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Come Guinizzelli, Cavalcanti affida la sua visione dell’amore a una canzone dottrinale, Donna me prega, che risulta estremamente difficile da comprendere. Forniamo, quindi, un sunto delle più importanti affermazioni teoriche contenute in esso.
1) Come sappiamo, la canzone Al cor gentil rempaira sempre amore di Guinizelli metteva in relazione l’amore con la luce, il calore, il benefico influsso delle stelle sulle pietre preziose. Per Cavalcanti invece l’amore si forma
d’una scuritate
la qual da Marte — vène […]. (vv. 17-18)
Marte è, come sappiamo, il dio della guerra, e l’amore è da Cavalcanti rappresentato proprio come una guerra. Ma il riferimento a Marte ha anche un altro significato. Secondo l’astrologia medievale, Marte è pianeta maligno e chi si trova sotto la sua influenza è colpito da un oscuramento intellettuale. In Cavalcanti l’amore viene appunto designato come una forza oscura, che produce un annebbiamento intellettuale. Se teniamo conto del fatto che la luce viene solitamente associata, metaforicamente, alla conoscenza (come è facile rilevare in Guinizzelli), possiamo già comprendere come in Cavalcanti l’amore, associato all’oscurità, sia necessariamente contrapposto alla conoscenza.
2) Eppure, a prima vista, l’amore sembra una forma di conoscenza. Esso
Vèn da veduta forma che s’intende,
che prende — nel possibile intelletto,
come in subietto, — loco e dimoranza. (vv. 21-23)
L’amore proviene da una «veduta forma» (potremmo spiegare come “la visione della bellezza”), «che si intende»: cioè questa «forma» può essere conosciuta dall’intelletto. Ora, sia l’amore che la conoscenza nascono da una percezione dei sensi (in questo caso la vista). E sia l’amore che la conoscenza hanno, a prima vista, come oggetto, qualcosa di universale (Cavalcanti non ci parla di una donna, ma usa il termine aristotelico «forma»). Possiamo dire che la bellezza, forma ideale e perfetta, si manifesta sensibilmente attraverso la donna. Da qui, l’uomo dovrebbe poter risalire alla conoscenza intellettuale della «forma».
3) Perché, allora, l’amore non si trasforma in conoscenza? Possiamo immaginare la conoscenza come un processo che si articola in varie fasi: comincia dai sensi, passa attraverso la memoria e procede ancora oltre, trasformandosi in conoscenza intellettuale della «forma», capace di prescindere del tutto dai sensi (ai quali anche la memoria è legata: noi ricordiamo solo ciò che abbiamo percepito con i sensi). Ebbene, Cavalcanti sostiene che l’amore
in quella parte — dove sta memora
prende suo stato […]. (vv. 15-16)
L’amore cioè si insedia e abita stabilmente («prende suo stato»), in quella parte dell’uomo in cui si trova la memoria. Il processo che genera l’amore, pur simile a quello della conoscenza, si arresta cioè prima di arrivare all’«intelletto». Ma cos’è questa «parte» dove sta la memoria, in cui si insedia stabilmente l’amore? Per Averroè la virtus memorativa ha sede nell’anima sensitiva, una delle tre partes animae di cui parla Aristotele. L’anima, di cui la memoria fa parte, non è però per Cavalcanti l’anima immortale. La memoria (che Cavalcanti designa spesso con il termine «mente») risiede, fisicamente, nel cervello del singolo uomo (cervello che, per Averroè, è una sorta di diramazione periferica del cuore). Ma la conoscenza intellettuale non è opera di quest’anima, non si produce nel cervello del singolo individuo. Per Averroè infatti all’atto intellettivo non corrispondono organi corporei. La conoscenza si attua invece nell’intelletto possibile4, che è una sostanza separata dal singolo individuo e unica per tutta l’umanità. Tutti gli uomini, con la mediazione dell’anima sensitiva, entrano in contatto con questo intelletto universale: le nostre percezioni arrivano all’intelletto e si trasformano in conoscenza. Tutti gli uomini, al tempo stesso, sono in grado di ricevere la conoscenza dall’intelletto. Ma, per far questo, essi devono spingersi oltre i limiti corporei di «quella parte dove sta memora».
4) Il fatto che l’immagine della donna amata che produce l’amore (un’immagine mentale che i medievali designavano con il termine phantasma) si fissi e abiti stabilmente nella memoria del singolo individuo è in ultima analisi la ragione per cui l’amore (che a prima vista assomigliava a un processo di conoscenza), finisce poi per impedire la conoscenza. L’oggetto da cui si origina l’amore (la «veduta forma che s’intende») è infatti lo stesso oggetto della conoscenza intellettuale; ma il soggetto della conoscenza è diverso: la forma, quell’idea universale che, apparendoci sotto spoglie sensibili, ha appunto causato l’amore, prende «loco e dimoranza» nell’intelletto possibile, unico e separato, vero e incorporeo soggetto della conoscenza. Rimanendo invece fissato all’immagine conservata nella memoria, l’uomo innamorato è destinato a essere escluso dalla conoscenza. La passione non lascia che l’uomo miri nel loco dove c’è la forma ideale, ma lo fa guardare in un non formato loco.
5) In definitiva, la prevalenza di immagini oscure e tormentose nella poesia di Cavalcanti ha una precisa ragione filosofica. Secondo la dottrina averroistica la conoscenza non comporta né dolore né piacere: essa è contemplazione del vero. È facile capire che l’innamorato, sospeso tra il dolore e il piacere sensuale, non può mai pervenire a essa. L’intelletto, sede della conoscenza, non può essere turbato dalla passione d’amore. L’anima sensitiva, sconvolta dalla passione d’amore determinata dal continuo ricordo della donna, non può elevarsi alla conoscenza.