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L'oste,
vedendo che il gioco andava in lungo, s'era accostato a Renzo; e pregando, con
buona grazia, quegli altri che lo lasciassero stare, l'andava scotendo per un
braccio, e cercava di fargli intendere e di persuaderlo che andasse a dormire.
Ma Renzo tornava sempre da capo col nome e cognome, e con le gride, e co' buoni
figliuoli. Però quelle parole: letto e dormire, ripetute al suo orecchio, gli
entraron finalmente in testa; gli fecero sentire un po' più distintamente il
bisogno di ciò che significavano, e produssero un momento di lucido
intervallo. Quel po' di senno che gli tornò, gli fece in certo modo capire che
il più se n'era andato: a un di presso come l'ultimo moccolo rimasto acceso
d'un'illuminazione, fa vedere gli altri spenti. Si fece coraggio; stese le
mani, e le appuntellò sulla tavola; tentò, una e due volte, d'alzarsi; sospirò,
barcollò; alla terza, sorretto dall'oste, si rizzò. Quello, reggendolo
tuttavia, lo fece uscire di tra la tavola e la panca; e, preso con una mano un
lume, con l'altra, parte lo condusse, parte lo tirò, alla meglio, verso
l'uscio di scala. Lì Renzo, al chiasso de' saluti che coloro gli urlavan
dietro, si voltò in fretta; e se il suo sostenitore non fosse stato ben lesto
a tenerlo per un braccio, la voltata sarebbe stata un capitombolo; si voltò
dunque, e, con l'altro braccio che gli rimaneva libero, andava trinciando e
iscrivendo nell'aria certi saluti, a guisa d'un nodo di Salomone.
- Andiamo a letto, a
letto, - disse l'oste, strascicandolo; gli fece imboccar l'uscio; e con più
fatica ancora, lo tirò in cima di quella scaletta, e poi nella camera che gli
aveva destinata. Renzo, visto il letto che l'aspettava, si rallegrò; guardò
amorevolmente l'oste, con due occhietti che ora scintillavan più che mai, ora
s'eclissavano, come due lucciole; cercò d'equilibrarsi sulle gambe; e stese la
mano al viso dell'oste, per prendergli il ganascino, in segno d'amicizia e di
riconoscenza; ma non gli riuscì. - Bravo oste! - gli riuscì però di dire: -
ora vedo che sei un galantuomo: questa è un'opera buona, dare un letto a un
buon figliuolo; ma quella figura che m'hai fatta, sul nome e cognome, quella
non era da galantuomo. Per buona sorte che anch'io son furbo la mia parte...
L'oste, il quale non
pensava che colui potesse ancor tanto connettere; l'oste che, per lunga
esperienza, sapeva quanto gli uomini, in quello stato, sian più soggetti del
solito a cambiar di parere, volle approfittare di quel lucido intervallo, per
fare un altro tentativo. - Figliuolo caro, - disse, con una voce e con un fare
tutto gentile: - non l'ho fatto per seccarvi, né per sapere i fatti vostri.
Cosa volete? è legge: anche noi bisogna ubbidire; altrimenti siamo i primi a
portarne la pena. È meglio contentarli, e... Di che si tratta finalmente? Gran
cosa! dir due parole. Non per loro, ma per fare un piacere a me: via; qui tra
noi, a quattr'occhi, facciam le nostre cose; ditemi il vostro nome, e... e poi
andate a letto col cuor quieto.
- Ah birbone ! - esclamò
Renzo: - mariolo! tu mi torni ancora in campo con quell'infamità del nome,
cognome e negozio!
- Sta' zitto, buffone;
va' a letto, - diceva l'oste.
Ma Renzo continuava più
forte: - ho inteso: sei della lega anche tu. Aspetta, aspetta, che t'accomodo
io. - E voltando la testa verso la scaletta, cominciava a urlare più forte
ancora: - amici! l'oste è della...
- Ho detto per celia, -
gridò questo sul viso di Renzo, spingendolo verso il letto: - per celia; non
hai inteso che ho detto per celia?
- Ah! per celia: ora
parli bene. Quando hai detto per celia... Son proprio celie -. E cadde bocconi
sul letto.
- Animo; spogliatevi;
presto, - disse l'oste, e al consiglio aggiunse l'aiuto; che ce n'era bisogno.
Quando Renzo si fu levato il farsetto (e ce ne volle), l'oste l'agguantò
subito, e corse con le mani alle tasche, per vedere se c'era il morto. Lo trovò:
e pensando che, il giorno dopo, il suo ospite avrebbe avuto a fare i conti con
tutt'altri
E che con lui, e che quel
morto sarebbe probabilmente caduto in mani di dove un oste non avrebbe potuto
farlo uscire; volle provarsi se almeno gli riusciva di concluder quest'altro
affare.
- Voi siete un buon
figliuolo, un galantuomo; n'è vero? - disse.
- Buon figliuolo,
galantuomo, - rispose Renzo, facendo tuttavia litigar le dita co' bottoni de'
panni che non s'era ancor potuto levare.
- Bene, - replicò
l'oste: - saldate ora dunque quel poco conticino, perché domani io devo uscire
per certi miei affari...
- Quest'è giusto, -
disse Renzo. - Son furbo, ma galantuomo... Ma i danari? Andare a cercare i
danari ora!
- Eccoli qui, - disse
l'oste: e, mettendo in opera tutta la sua pratica, tutta la sua pazienza, tutta
la sua destrezza, gli riuscì di fare il conto con Renzo, e di pagarsi.
- Dammi una mano, ch'io
possa finir di spogliarmi, oste, - disse Renzo. - Lo vedo anch'io, ve', che ho
addosso un gran sonno.
L'oste gli diede l'aiuto
richiesto; gli stese per di più la coperta addosso, e gli disse sgarbatamente
- buona notte, - che già quello russava. Poi, per quella specie d'attrattiva,
che alle volte ci tiene a considerare un oggetto di stizza, al pari che un
oggetto d'amore, e che forse non è altro che il desiderio di conoscere ciò
che opera fortemente sull'animo nostro, si fermò un momento a contemplare
l'ospite così noioso per lui, alzandogli il lume sul viso, e facendovi, con la
mano stesa, ribatter sopra la luce; in quell'atto a un di presso che vien
dipinta Psiche, quando sta a spiare furtivamente le forme del consorte
sconosciuto. - Pezzo d'asino! - disse nella sua mente al povero addormentato: -
sei andato proprio a cercartela. Domani poi, mi saprai dire che bel gusto ci
avrai. Tangheri, che volete girare il mondo, senza saper da che parte si levi
il sole; per imbrogliar voi e il prossimo.
Così detto o pensato,
ritirò il lume, si mosse, uscì dalla camera, e chiuse l'uscio a chiave. Sul
pianerottolo della scala, chiamò l'ostessa; alla quale disse che lasciasse i
figliuoli in guardia a una loro servetta, e scendesse in cucina, a far le sue
veci. - Bisogna ch'io vada fuori, in grazia d'un forestiero capitato qui, non
so come diavolo, per mia disgrazia, - soggiunse; e le raccontò in compendio il
noioso accidente. Poi soggiunse ancora: - occhio a tutto; e sopra tutto
prudenza, in questa maledetta giornata. Abbiamo laggiù una mano di scapestrati
che, tra il bere, e tra che di natura sono sboccati, ne dicon di tutti i
colori. Basta, se qualche temerario...
- Oh! non sono una
bambina, e so anch'io quel che va fatto. Finora, mi pare che non si possa
dire...
- Bene, bene; e badar che
paghino; e tutti que' discorsi che fanno, sul vicario di provvisione e il
governatore e Ferrer e i decurioni e i cavalieri e Spagna e Francia e altre
simili corbellerie, far vista di non sentire; perché, se si contraddice, la può
andar male subito; e se si dà ragione, la può andar male in avvenire: e già
sai anche tu che qualche volta quelli che le dicon più grosse... Basta; quando
si senton certe proposizioni, girar la testa, e dire: vengo; come se
qualcheduno chiamasse da un'altra parte. Io cercherò di tornare più presto
che posso.
Ciò detto, scese con lei
in cucina, diede un'occhiata in giro, per veder se c'era novità di rilievo;
staccò da un cavicchio il cappello e la cappa, prese un randello da un
cantuccio, ricapitolò, con un'altra occhiata alla moglie, l'istruzioni che le
aveva date; e uscì. Ma, già nel far quelle operazioni, aveva ripreso, dentro
di sé, il filo dell'apostrofe cominciata al letto del povero Renzo; e la
proseguiva, camminando in istrada.
«Testardo d'un montanaro!»
Ché per quanto Renzo avesse voluto tener nascosto l'esser suo, questa qualità
si manifestava da sé nelle parole, nella pronunzia, nell'aspetto e negli atti.
«Una giornata come questa, a forza di politica, a forza d'aver giudizio, io
n'uscivo netto; e dovevi venir tu sulla fine, a guastarmi l'uova nel paniere.
Manca osterie in Milano, che tu dovessi proprio capitare alla mia? Fossi almeno
capitato solo; che avrei chiuso un occhio, per questa sera; e domattina t'avrei
fatto intender la ragione. Ma no signore; in compagnia ci vieni; e in compagnia
d'un bargello, per far meglio!»
A ogni passo, l'oste
incontrava o passeggieri scompagnati, o coppie, o brigate di gente, che
giravano susurrando. A questo punto della sua muta allocuzione, vide venire una
pattuglia di soldati; e tirandosi da parte, per lasciarli passare, li guardò
con la coda dell'occhio, e continuò tra sé: «eccoli i gastigamatti. E tu,
pezzo d'asino, per aver visto un po' di gente in giro a far baccano, ti sei
cacciato in testa che il mondo abbia a mutarsi. E su questo bel fondamento, ti
sei rovinato te, e volevi anche rovinar me; che non è giusto. Io facevo di
tutto per salvarti; e tu, bestia, in contraccambio, c'è mancato poco che non
m'hai messo sottosopra l'osteria. Ora toccherà a te a levarti d'impiccio: per
me ci penso io. Come se io volessi sapere il tuo nome per una mia curiosità!
Cosa m'importa a me che tu ti chiami Taddeo o Bartolommeo? Ci ho un bel gusto
anch'io a prender la penna in mano! ma non siete voi altri soli a voler le cose
a modo vostro. Lo so anch'io che ci son delle gride che non contan nulla: bella
novità, da venircela a dire un montanaro! Ma tu non sai che le gride contro
gli osti contano. E pretendi girare il mondo, e parlare; e non sai che, a voler
fare a modo suo, e impiparsi delle gride, la prima cosa è di parlarne con gran
riguardo. E per un povero oste che fosse del tuo parere, e non domandasse il
nome di chi capita a favorirlo, sai tu, bestia, cosa c'è di bello? Sotto
pena a qual si voglia dei detti osti, tavernai ed altri, come sopra, di
trecento scudi: sì, son lì che covano trecento scudi; e per ispenderli
così bene; da esser applicati, per i due terzi alla regia Camera, e l'altro
all'accusatore o delatore: quel bel cecino! Ed in caso di inabilità,
cinque anni di galera, e maggior pena, pecuniaria o corporale, all'arbitrio di
sua eccellenza. Obbligatissimo alle sue grazie».
A queste parole, l'oste
toccava la soglia del palazzo di giustizia.
Lì, come a tutti gli
altri ufizi, c'era un gran da fare: per tutto s'attendeva a dar gli ordini che
parevan più atti a preoccupare il giorno seguente, a levare i pretesti e
l'ardire agli animi vogliosi di nuovi tumulti, ad assicurare la forza nelle
mani solite a adoprarla. S'accrebbe la soldatesca alla casa del vicario; gli
sbocchi della strada furono sbarrati di travi, trincerati di carri. S'ordinò a
tutti i fornai che facessero pane senza intermissione; si spedirono staffette
a' paesi circonvicini, con ordini di mandar grano alla città; a ogni forno
furono deputati nobili, che vi si portassero di buon mattino, a invigilare
sulla distribuzione e a tenere a freno gl'inquieti, con l'autorità della
presenza, e con le buone parole. Ma per dar, come si dice, un colpo al cerchio
e uno alla botte, e render più efficaci i consigli con un po' di spavento, si
pensò anche a trovar la maniera di metter le mani addosso a qualche sedizioso:
e questa era principalmente la parte del capitano di giustizia; il quale,
ognuno può pensare che sentimenti avesse per le sollevazioni e per i
sollevati, con una pezzetta d'acqua vulneraria sur uno degli organi della
profondità metafisica. I suoi bracchi erano in campo fino dal principio del
tumulto: e quel sedicente Ambrogio Fusella era, come ha detto l'oste, un
bargello travestito, mandato in giro appunto per cogliere sul fatto qualcheduno
da potersi riconoscere, e tenerlo in petto, e appostarlo, e acchiapparlo poi, a
notte affatto quieta, o il giorno dopo. Sentite quattro parole di quella
predica di Renzo, colui gli aveva fatto subito assegnamento sopra; parendogli
quello un reo buon uomo, proprio quel che ci voleva. Trovandolo poi nuovo
affatto del paese, aveva tentato il colpo maestro di condurlo caldo caldo alle
carceri, come alla locanda più sicura della città; ma gli andò fallito, come
avete visto. Poté però portare a casa la notizia sicura del nome, cognome e
patria, oltre cent'altre belle notizie congetturali; dimodoché, quando l'oste
capitò lì, a dir ciò che sapeva intorno a Renzo, ne sapevan già più di
lui. Entrò nella solita stanza, e fece la sua deposizione: come era giunto ad
alloggiar da lui un forestiero, che non aveva mai voluto manifestare il suo
nome.
- Avete fatto il vostro
dovere a informar la giustizia -; disse un notaio criminale, mettendo giù la
penna, - ma già lo sapevamo.
«Bel segreto!» pensò
l'oste: «ci vuole un gran talento!» - E sappiamo anche, - continuò il
notaio, - quel riverito nome.
«Diavolo! il nome poi,
com'hanno fatto?» pensò l'oste questa volta.
- Ma voi, - riprese
l'altro, con volto serio, - voi non dite tutto sinceramente.
- Cosa devo dire di più?
- Ah! ah! sappiamo
benissimo che colui ha portato nella vostra osteria una quantità di pane
rubato, e rubato con violenza, per via di saccheggio e di sedizione.
- Vien uno con un pane in
tasca; so assai dov'è andato a prenderlo. Perché, a parlar come in punto di
morte, posso dire di non avergli visto che un pane solo.
- Già; sempre scusare,
difendere: chi sente voi altri, son tutti galantuomini. Come potete provare che
quel pane fosse di buon acquisto?
- Cosa ho da provare io?
io non c'entro: io fo l'oste.
- Non potrete però
negare che codesto vostro avventore non abbia avuta la temerità di proferir
parole ingiuriose contro le gride, e di fare atti mali e indecenti contro
l'arme di sua eccellenza.
- Mi faccia grazia,
vossignoria: come può mai essere mio avventore, se lo vedo per la prima volta?
È il diavolo, con rispetto parlando, che l'ha mandato a casa mia: e se lo
conoscessi, vossignoria vede bene che non avrei avuto bisogno di domandargli il
suo nome.
- Però, nella vostra
osteria, alla vostra presenza, si son dette cose di fuoco: parole temerarie,
proposizioni sediziose, mormorazioni, strida, clamori.
- Come vuole vossignoria
ch'io badi agli spropositi che posson dire tanti urloni che parlan tutti
insieme? Io devo attendere a' miei interessi, che sono un pover'uomo. E poi
vossignoria sa bene che chi è di lingua sciolta, per il solito è anche lesto
di mano, tanto più quando sono una brigata, e...
- Sì, sì; lasciateli
fare e dire: domani, domani, vedrete se gli sarà passato il ruzzo. Cosa
credete?
- Io non credo nulla.
- Che la canaglia sia
diventata padrona di Milano?
- Oh giusto!
- Vedrete, vedrete.
- Intendo benissimo: il
re sarà sempre il re; ma chi avrà riscosso, avrà riscosso: e naturalmente un
povero padre di famiglia non ha voglia di riscotere. Lor signori hanno la
forza: a lor signori tocca.
- Avete ancora molta
gente in casa?
- Un visibilio.
- E quel vostro avventore
cosa fa? Continua a schiamazzare, a metter su la gente, a preparar tumulti per
domani?
- Quel forestiero, vuol
dire vossignoria: è andato a letto.
- Dunque avete molta
gente... Basta; badate a non lasciarlo scappare.
«Che devo fare il birro
io?» pensò l'oste; ma non disse né sì né no.
- Tornate pure a casa; e
abbiate giudizio, - riprese il notaio.
- Io ho sempre avuto
giudizio. Vossignoria può dire se ho mai dato da fare alla giustizia.
- E non crediate che la
giustizia abbia perduta la sua forza.
- Io? per carità! io non
credo nulla: abbado a far l'oste.
- La solita canzone: non
avete mai altro da dire.
- Che ho da dire altro?
La verità è una sola.
- Basta; per ora
riteniamo ciò che avete deposto; se verrà poi il caso, informerete più
minutamente la giustizia, intorno a ciò che vi potrà venir domandato.
- Cosa ho da informare?
io non so nulla; appena appena ho la testa da attendere ai fatti miei.
- Badate a non lasciarlo
partire.
- Spero che
l'illustrissimo signor capitano saprà che son venuto subito a fare il mio
dovere. Bacio le mani a vossignoria.
Allo spuntar del giorno,
Renzo russava da circa sett'ore, ed era ancora, poveretto! sul più bello,
quando due forti scosse alle braccia, e una voce che dappiè del letto gridava
: «Lorenzo Tramaglino!», lo fecero riscotere. Si risentì, ritirò le
braccia, aprì gli occhi a stento; e vide ritto appiè del letto un uomo
vestito di nero, e due armati, uno di qua, uno di là del capezzale. E, tra la
sorpresa, e il non esser desto bene, e la spranghetta di quel vino che sapete,
rimase un momento come incantato; e credendo di sognare, e non piacendogli quel
sogno, si dimenava, come per isvegliarsi affatto.
- Ah! avete sentito una
volta, Lorenzo Tramaglino? - disse l'uomo dalla cappa nera, quel notaio
medesimo della sera avanti. - Animo dunque; levatevi, e venite con noi.
- Lorenzo Tramaglino! -
disse Renzo Tramaglino: - cosa vuol dir questo? Cosa volete da me? Chi v'ha
detto il mio nome?
- Meno ciarle, e fate
presto, - disse uno de' birri che gli stavano a fianco, prendendogli di nuovo
il braccio.
- Ohe! che prepotenza è
questa? - gridò Renzo, ritirando il braccio. - Oste! o l'oste!
- Lo portiam via in
camicia? - disse ancora quel birro, voltandosi al notaio.
- Avete inteso? - disse
questo a Renzo: - si farà così, se non vi levate subito subito, per venir con
noi.
- E perché? - domandò
Renzo.
- Il perché lo sentirete
dal signor capitano di giustizia.
- Io? Io sono un
galantuomo: non ho fatto nulla; e mi maraviglio...
- Meglio per voi, meglio
per voi; così, in due parole sarete spicciato, e potrete andarvene per i fatti
vostri.
- Mi lascino andare ora,
- disse Renzo: - io non ho che far nulla con la giustizia.
- Orsù, finiamola! -
disse un birro.
- Lo portiamo via
davvero? - disse l'altro.
- Lorenzo Tramaglino! -
disse il notaio.
- Come sa il mio nome,
vossignoria?
- Fate il vostro dovere,
- disse il notaio a' birri; i quali misero subito le mani addosso a Renzo, per
tirarlo fuori del letto.
- Eh! non toccate la
carne d'un galantuomo, che...! Mi so vestir da me.
- Dunque vestitevi
subito, - disse il notaio.
- Mi vesto, - rispose
Renzo; e andava di fatti raccogliendo qua e là i panni sparsi sul letto, come
gli avanzi d'un naufragio sul lido. E cominciando a metterseli, proseguiva
tuttavia dicendo: - ma io non ci voglio andare dal capitano di giustizia. Non
ho che far nulla con lui. Giacché mi si fa quest'affronto ingiustamente,
voglio esser condotto da Ferrer. Quello lo conosco, so che è un galantuomo; e
m'ha dell'obbligazioni.
- Sì, sì, figliuolo,
sarete condotto da Ferrer, - rispose il notaio. In altre circostanze, avrebbe
riso, proprio di gusto, d'una richiesta simile; ma non era momento da ridere.
Già nel venire, aveva visto per le strade un certo movimento, da non potersi
ben definire se fossero rimasugli d'una sollevazione non del tutto sedata, o
princìpi d'una nuova: uno sbucar di persone, un accozzarsi, un andare a
brigate, un far crocchi. E ora, senza farne sembiante, o cercando almeno di non
farlo, stava in orecchi, e gli pareva che il ronzìo andasse crescendo.
Desiderava dunque di spicciarsi; ma avrebbe anche voluto condur via Renzo
d'amore e d'accordo; giacché, se si fosse venuti a guerra aperta con lui, non
poteva esser certo, quando fossero in istrada, di trovarsi tre contr'uno. Perciò
dava d'occhio a' birri, che avessero pazienza, e non inasprissero il giovine; e
dalla parte sua, cercava di persuaderlo con buone parole. Il giovine intanto,
mentre si vestiva adagino adagino, richiamandosi, come poteva, alla memoria gli
avvenimenti del giorno avanti, indovinava bene, a un di presso, che le gride e
il nome e il cognome dovevano esser la causa di tutto; ma come diamine colui lo
sapeva quel nome? E che diamine era accaduto in quella notte, perché la
giustizia avesse preso tant'animo, da venire a colpo sicuro, a metter le mani
addosso a uno de' buoni figliuoli che, il giorno avanti, avevan tanta voce in
capitolo? e che non dovevano esser tutti addormentati, poiché Renzo
s'accorgeva anche lui d'un ronzìo crescente nella strada. Guardando poi in
viso il notaio, vi scorgeva in pelle in pelle la titubazione che costui si
sforzava invano di tener nascosta. Onde, così per venire in chiaro delle sue
congetture, e scoprir paese, come per tirare in lungo, e anche per tentare un
colpo, disse: - vedo bene cos'è l'origine di tutto questo: gli è per amor del
nome e del cognome. Ier sera veramente ero un po' allegro: questi osti alle
volte hanno certi vini traditori; e alle volte, come dico, si sa, quando il
vino è giù, è lui che parla. Ma, se non si tratta d'altro, ora son pronto a
darle ogni soddisfazione. E poi, già lei lo sa il mio nome. Chi diamine gliel
ha detto?
- Bravo, figliuolo,
bravo! - rispose il notaio, tutto manieroso: - vedo che avete giudizio; e,
credete a me che son del mestiere, voi siete più furbo che tant'altri. È la
miglior maniera d'uscirne presto e bene: con codeste buone disposizioni, in due
parole siete spicciato, e lasciato in libertà. Ma io, vedete figliuolo, ho le
mani legate, non posso rilasciarvi qui, come vorrei. Via, fate presto, e venite
pure senza timore; che quando vedranno chi siete; e poi io dirò... Lasciate
fare a me... Basta; sbrigatevi, figliuolo.
- Ah! lei non può:
intendo, - disse Renzo; e continuava a vestirsi, rispingendo con de' cenni i
cenni che i birri facevano di mettergli le mani addosso, per farlo spicciare.
- Passeremo dalla piazza
del duomo? - domandò poi al notaio.
- Di dove volete; per la
più corta, affine di lasciarvi più presto in libertà, - disse quello,
rodendosi dentro di sé, di dover lasciar cadere in terra quella domanda
misteriosa di Renzo, che poteva divenire un tema di cento interrogazioni. «Quando
uno nasce disgraziato!» pensava. «Ecco; mi viene alle mani uno che, si vede,
non vorrebbe altro che cantare; e, un po' di respiro che s'avesse, così extra
formam, accademicamente, in via di discorso amichevole, gli si farebbe
confessar, senza corda, quel che uno volesse; un uomo da condurlo in prigione
già bell'e esaminato, senza che se ne fosse accorto: e un uomo di questa sorte
mi deve per l'appunto capitare in un momento così angustiato. Eh! non c'è
scampo», continuava a pensare, tendendo gli orecchi, e piegando la testa
all'indietro: «non c'è rimedio; e' risica d'essere una giornata peggio di
ieri». Ciò che lo fece pensar così, fu un rumore straordinario che si sentì
nella strada: e non poté tenersi di non aprir l'impannata, per dare
un'occhiatina. Vide ch'era un crocchio di cittadini, i quali, all'intimazione
di sbandarsi, fatta loro da una pattuglia, avevan da principio risposto con
cattive parole, e finalmente si separavan continuando a brontolare; e quel che
al notaio parve un segno mortale, i soldati eran pieni di civiltà. Chiuse
l'impannata, e stette un momento in forse, se dovesse condur l'impresa a
termine, o lasciar Renzo in guardia de' due birri, e correr dal capitano di
giustizia, a render conto di ciò che accadeva. «Ma», pensò subito, «mi si
dirà che sono un buon a nulla, un pusillanime, e che dovevo eseguir gli
ordini. Siamo in ballo; bisogna ballare. Malannaggia la furia! Maledetto il
mestiere!»
Renzo era levato; i due
satelliti gli stavano a' fianchi. Il notaio accennò a costoro che non lo
sforzasser troppo, e disse a lui: - da bravo, figliuolo; a noi, spicciatevi.
Anche Renzo sentiva,
vedeva e pensava. Era ormai tutto vestito, salvo il farsetto, che teneva con
una mano, frugando con l'altra nelle tasche. - Ohe! - disse, guardando il
notaio, con un viso molto significante: - qui c'era de' soldi e una lettera.
Signor mio!
- Vi sarà dato ogni cosa
puntualmente, - disse il notaio, dopo adempite quelle poche formalità.
Andiamo, andiamo.
- No, no, no, - disse
Renzo, tentennando il capo: - questa non mi va: voglio la roba mia, signor mio.
Renderò conto delle mie azioni; ma voglio la roba mia.
- Voglio farvi vedere che
mi fido di voi: tenete, e fate presto, - disse il notaio, levandosi di seno, e
consegnando, con un sospiro, a Renzo le cose sequestrate. Questo, riponendole
al loro posto, mormorava tra' denti: - alla larga! bazzicate tanto co' ladri,
che avete un poco imparato il mestiere -. I birri non potevan più stare alle
mosse; ma il notaio li teneva a freno con gli occhi, e diceva intanto tra sé:
«se tu arrivi a metter piede dentro quella soglia, l'hai da pagar con usura,
l'hai da pagare».
Mentre Renzo si metteva
il farsetto, e prendeva il cappello, il notaio fece cenno a un de' birri, che
s'avviasse per la scala; gli mandò dietro il prigioniero, poi l'altro amico;
poi si mosse anche lui. In cucina che furono, mentre Renzo dice: - e quest'oste
benedetto dove s'è cacciato? - il notaio fa un altro cenno a' birri; i quali
afferrano, l'uno la destra, l'altro la sinistra del giovine, e in fretta in
fretta gli legano i polsi con certi ordigni, per quell'ipocrita figura
d'eufemismo, chiamati manichini. Consistevano questi (ci dispiace di dover
dlscendere a particolari indegni della gravità storica; ma la chiarezza lo
richiede), consistevano in una cordicella lunga un po' più che il giro d'un
polso ordinario, la quale aveva nelle cime due pezzetti di legno, come due
piccole stanghette. La cordicella circondava il polso del paziente; i legnetti,
passati tra il medio e l'anulare del prenditore, gli rimanevano chiusi in
pugno, di modo che, girandoli, ristringeva la legatura, a volontà; e con ciò
aveva mezzo, non solo d'assicurare la presa, ma anche di martirizzare un
ricalcitrante: e a questo fine, la cordicella era sparsa di nodi.
Renzo si divincola,
grida: - che tradimento è questo? A un galantuomo...! - Ma il notaio, che per
ogni tristo fatto aveva le sue buone parole, - abbiate pazienza, - diceva: -
fanno il loro dovere. Cosa volete? son tutte formalità; e anche noi non
possiamo trattar la gente a seconda del nostro cuore. Se non si facesse quello
che ci vien comandato, staremmo freschi noi altri, peggio di voi. Abbiate
pazienza.
Mentre parlava, i due a
cui toccava a fare, diedero una girata a' legnetti. Renzo s'acquietò, come un
cavallo bizzarro che si sente il labbro stretto tra le morse, e esclamò: -
pazienza!
- Bravo figliuolo! -
disse il notaio: - questa è la vera maniera d'uscirne a bene. Cosa volete? è
una seccatura; lo vedo anch'io; ma, portandovi bene, in un momento ne siete
fuori. E giacché vedo che siete ben disposto, e io mi sento inclinato a
aiutarvi, voglio darvi anche un altro parere, per vostro bene. Credete a me,
che son pratico di queste cose: andate via diritto diritto, senza guardare in
qua e in là, senza farvi scorgere: così nessuno bada a voi, nessuno s'avvede
di quel che è; e voi conservate il vostro onore. Di qui a un'ora voi siete in
libertà: c'è tanto da fare, che avranno fretta anche loro di sbrigarvi: e poi
parlerò io... Ve n'andate per i fatti vostri; e nessuno saprà che siete stato
nelle mani della giustizia. E voi altri, - continuò poi, voltandosi a' birri,
con un viso severo: - guardate bene di non fargli male, perché lo proteggo io:
il vostro dovere bisogna che lo facciate; ma ricordatevi che è un galantuomo,
un giovine civile, il quale, di qui a poco, sarà in libertà; e che gli deve
premere il suo onore. Andate in maniera che nessuno s'avveda di nulla: come se
foste tre galantuomini che vanno a spasso -. E, con tono imperativo, e con
sopracciglio minaccioso, concluse: - m'avete inteso -. Voltatosi poi a Renzo,
col sopracciglio spianato, e col viso divenuto a un tratto ridente, che pareva
volesse dire: oh noi sì che siamo amici!, gli bisbigliò di nuovo: - giudizio;
fate a mio modo: andate raccolto e quieto; fidatevi di chi vi vuol bene:
andiamo -. E la comitiva s'avviò.
Però, di tante belle
parole Renzo, non ne credette una: né che il notaio volesse più bene a lui
che a' birri, né che prendesse tanto a cuore la sua riputazione, né che
avesse intenzion d'aiutarlo: capì benissimo che il galantuomo, temendo che si
presentasse per la strada qualche buona occasione di scappargli dalle mani,
metteva innanzi que' bei motivi, per istornar lui dallo starci attento e da
approfittarne. Dimodoché tutte quelle esortazioni non servirono ad altro che a
confermarlo nel disegno che già aveva in testa, di far tutto il contrario.
Nessuno concluda da ciò
che il notaio fosse un furbo inesperto e novizio; perché s'ingannerebbe. Era
un furbo matricolato, dice il nostro storico, il quale pare che fosse nel
numero de' suoi amici: ma, in quel momento, si trovava con l'animo agitato. A
sangue freddo, vi so dir io come si sarebbe fatto beffe di chi, per indurre un
altro a fare una cosa per sé sospetta, fosse andato suggerendogliela e
inculcandogliela caldamente, con quella miserabile finta di dargli un parere
disinteressato, da amico. Ma è una tendenza generale degli uomini, quando sono
agitati e angustiati, e vedono ciò che un altro potrebbe fare per levarli
d'impiccio, di chiederglielo con istanza e ripetutamente e con ogni sorte di
pretesti; e i furbi, quando sono angustiati e agitati, cadono anche loro sotto
questa legge comune. Quindi è che, in simili circostanze, fanno per lo più
una così meschina figura. Que' ritrovati maestri, quelle belle malizie, con le
quali sono avvezzi a vincere, che son diventate per loro quasi una seconda
natura, e che, messe in opera a tempo, e condotte con la pacatezza d'animo, con
la serenità di mente necessarie, fanno il colpo così bene e così
nascostamente, e conosciute anche, dopo la riuscita, riscotono l'applauso
universale; i poverini quando sono alle strette, le adoprano in fretta,
all'impazzata, senza garbo né grazia. Di maniera che a uno che li veda
ingegnarsi e arrabattarsi a quel modo, fanno pietà e movon le risa, e l'uomo
che pretendono allora di mettere in mezzo, quantunque meno accorto di loro,
scopre benissimo tutto il loro gioco, e da quegli artifizi ricava lume per sé,
contro di loro. Perciò non si può mai abbastanza raccomandare a' furbi di
professione di conservar sempre il loro sangue freddo, o d'esser sempre i più
forti, che è la più sicura.
Renzo adunque, appena
furono in istrada, cominciò a girar gli occhi in qua e in là, a sporgersi con
la persona, a destra e a sinistra, a tender gli orecchi. Non c'era però
concorso straordinario; e benché sul viso di più d'un passeggiero si potesse
legger facilmente un certo non so che di sedizioso, pure ognuno andava diritto
per la sua strada; e sedizione propriamente detta, non c'era.
- Giudizio, giudizio! -
gli susurrava il notaio dietro le spalle: - il vostro onore; l'onore, figliuolo
-. Ma quando Renzo, badando attentamente a tre che venivano con visi accesi,
sentì che parlavan d'un forno, di farina nascosta, di giustizia, cominciò
anche a far loro de' cenni col viso, e a tossire in quel modo che indica
tutt'altro che un raffreddore. Quelli guardarono più attentamente la comitiva,
e si fermarono; con loro si fermarono altri che arrivavano; altri, che gli eran
passati davanti, voltatisi al bisbiglìo, tornavano indietro, e facevan coda.
- Badate a voi; giudizio,
figliuolo; peggio per voi vedete; non guastate i fatti vostri; l'onore, la
riputazione, - continuava a susurrare il notaio. Renzo faceva peggio. I birri,
dopo essersi consultati con l'occhio, pensando di far bene (ognuno è soggetto
a sbagliare), gli diedero una stretta di manichini.
- Ahi! ahi! ahi! - grida
il tormentato: al grido, la gente s'affolla intorno; n'accorre da ogni parte
della strada: la comitiva si trova incagliata. - È un malvivente, -
bisbigliava il notaio a quelli che gli erano a ridosso: - è un ladro colto sul
fatto. Si ritirino, lascin passar la giustizia -. Ma Renzo, visto il bel
momento, visti i birri diventar bianchi, o almeno pallidi, «se non m'aiuto
ora, pensò, mio danno». E subito alzò la voce: - figliuoli! mi menano in
prigione, perché ieri ho gridato: pane e giustizia. Non ho fatto nulla; son
galantuomo: aiutatemi, non m'abbandonate, figliuoli!
Un mormorìo favorevole,
voci più chiare di protezione s'alzano in risposta: i birri sul principio
comandano, poi chiedono, poi pregano i più vicini d'andarsene, e di far largo:
la folla in vece incalza e pigia sempre più. Quelli, vista la mala parata,
lascian andare i manichini, e non si curan più d'altro che di perdersi nella
folla, per uscirne inosservati. Il notaio desiderava ardentemente di far lo
stesso; ma c'era de' guai, per amor della cappa nera. Il pover'uomo, pallido e
sbigottito, cercava di farsi piccino piccino, s'andava storcendo, per isgusciar
fuor della folla; ma non poteva alzar gli occhi, che non se ne vedesse venti
addosso. Studiava tutte le maniere di comparire un estraneo che, passando di lì
a caso, si fosse trovato stretto nella calca, come una pagliucola nel ghiaccio;
e riscontrandosi a viso a viso con uno che lo guardava fisso, con un cipiglio
peggio degli altri, lui, composta la bocca al sorriso, con un suo fare sciocco,
gli domandò: - cos'è stato?
- Uh corvaccio! - rispose
colui. - Corvaccio! corvaccio! - risonò all'intorno. Alle grida s'aggiunsero
gli urtoni; di maniera che, in poco tempo, parte con le gambe proprie, parte
con le gomita altrui, ottenne ciò che più gli premeva in quel momento,
d'esser fuori di quel serra serra.
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