L'INTRODUZIONE DEL ROMANZO
(seconda parte: analisi contenutistica)
Nell'Introduzione possiamo cogliere dei dati importanti sull'intero romanzo, perché Manzoni non utilizza l'espediente del manoscritto solamente per creare un inizio ad effetto; Manzoni già nell'introduzione allude ai problemi che ha dovuto affrontare nello scrivere tale romanzo.
1. La tematica degli umili
N1 giudica la storia "molto bella", che non è solo una valutazione estetica, ma è un giudizio sul valore morale della vicenda: è la rappresentazione di una strenua lotta di alcuni umili impegnati a difendersi da un sopruso, in nome della dignità di uomini e di creature di Dio. Già N2 dice
hauendo hauuto notitia di fatti memorabili, se ben capitorno a gente meccaniche, e di piccol affare, mi accingo di lasciarne memoria a Posteri
quindi ha già chiaro che si tratta di una storia meritevole di essere raccontata con queste determinate caratteristiche.
La tematica degli umili risulterà centrale in tutto il romanzo e componente essenziale di quell'utile che Manzoni ha individuato come scopo della letteratura in generale.
2. Il vero storico
Emerge anche l'importanza della ricerca della verità storica. Infatti già N2 definisce la storia come gloriosa guerra contro il tempo e mostra una discreta capacità storiografica, distinguendo fra storia 'ufficiale' (evenementielle, direbbero i francesi) e storia di gente meccaniche. Quello che N2 si accinge a scrivere è un racconto genuino, anzi addirittura un esatto resoconto, quasi sentendo la necessità di scrivere in modo documentato.
Analoga preoccupazione avverte anche N1 che, valutando la stranezza dei fatti narrati dal manoscritto, si decide a fare un'indagine storica approfondita e scrupolosa, che poi dà dei risultati più che soddisfacenti, anche nel corso del romanzo. Ad esempio, leggiamo l'incipit del IX capitolo, in cui si parla del viaggio notturno di Lucia e Agnese, verso Monza, in cui N1 'scopre' il nome della città che era stato taciuto da N2.
(...) Il nostro autore non descrive quel viaggio notturno, tace il nome del paese dove fra Cristoforo aveva indirizzate le due donne; anzi protesta espressamente di non lo voler dire. Dal progresso della storia si rileva poi la cagione di queste reticenze. Le avventure di Lucia in quel soggiorno, si trovano avviluppate in un intrigo tenebroso di persona appartenente a una famiglia, come pare, molto potente, al tempo che l'autore scriveva. Per render ragione della strana condotta di quella persona, nel caso particolare, egli ha poi anche dovuto raccontarne in succinto la vita antecedente; e la famiglia ci fa quella figura che vedrà chi vorrà leggere. Ma ciò che la circospezione del pover'uomo ci ha voluto sottrarre, le nostre diligenze ce l'hanno fatto trovare in altra parte. Uno storico milanese (Josephi Ripamontii, Historiae Patriae, Decadis V, Lib. VI, Cap. III, pag. 358 et seq) che ha avuto a far menzione di quella persona medesima, non nomina, è vero, né lei, né il paese; ma di questo dice ch'era un borgo antico e nobile, a cui di città non mancava altro che il nome; dice altrove, che ci passa il Lambro; altrove, che c'è un arciprete. Dal riscontro di questi dati noi deduciamo che fosse Monza senz'altro. Nel vasto tesoro dell'induzioni erudite, ce ne potrà ben essere delle più fine, ma delle più sicure, non crederei. Potremmo anche, sopra congetture molto fondate, dire il nome della famiglia; ma, sebbene sia estinta da un pezzo, ci par meglio lasciarlo nella penna, per non metterci a rischio di far torto neppure ai morti, e per lasciare ai dotti qualche soggetto di ricerca.
I nostri viaggiatori arrivaron dunque a Monza, poco dopo il levar del sole. (...)
Tale aspetto accomuna quindi N1, N2 e Manzoni stesso, che si preoccuperà di documentarsi a fondo sul periodo e di tali indagini storiche darà ampio resoconto nella Storia della colonna infame, pubblicata in appendice all'edizione definitiva dei Promessi sposi. Esamina gli atti di un processo, tenutosi a Milano nel 1630 contro presunti untori; arrivato a documentare l'innocenza degli imputati, Manzoni condanna la malafede dei magistrati, traviati dalle assurde credenze popolari e dalla profonda ignoranza e superstizione.
3. La questione della lingua
Ulteriore e fondamentale aspetto è l'attenzione alla lingua.
Sotto tale profilo, però, c'è una profonda distanza fra N1 e N2: il primo, infatti, decide di fermarsi nella trascrizione del manoscritto, proprio perché vuole ridargli una forma espressiva migliore e più fruibile a tutti. Facile individuare dietro queste esigenze di N1 Manzoni stesso, che sceglie appositamente il genere romanzo, perché capace di arrivare a più persone possibile, rispetto ad altre forme letterarie.
Anche sulla lingua Manzoni non si limitò ad un'opinione superficialmente maturata. Infatti nel 1846 scrive una lettera Sulla lingua italiana e , dopo una ventina di anni di studio, l'opera Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla del 1869-9.
Ma già da prima Manzoni aveva percepito in maniera forte il problema della lingua, come testimonia il brano seguente tratto dalla lettera a Fauriel datata al 3 novembre 1821 (nell'aprile aveva cominciato la stesura della seconda versione dei promessi sposi):
L'Historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perché togliendoli di mano gl'anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia. Ma gl'illustri Campioni che in tal Arringo fanno messe di Palme e d'Allori, rapiscono
Ai tempi di Manzoni era molto in voga la corrente dei «puristi», che proponevano di difendere e salvaguardare la lingua italiana, «contaminata» da parole straniere, soprattutto francesi, che l'avevano snaturata e privata delle proprie qualità e caratteristiche. Sono proprio i «puristi» ad invocare un ritorno alla «buona lingua» degli autori del Trecento, considerati unici modelli. In questi erano ovviamente epigoni dell'Accademia della Crusca (fondata a Firenze nel 1582), che seguiva i dettami esposti da Pietro Bembo nella sua famosa opera Le prose della volgar lingua del 1525 (modello per la poesia lirica era Petrarca, modello per la prosa era Boccaccio; veniva escluso Dante a causa del suo plurilinguismo).
Manzoni rimane nell'ottica dei «puristi», ma riesca a superarla invocando non il ritorno ad una lingua morta, ma ad una parlata, che però conservasse le peculiarità del grande Trecento toscano: individua tali peculiarità nel dialetto toscano parlato dalla classe colta fiorentina a lui contemporanea.
Quando intravede l'unità politica d'Italia (Manzoni morirà nel 1873), proclama con forza la necessità di una lingua comune per tutta la nazione.
Sulle posizioni di diversi letterati italiani nel corso dei secoli sulla questione della lingua puoi consultare la sezione del sito ad essa dedicata, in particolare la polemica fra manzoniani e antimanzoniani.
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