ora e la
lena glielo permettessero: e d'aspettar poi l'alba, in un campo, in un deserto;
dove piacesse a Dio; pur che non fosse un'osteria.
Fatti alcuni passi in
Gorgonzola, vide un'insegna, entrò; e all'oste, che gli venne incontro, chiese
un boccone, e una mezzetta di vino: le miglia di più, e il tempo gli avevan
fatto passare quell'odio così estremo e fanatico. - Vi prego di far presto,
soggiunse: - perché ho bisogno di rimettermi subito in istrada -. E questo lo
disse, non solo perché era vero, ma anche per paura che l'oste, immaginandosi
che volesse dormir lì, non gli uscisse fuori a domandar del nome e del cognome,
e donde veniva, e per che negozio... Alla larga!
L'oste rispose a Renzo,
che sarebbe servito; e questo si mise a sedere in fondo della tavola, vicino
all'uscio: il posto de' vergognosi.
C'erano in quella stanza
alcuni sfaccendati del paese, i quali, dopo aver discusse e commentate le gran
notizie di Milano del giorno avanti, si struggevano di sapere un poco come fosse
andata anche in quel giorno; tanto più che quelle prime eran più atte a
stuzzicar la curiosità, che a soddisfarla: una sollevazione, né soggiogata né
vittoriosa, sospesa più che terminata dalla notte; una cosa tronca, la fine
d'un atto piùttosto che d'un dramma. Un di coloro si staccò dalla brigata,
s'accostò al soprarrivato, e gli domandò se veniva da Milano.
- Io? - disse Renzo
sorpreso, per prender tempo a rispondere.
- Voi, se la domanda è
lecita.
Renzo, tentennando il
capo, stringendo le labbra, e facendone uscire un suono inarticolato, disse: -
Milano, da quel che ho sentito dire... non dev'essere un luogo da andarci in
questi momenti, meno che per una gran necessità.
- Continua dunque anche
oggi il fracasso? - domandò, con più istanza, il curioso.
- Bisognerebbe esser là,
per saperlo, - disse Renzo.
- Ma voi, non venite da
Milano?
- Vengo da Liscate, -
rispose lesto il giovine, che intanto aveva pensata la sua risposta. Ne veniva
in fatti, a rigor di termini, perché c'era passato; e il nome l'aveva saputo, a
un certo punto della strada, da un viandante che gli aveva indicato quel paese
come il primo che doveva attraversare, per arrivare a Gorgonzola.
- Oh! - disse l'amico;
come se volesse dire: faresti meglio a venir da Milano, ma pazienza. - E a
Liscate, - soggiunse, - non si sapeva niente di Milano?
- Potrebb'essere benissimo
che qualcheduno là sapesse qualche cosa, - rispose il montanaro: - ma io non ho
sentito dir nulla.
E queste parole le proferì
in quella maniera particolare che par che voglia dire: ho finito. Il curioso
ritornò al suo posto; e, un momento dopo, l'oste venne a mettere in tavola.
- Quanto c'è di qui
all'Adda? - gli disse Renzo, mezzo tra' denti, con un fare da addormentato, che
gli abbiam visto qualche altra volta.
- All'Adda, per passare? -
disse l'oste.
- Cioè... sì...
all'Adda.
- Volete passare dal ponte
di Cassano, o sulla chiatta di Canonica?
- Dove si sia... Domando
così per curiosità.
- Eh, volevo dire, perché
quelli sono i luoghi dove passano i galantuomini, la gente che può dar conto di
sé.
- Va bene: e quanto c'è?
- Fate conto che, tanto a
un luogo, come all'altro, poco più, poco meno, ci sarà sei miglia.
- Sei miglia! non credevo
tanto, - disse Renzo. - E già, - e già, chi avesse bisogno di prendere una
scorciatoia, ci saranno altri luoghi da poter passare?
- Ce n'è sicuro, -
rispose l'oste, ficcandogli in viso due occhi pieni d'una curiosità maliziosa.
Bastò questo per far morir tra' denti al giovine l'altre domande che aveva
preparate. Si tirò davanti il piatto; e guardando la mezzetta che l'oste aveva
posata, insieme con quello, sulla tavola, disse: - il vino è sincero?
Come l'oro, - disse
l'oste: - domandatene pure a tutta la gente del paese e del contorno, che se
n'intende: e poi, lo sentirete -. E così dicendo, tornò verso la brigata.
«Maledetti gli osti!»
esclamò Renzo tra sé: «più ne conosco, peggio li trovo». Non ostante, si
mise a mangiare con grand'appetito, stando, nello stesso tempo, in orecchi,
senza che paresse suo fatto, per veder di scoprir paese, di rilevare come si
pensasse colà sul grand'avvenimento nel quale egli aveva avuta non piccola
parte, e d'osservare specialmente se, tra que' parlatori, ci fosse qualche
galantuomo, a cui un povero figliuolo potesse fidarsi di domandar la strada,
senza timore d'esser messo alle strette, e forzato a ciarlare de' fatti suoi.
- Ma! - diceva uno: -
questa volta par proprio che i milanesi abbian voluto far davvero. Basta; domani
al più tardi, si saprà qualcosa.
- Mi pento di non esser
andato a Milano stamattina, - diceva un altro.
- Se vai domani, vengo
anch'io, - disse un terzo; poi un altro, poi un altro.
- Quel che vorrei sapere,
- riprese il primo, - è se que' signori di Milano penseranno anche alla povera
gente di campagna, o se faranno far la legge buona solamente per loro. Sapete
come sono eh? Cittadini superbi, tutto per loro: gli altri, come se non ci
fossero.
- La bocca l'abbiamo anche
noi, sia per mangiare, sia per dir la nostra ragione, - disse un altro, con voce
tanto più modesta, quanto più la proposizione era avanzata: - e quando la cosa
sia incamminata... - Ma credette meglio di non finir la frase.
- Del grano nascosto, non
ce n'è solamente in Milano, - cominciava un altro, con un'aria cupa e
maliziosa; quando sentono avvicinarsi un cavallo. Corron tutti all'uscio; e,
riconosciuto colui che arrivava, gli vanno incontro. Era un mercante di Milano,
che, andando più volte l'anno a Bergamo, per i suoi traffichi, era solito
passar la notte in quell'osteria; e siccome ci trovava quasi sempre la stessa
compagnia, li conosceva tutti. Gli s'affollano intorno; uno prende la briglia,
un altro la staffa. - Ben arrivato, ben arrivato!
- Ben trovati.
- Avete fatto buon
viaggio?
- Bonissimo; e voi altri,
come state?
- Bene, bene. Che nuove ci
portate di Milano?
- Ah! ecco quelli delle
novità, - disse il mercante, smontando, e lasciando il cavallo in mano d'un
garzone. - E poi, e poi, continuò, entrando con la compagnia, - a quest'ora le
saprete forse meglio di me.
- Non sappiamo nulla,
davvero, - disse più d'uno, mettendosi la mano al petto.
- Possibile? - disse il
mercante. - Dunque ne sentirete delle belle... o delle brutte. Ehi, oste, il mio
letto solito è in libertà? Bene: un bicchier di vino, e il mio solito boccone,
subito; perché voglio andare a letto presto, per partir presto domattina, e
arrivare a Bergamo per l'ora del desinare. E voi altri, - continuò, mettendosi
a sedere, dalla parte opposta a quella dove stava Renzo, zitto e attento, - voi
altri non sapete di tutte quelle diavolerie di ieri?
- Di ieri sì.
- Vedete dunque, - riprese
il mercante, - se le sapete le novità. Lo dicevo io che, stando qui sempre di
guardia, per frugar quelli che passano...
- Ma oggi, com'è andata
oggi?
- Ah oggi. Non sapete
niente d'oggi?
- Niente affatto: non è
passato nessuno.
- Dunque lasciatemi bagnar
le labbra; e poi vi dirò le cose d'oggi. Sentirete -. Empì il bicchiere, lo
prese con una mano, poi con le prime due dita dell'altra sollevò i baffi, poi
si lisciò la barba, bevette, e riprese: - oggi, amici cari, ci mancò poco, che
non fosse una giornata brusca come ieri, o peggio. E non mi par quasi vero
d'esser qui a chiacchierar con voi altri; perché avevo già messo da parte ogni
pensiero di viaggio, per restare a guardar la mia povera bottega.
- Che diavolo c'era? -
disse uno degli ascoltanti.
- Proprio il diavolo:
sentirete -. E trinciando la pietanza che gli era stata messa davanti, e poi
mangiando, continuò il suo racconto. I compagni, ritti di qua e di là della
tavola, lo stavano a sentire, con la bocca aperta; Renzo, al suo posto, senza
che paresse suo fatto, stava attento, forse più di tutti, masticando adagio
adagio gli ultimi suoi bocconi.
- Stamattina dunque que'
birboni che ieri avevano fatto quel chiasso orrendo, si trovarono a' posti
convenuti (già c'era un'intelligenza: tutte cose preparate); si riunirono, e
ricominciarono quella bella storia di girare di strada in strada, gridando per
tirar altra gente. Sapete che è come quando si spazza, con riverenza parlando,
la casa; il mucchio del sudiciume ingrossa quanto più va avanti. Quando parve
loro d'esser gente abbastanza, s'avviarono verso la casa del signor vicario di
provvisione; come se non bastassero le tirannie che gli hanno fatte ieri: a un
signore di quella sorte! oh che birboni! E la roba che dicevan contro di lui!
Tutte invenzioni: un signor dabbene, puntuale; e io lo posso dire, che son tutto
di casa, e lo servo di panno per le livree della servitù. S'incamminaron dunque
verso quella casa: bisognava veder che canaglia, che facce: figuratevi che son
passati davanti alla mia bottega: facce che... i giudei della Via Crucis
non ci son per nulla. E le cose che uscivan da quelle bocche! da turarsene gli
orecchi, se non fosse stato che non tornava conto di farsi scorgere. Andavan
dunque con la buona intenzione di dare il sacco; ma... - E qui, alzata in aria,
e stesa la mano sinistra, si mise la punta del pollice alla punta del naso.
- Ma? - dissero forse
tutti gli ascoltatori.
- Ma, - continuò il
mercante, - trovaron la strada chiusa con travi e con carri, e, dietro quella
barricata, una bella fila di micheletti, con gli archibusi spianati, per
riceverli come si meritavano. Quando videro questo bell'apparato... Cosa avreste
fatto voi altri?
- Tornare indietro.
- Sicuro; e così fecero.
Ma vedete un poco se non era il demonio che li portava. Son lì sul Cordusio,
vedon lì quel forno che fin da ieri, avevan voluto saccheggiare; e cosa si
faceva in quella bottega? si distribuiva il pane agli avventori; c'era de'
cavalieri, e fior di cavalieri, a invigilare che tutto andasse bene; e costoro
(avevano il diavolo addosso vi dico, e poi c'era chi gli aizzava), costoro,
dentro come disperati; piglia tu, che piglio anch'io: in un batter d'occhio,
cavalieri, fornai, avventori, pani, banco, panche, madie, casse, sacchi,
frulloni, crusca, farina, pasta, tutto sottosopra.
- E i micheletti?
- I micheletti avevan la
casa del vicario da guardare: non si può cantare e portar la croce. Fu in un
batter d'occhio, vi dico: piglia piglia; tutto ciò che c'era buono a qualcosa,
fu preso. E poi torna in campo quel bel ritrovato di ieri, di portare il resto
sulla piazza, e di farne una fiammata. E già cominciavano, i manigoldi, a tirar
fuori roba; quando uno più manigoldo degli altri, indovinate un po' con che
bella proposta venne fuori.
- Con che cosa?
- Di fare un mucchio di
tutto nella bottega, e di dar fuoco al mucchio e alla casa insieme. Detto
fatto...
- Ci han dato fuoco?
- Aspettate. Un galantuomo
del vicinato ebbe un'ispirazione dal cielo. Corse su nelle stanze, cercò d'un
Crocifisso, lo trovò, l'attaccò all'archetto d'una finestra, prese da capo
d'un letto due candele benedette, le accese, e le mise sul davanzale, a destra e
a sinistra del Crocifisso. La gente guarda in su. In un Milano, bisogna dirla,
c'è ancora del timor di Dio; tutti tornarono in sé. La più parte, voglio
dire; c'era bensì de' diavoli che, per rubare, avrebbero dato fuoco anche al
paradiso; ma visto che la gente non era del loro parere, dovettero smettere, e
star cheti. Indovinate ora chi arrivò all'improvviso. Tutti i monsignori del
duomo, in processione, a croce alzata, in abito corale; e monsignor Mazenta,
arciprete, comincio a predicare da una parte, e monsignor Settala, penitenziere,
da un'altra, e gli altri anche loro: ma, brava gente! ma cosa volete fare? ma è
questo l'esempio che date a' vostri figliuoli? ma tornate a casa; ma non sapete
che il pane è a buon mercato, più di prima? ma andate a vedere, che c'è
l'avviso sulle cantonate.
- Era vero?
- Diavolo! Volete che i
monsignori del duomo venissero in cappa magna a dir delle fandonie?
- E la gente cosa fece?
- A poco a poco se
n'andarono; corsero alle cantonate; e, chi sapeva leggere, la c'era proprio la
meta. Indovinate un poco: un pane d'ott'once, per un soldo.
- Che bazza!
- La vigna è bella; pur
che la duri. Sapete quanta farina hanno mandata a male, tra ieri e stamattina?
Da mantenerne il ducato per due mesi.
- E per fuori di Milano,
non s'è fatta nessuna legge buona?
- Quel che s'è fatto per
Milano, è tutto a spese della città. Non so che vi dire: per voi altri sarà
quel che Dio vorrà. A buon conto, i fracassi son finiti. Non v'ho detto tutto;
ora viene il buono.
- Cosa c'è ancora?
- C'è che, ier sera o
stamattina che sia, ne sono stati agguantati molti; e subito s'è saputo che i
capi saranno impiccati. Appena cominciò a spargersi questa voce, ognuno andava
a casa per la più corta, per non arrischiare d'esser nel numero. Milano,
quand'io ne sono uscito, pareva un convento di frati.
- Gl'impiccheranno poi
davvero?
- Eccome! e presto, -
rispose il mercante.
- E la gente cosa farà? -
domandò ancora colui che aveva fatta l'altra domanda.
- La gente? anderà a
vedere, - disse il mercante. - Avevan tanta voglia di veder morire un cristiano
all'aria aperta, che volevano, birboni! far la festa al signor vicario di
provvisione. In vece sua, avranno quattro tristi, serviti con tutte le formalità,
accompagnati da' cappuccini, e da' confratelli della buona morte; e gente che se
l'è meritato. È una provvidenza, vedete; era una cosa necessaria. Cominciavan
già a prender il vizio d'entrar nelle botteghe, e di servirsi, senza metter
mano alla borsa; se li lasciavan fare, dopo il pane sarebbero venuti al vino, e
così di mano in mano... Pensate se coloro volevano smettere, di loro spontanea
volontà, una usanza così comoda. E vi so dir io che, per un galantuomo che ha
bottega aperta, era un pensier poco allegro.
- Davvero, - disse uno
degli ascoltatori. - Davvero, - ripeteron gli altri, a una voce.
- E, - continuò il
mercante, asciugandosi la barba col tovagliolo, - l'era ordita da un pezzo:
c'era una lega, sapete?
- C'era una lega?
- C'era una lega. Tutte
cabale ordite da' navarrini, da quel cardinale là di Francia, sapete chi voglio
dire, che ha un certo nome mezzo turco, e che ogni giorno ne pensa una, per far
qualche dispetto alla corona di Spagna. Ma sopra tutto, tende a far qualche tiro
a Milano; perché vede bene, il furbo, che qui sta la forza del re.
- Già.
- Ne volete una prova? Chi
ha fatto il più gran chiasso, eran forestieri; andavano in giro facce, che in
Milano non s'eran mai vedute. Anzi mi dimenticavo di dirvene una che m'è stata
data per certa. La giustizia aveva acchiappato uno in un'osteria... - Renzo, il
quale non perdeva un ette di quel discorso, al tocco di questa corda, si sentì
venir freddo, e diede un guizzo, prima che potesse pensare a contenersi. Nessuno
però se n'avvide; e il dicitore, senza interrompere il filo del racconto,
seguitò: - uno che non si sa bene ancora da che parte fosse venuto, da chi
fosse mandato, né che razza d'uomo si fosse; ma certo era uno de' capi. Già
ieri, nel forte del baccano, aveva fatto il diavolo; e poi, non contento di
questo, s'era messo a predicare, e a proporre, così una galanteria, che
s'ammazzassero tutti i signori. Birbante! Chi farebbe viver la povera gente,
quando i signori fossero ammazzati? La giustizia, che l'aveva appostato, gli
mise l'unghie addosso; gli trovarono un fascio di lettere; e lo menavano in
gabbia; ma che? i suoi compagni, che facevan la ronda intorno all'osteria,
vennero in gran numero, e lo liberarono, il manigoldo.
- E cosa n'è stato?
- Non si sa; sarà
scappato, o sarà nascosto in Milano: son gente che non ha né casa né tetto, e
trovan per tutto da alloggiare e da rintanarsi: però finché il diavolo può, e
vuole aiutarli: ci dan poi dentro quando meno se lo pensano; perché, quando la
pera è matura, convien che caschi. Per ora si sa di sicuro che le lettere son
rimaste in mano della giustizia, e che c'è descritta tutta la cabala; e si dice
che n'anderà di mezzo molta gente. Peggio per loro; che hanno messo a soqquadro
mezzo Milano, e volevano anche far peggio. Dicono che i fornai son birboni. Lo
so anch'io; ma bisogna impiccarli per via di giustizia. C'è del grano nascosto.
Chi non lo sa? Ma tocca a chi comanda a tener buone spie, e andarlo a
disotterrare, e mandare anche gl'incettatori a dar calci all'aria, in compagnia
de' fornai. E se chi comanda non fa nulla, tocca alla città a ricorrere; e se
non dànno retta alla prima, ricorrere ancora; ché a forza di ricorrere
s'ottiene; e non metter su un'usanza così scellerata d'entrar nelle botteghe e
ne' fondachi, a prender la roba a man salva.
A Renzo quel poco mangiare
era andato in tanto veleno. Gli pareva mill'anni d'esser fuori e lontano da
quell'osteria, da quel paese; e più di dieci volte aveva detto a sé stesso:
andiamo, andiamo. Ma quella paura di dar sospetto, cresciuta allora oltremodo, e
fatta tiranna di tutti i suoi pensieri, l'aveva tenuto sempre inchiodato sulla
panca. In quella perplessità, pensò che il ciarlone doveva poi finire di
parlar di lui; e concluse tra sé, di moversi, appena sentisse attaccare qualche
altro discorso.
- E per questo, - disse
uno della brigata, - io che so come vanno queste faccende, e che ne' tumulti i
galantuomini non ci stanno bene, non mi son lasciato vincere dalla curiosità, e
son rimasto a casa mia.
- E io, mi son mosso? -
disse un altro.
- Io? - soggiunse un
terzo: - se per caso mi fossi trovato in Milano, avrei lasciato imperfetto
qualunque affare, e sarei tornato subito a casa mia. Ho moglie e figliuoli; e
poi, dico la verità, i baccani non mi piacciono.
A questo punto, l'oste,
ch'era stato anche lui a sentire, andò verso l'altra cima della tavola, per
veder cosa faceva quel forestiero. Renzo colse l'occasione, chiamò l'oste con
un cenno, gli chiese il conto, lo saldò senza tirare, quantunque l'acque
fossero molto basse; e, senza far altri discorsi, andò diritto all'uscio, passò
la soglia, e, a guida della Provvidenza, s'incamminò dalla parte opposta a
quella per cui era venuto.