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Già Jacopo da Lentini aveva inaugurato il filone poetico che trattava – sulla scia del trattato di Andrea Cappellano – in maniera ‘scientifica’ del fenomeno amoroso (come ad esempio nel sonetto Amor è un[o] desio che ven da core), ma ora i poeti vogliono approfondirla con le nuove nozioni filosofiche e psicologiche che hanno.
Compito del poeta è annotare (noto dice Dante a Bonaggiunta) e studiare le conseguenze dell’innamoramento. Servono ora conoscenze teoriche che i guittoniani non possedevano.
Dante nel canto XXVIII del Purgatorio specifica questa dottrina e distingue tre momenti dell'iter che segue il sentimento amoroso per ingenerarsi nell'animo umano
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Vostra
apprensiva da esser verace |
(I momento) la vostra facoltà conoscitiva deriva dalla realtà esterna l''immagine, e la elabora dentro di voi, così che fa (volgere l'animo verso quella immagine) e (II momento) se l'animo, dopo aver considerato quella immagine, si inclina verso di lei, quella inclinazione è amore, è una disposizione naturale che per opera della cosa piacevole incomincia a vivere concretamente in voi per la prima volta. (III momento) Poi, come il fuoco tende a muovi verso l'alto per la sua naturale essenza, che è fatta salire alla sfera del fuoco dove, essendo nel suo elemento si conserva più a lungo, così l'animo preso da amore (per cosa piacevole) avverte il desiderio di essa, desiderio che è movimento spirituale, e non trova più pace finché il possesso della cosa amata non gli dà la gioia desiderata. |
Si tratta quindi di un approfondimento antropologico e filosofico di un momento importante della vita di ogni uomo: nello studio della genesi dell'amore viene notevolmente ridimensionato il ruolo del sentimento (nel senso deteriore del termine, che, ai nostri tempi, spesso coincide con l'istinto), per lasciar spazio al filtro razionale. Dal momento che il vero progresso lo compirà Dante nel passaggio dalla Vita nova alla Commedia (specificamente nel canto V dell'Inferno), per ora non approfondiamo le valenze filosofico-antropologiche del secondo momento in particolare; per ora basti aver colto la profondità con cui questi poeti affrontano la tematica amorosa, del tutto sconosciuta ai poeti precedenti.
Su tale esigenza si appoggia la dottrina degli ‘spiritelli’ che sembrano regolare buona parte della vita dell’uomo e dei suoi rapporti con la donna. In particolare l’effetto di smarrimento che la bellezza della donna produce nell'animo dell'uomo è rappresentato, secondo astratti moduli della psicologia del tempo, con la personificazione delle sue facoltà vitali in spiriti e spiritelli, che lottano, sospirano, si esaltano, piangono.
Guido Cavalcanti
1 Deh, spiriti miei, quando mi vedete
con tanta pena, come non mandate
fuor della mente parole adornate
3 di pianto, dolorose e sbigottite?
Guido Cavalcanti
1 Veggio negli occhi de la donna mia
un lume pien di spiriti d'amore,
3 che porta uno piacer novo nel core,
sì che vi desta d'allegrezza vita.
In particolare Cavalcanti che attribuisce all’azione degli “spiriti” le facoltà sensoriali dell’uomo (come ad esempio la vista) o i moti dell’animo (come il tremore). Nel sonetto Voi che per li occhi mi passaste il cuore, Cavalcanti personifica gli spiriti e li trasforma in attori di una vicenda drammatica, che ha come teatro l’interiorità dell’amante.
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Voi che per li
occhi mi passaste ’l core e destaste la mente che dormia, guardate a l’angosciosa vita mia, che sospirando la distrugge Amore. E’ vèn tagliando di sì gran valore, che’ deboletti spiriti van via: riman figura sol en segnoria e voce alquanta, che parla dolore. |
Voi che,
attraverso gli occhi, mi trafiggeste il cuore, e svegliaste la mente addormentata, guardate la mia vita angosciosa, che Amore distrugge facendomi sospirare. L’Amore va ferendo con tanta forza |
Seguendo la filosofia e della medicina averroistica (Averroè è l'intellettuale arabo che tradusse Aristotele e contribuì alla sua diffusione in Europa), con la dottrina degli “spiriti” si spiegano le facoltà sensoriali dell’uomo (ad esempio la vista) o i moti dell’animo (come il tremore). Gli spiriti, secondo la medicina averroistica, si muovono continuamente nel corpo umano (dal cuore alla periferia e viceversa, secondo un percorso che ricorda molto da vicino la circolazione sanguigna) e comunicano agli organi la virtù vitale.
Cavalcanti tuttavia, come aveva già fatto della “mente” al verso 2 (cui si attribuiva metaforicamente un’azione umana, quella del “destarsi”), personifica anche questi elementi costitutivi dell’organismo dell’uomo. Essi si raccolgono a difesa del cuore, ma poi sono sgominati e messi in fuga dall’Amore. L’elenco dei personaggi teatrali però non è ancora completo: sulla scena ci sono anche la “figura” (v. 7), cioè l’aspetto fisico dell’amante, e la sua “voce” (v. 8), elementi che, dopo la disfatta degli spiriti, rimangono in balia dell’Amore.
La persona dell’amante viene dunque scissa in tante dramatis personae che mettono in scena l’azione “teatrale” della battaglia, da cui l’Amore esce trionfatore e l’uomo “disfatto”. È chiaro che siamo molto lontani da una immediata e soggettiva trascrizione del sentimento: ci troviamo di fronte a una rappresentazione oggettivata, di validità universale, delle conseguenze della passione amorosa, rappresentazione che obbedisce ai canoni della retorica medievale.