6 gennaio 2006

 

 

Un mondo senza libri e senza memoria

 

Google prepara la grande biblioteca online. non conterà sapere, ma saper domandare.

La conoscenza si trasforma con l' espansione progressiva della Rete, e rimette in discussione i concetti di apprendimento e logica

 

 

MOUNTAIN VIEW (California) - Una società di benefattori dell'umanità, la più straordinaria macchina da soldi della storia del capitalismo o un «pifferaio magico» che, mettendo gratuitamente tutta la conoscenza accessibile via Internet a portata di click, rende la vita più facile, ma intanto ci «ruba l' anima?». I manager di Google che accompagnano il visitatore nel campus della società si sentono benefattori ma sono anche entusiasti dell' incredibile valore attribuito dal mercato (oltre 130 miliardi di dollari) ad una società che vive ancora la sua infanzia. E, soprattutto, cercano di convincerti che i motori di ricerca - il loro come quelli dei concorrenti Yahoo! e Msn di Microsoft - non demoliranno i nostri meccanismi di apprendimento, non uccideranno la memoria. Perché assoggettarsi alle fatiche dello studio, perché passare ore e ore a memorizzare dati quando, digitando una o due parole, possiamo ricostruire qualunque nozione, dalla data della battaglia di Austerlitz ai passi salienti del «Riccardo III», al tempo che farà dopodomani in Nuova Zelanda? «Quando affermò che, usando una nuova scoperta, i posteri avrebbero consegnato le loro menti all' oblio, avrebbero perso l' abitudine di esercitare la loro memoria, Platone non parlava di Google ma della scrittura - risponde con una sfumatura di autocompiacimento Craig Silverstein, capo delle strategie di Google, la prima persona che si unì all' impresa di Larry Page e Sergey Brin, quando, nel 1998, i due studenti di Stanford, fondarono la società. «Nel passaggio dalla trasmissione della conoscenza per via orale all' era della scrittura e poi anche, nei secoli successivi, con Gutenberg e l' introduzione della stampa, i meccanismi mnemonici non sono andati perduti: semplicemente si sono trasformati. Oggi viviamo un' altra di queste fasi di passaggio: ci sarà cambiamento, non distruzione». Parole con una logica, ma che non convincono i professori delle università e delle scuole di mezza America che riscontrano crescenti problemi di apprendimento nei loro studenti. Se ogni persona è la somma delle sue conoscenze ed esperienze, il diffondersi dell' uso dei motori di ricerca è inevitabilmente destinato a cambiare cultura e gerarchie degli interessi e dei valori di quel miliardo di persone che oggi utilizza Internet. Forse è miope concentrarsi su problemi specifici come la sempre minore capacità degli studenti di sillabare le parole (memorizzare l'ortografia corretta di un termine non è più una priorità quando basta digitarne una anche approssimativa su Google per ottenere automaticamente la grafia giusta) quando questi nuovi strumenti consentono ad uno studente di qualunque villaggio del Terzo Mondo collegato a Internet di avere accesso alle stesse fonti di informazione di cui dispone un laureando di Harvard.

 

Può darsi che quello offerto da Google sia soprattutto un modo efficiente di "scaricare" il cervello dalle nozioni meno complesse che possono essere recuperate senza fatica su Internet, creando spazio per nuovi saperi. Ma nessuno in questo campo - né gli uomini di cultura che non colgono a fondo la logica e le potenzialità di Internet, né gli studiosi della rete - ha idee chiare. Non per questo possiamo rinunciare a interrogarci sull' impatto culturale di un meccanismo che sembra rendere meno essenziale l' acquisizione di conoscenze approfondite, mentre diventa decisiva la capacità di porre le domande giuste al motore di ricerca. Da questo punto di vista Google va maneggiato con cautela perché «la conoscenza che oggi è in noi va molto al di là dell' informazione fattuale: è la capacità di analizzare in prospettiva quei fatti, di valutare noi stessi, di metterci in relazione con l' ambiente che ci circonda» ha spiegato a «Usa Today» John Rooney, docente di psicologia all' università La Salle di Philadelphia. E non sono problemi che emergeranno solo in futuro, come sanno i medici che, davanti a incertezze su una diagnosi o terapia, hanno scoperto di poter trovare le risposte più facilmente e rapidamente su Google che consultando i database della letteratura medica ufficiale. Fino a che punto ci si può fidare del dottore più bravo alla tastiera che con lo stetoscopio, che sa arrivare subito alle risposte, evitandosi faticose letture? E ancora: il motore di ricerca sarà la protesi della nostra mente? In un momento di esaltazione Sergey Brin, fondatore di Google, ha detto che «il motore perfetto sarebbe come la mente di Dio». E Google va a caccia della perfezione. Da qui la diffidenza anche di autentici «profeti di Internet», come Siva Vaidhyanathan, un indiano che insegna cultura della comunicazione alla New York University: «Confesso di essere elettrizzato dalle potenzialità di Google e da alcuni suoi programmi come quello della biblioteca universale. Ma anche spaventato. Ho paura che si vada troppo in là inseguendo un' utopia. Stiamo elevando Google al ruolo di ecosistema dell' informazione del mondo, senza che quest' azienda abbia alcun obbligo o responsabilità». Allarma Vaidhyanathan il progetto di trasformare «tutta la cultura del mondo» (le decine di milioni di libri delle biblioteche di New York, Harvard, Stanford, Oxford e della Michigan University) in file di Google. Sospesa per tre mesi dopo le proteste di molti editori, la digitalizzazione dei volumi è ripresa a novembre. Fin qui si è discusso soprattutto della possibile violazione del copyright e di egemonia culturale, con i francesi che si sentono sempre più assediati dalla cultura anglosassone e l' Unione europea che pensa di dar vita ad un progetto alternativo a quello di Silicon Valley. Ma Google ha già accumulato un vantaggio difficilmente colmabile anche sui diretti concorrenti (Yahoo! e Microsoft) grazie anche allo sviluppo di una tecnologia (stavolta meccanica) sulla quale mantiene la massima segretezza, che consente di sfogliare e scannerizzare i libri più antichi senza provocare danni alla carta o alla rilegatura. E' questo che ha convinto le biblioteche a dare il loro benestare alla digitalizzazione. 

 

Ha allora ragione la rivista New Republic quando scrive che il mondo - o almeno il mondo della scuola - sta procedendo speditamente verso un «futuro senza libri», visto che i volumi sono costosi, si rovinano, occupano troppo spazio negli scaffali, hanno bisogno di manutenzione? Dubbi e paure che non preoccupano più di tanto la gente di Google. Un po' perché i ragazzi di Silicon Valley sono abituati a lavorare con l' animo leggero di un apprendista stregone, un po' perché sanno che nessuno è davvero in grado di fermarli. E così, mentre la responsabile dei nuovi prodotti Debbie Jeffrey rassicura gli editori («daremo in versione integrale solo i volumi non più coperti da copyright, la stragrande maggioranza; degli altri offriremo solo brevi estratti e la funzione di stampa di ciò che compare sullo schermo sarà inibita»), il vicepresidente di Google per l'Europa, Nikesh Arora, va più in là: «Con la libreria universale rendiamo un servizio alla collettività. Gli editori sarebbero miopi ad opporsi: lo stesso errore fatto trent' anni fa dagli studi cinematografici di Hollywood davanti alla diffusione dei videoregistratori (e poi dei Dvd). Volevano bloccarli e invece sono diventati il loro più redditizio canale di distribuzione». Il declino del libro «fisico» è inevitabile anche per John Battelle, fondatore della rivista «Wired» e autore di «Search», un saggio (ahimè, ancora di carta) dedicato alle potenzialità della ricerca su Internet: «Sta già accadendo, soprattutto negli Stati Uniti, negli ambienti in cui tradizionalmente si maneggia più carta, quella dei giornali e dei libri. E' già una realtà compiuta nei college, dove le biblioteche sono ormai diventate un luogo dove si socializza e si studia, non un luogo dove si cercano testi che sono quasi sempre già disponibili on line». Il «mondo senza libri» è probabilmente solo una formula giornalistica, ma basta la prospettiva di un futuro in cui i volumi verranno archiviati in file elettronici anziché in biblioteche «fisiche» e i testi verranno acquistati on line e stampati a domicilio, per suscitare nuovi interrogativi: «Si può privatizzare la conoscenza del mondo?» si chiede Siva Vaidhyanathan. «Possiamo affidarla a Google e a un altro paio di società private? Biblioteche e università sono fatte per durare, mentre per le imprese è naturale cambiare e anche fallire». Senza dimenticare che le enormi possibilità della tecnologia della rete hanno inquietanti risvolti politici: consultare o scaricare un libro on line significa lasciare una traccia elettronica sulla quale l' azienda si impegna a non svolgere alcun controllo. Ma se è l'autorità di governo a richiederlo, magari adducendo motivi di sicurezza? I recenti cedimenti di Google, Yahoo! e Microsoft alle richieste della censura cinese, un contributo alle indagini miranti a reprimere la libertà di espressione, diffondono una luce livida sull' alba del nuovo giorno.

 

Massimo Gaggi


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