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Nel primo atto del Punitore di se stesso il protagonista Menedemo, padre pentito della sua durezza nei confronti del figlio, rivela al vicino Cremete gli antefatti della vicenda, e questi, tutto innervato dell'humanitas propria deipersonaggi terenziani, afferma:
Sono convinto che tu hai la stoffa di un buon padre, lui quella di un figlio rispettoso, a saperlo prendere per il suo verso. Il guaio è che tu non conosci abbastanza lui, e lui te. E perché va così? Perché non si vive secondo verità. Tu non gli hai mostrato quanto lo amassi, lui non si è mai permesso quella confidenza che è giusto avere con il padre. Fosse andata così, tutto questo non sarebbe successo.
(Heautontimorumenos, vv. 151 - 157)
Cremete nell'ambito della commedia è il portatore delle idee di Terenzio stesso e in questo caso mette in evidenza una novità assoluta per il pubblico romano, cioè che alla base del rapporto padre-figlio deve esserci la confidenza, la fiducia reciproca.
Si tratta di una novità assoluta perché il romano di quel periodo per lo più condivideva le idee catoniane sull'educazione, che erano poi quelle del mos maiorum: il pater era essenzialmente dominus, cioè padrone.
Nei primi versi dei Fratelli, altra commedia legata al tema dell'educazione dei figli, Micione, esponendo le differenze fra lui e il fratello Demea, illustra dei principi pedagogici certamente molto vicini a quelli di Terenzio e del Circolo degli Scipioni:
Io la penso così (e mi regolo di conseguenza): chi fa il proprio dovere per timore di un castigo, finché pensa che la cosa si verrà a sapere, sta attento; ma se spera di farla franca, torna a seguire la propria indole. Quello che ti sei conquistato trattandolo bene, agisce spontaneamente, cerca di contraccambiarti: che tu ci sia o no, si comporterà allo stesso modo. Questo è il compito di un padre, abituare suo figlio ad agire onestamente da solo, anziché per paura degli altri: è questa la differenza che c'è tra il padre e il padrone.
(Adelphoe, vv. 67 - 77)
Con quest'ultima affermazione Terenzio sconvolge del tutto il mos maiorum in cui si rispecchiavano la maggior parte dei romani a lui contemporanei.
Nei versi precedenti Micione afferma in relazione a Eschino, il figlio naturale di Demea che lui ha adottato e cresciuto come un figlio proprio:
Io ho adottato il maggiore, l'ho allevato fin da bambino, l'ho considerato e amato come se fosse mio, è tutta la mia gioia e consolazione. Faccio di tutto perché mi contraccambi: gli concedo, lascio correre, non ritengo necessario agire in tutto secondo il mio diritto; e poi, quelle ragazzate che gli altri fanno di nascosto dal padre ho abituato mio figlio a non nascondermele. Perché chi avrà l'abitudine di mentire a suo padre, o avrà il coraggio di ingannarlo, tanto più lo avrà con gli altri. Sono convinto che sia meglio frenare i figli col rispetto e con l'indulgenza piuttosto che con la paura.
(Adelphoe, vv. 50 - 57)
In particolare è utile segnalare i versi 51-52: non necesse habeo omnia | pro meo iure agere, cioè «non ritengo necessario agire in tutto secondo il mio diritto». Il carattere rivoluzionario dei versi terenziani sta nel fatto che qui sembra mettere in discussione proprio il diritto che il padre poteva e doveva esercitare sui propri figli, cioè la patria potestas.
La patria potestas
Nella
Roma di età monarchica e repubblicana l’insieme delle famiglie discendenti
da un unico capostipite formava la gens (famiglia),
i cui appartenenti si chiamavano gentiles ed
erano uniti fra loro da reciproci doveri, particolarmente legati da cerimonie
culturali in onore del capostipite.
La familia era costituita non solo dalla madre e dai liberi (figli sia maschi che femmine), ma anche da tutti gli altri abitanti (parenti, schiavi, maestri, inservienti, amici, ...) e dai beni di un'unica casa sottoposti ad un unico pater.
Si costituiva quindi un nucleo, basato non soltanto su un rapporto naturale, ma anche un’organizzazione religiosa e politica, fondata sul culto degli antenati e retta dal pater familias, che aveva sui membri un potere assoluto (patria potestas). Questi svolgeva il ruolo scontato di marito e di padre, ma anche di sacerdote dei riti domestici (sacra privata), dedicati al Lar familiaris, la divinità protettrice della casa, e al Genius, il dio della linea parentale maschile.
Svolgeva la funzione di giudice domestico, in grado di emettere sentenze, anche capitali, contro tutti i membri della famiglia che avessero commesso un reato; rispondeva, inoltre, davanti al magistrato e alla legge di tutto ciò che avveniva nel suo ambito familiare. Poteva disporre a suo piacimento del patrimonio familiare (res familiaris) ed era padrone di tutti gli schiavi (famuli) presenti in casa, come anche era patronus, cioè il protettore, di una serie di liberti, schiavi liberati e di clienti, uomini liberi a lui legati da un vincolo di reciproca protezione e assistenza.
La patria potestas si esercitava nei seguenti ambiti:
riconoscere il figlio o esporlo, perché sgradito , perché deforme, ...
assegnare il praenomen;
scegliere l'erede, di solito il primogenito;
avere il diritto di vita e di morte, ius vitae necisque;
decidere al posto dei figli il loro futuro matrimonio.
In età repubblicana l'organizzazione statale portò ad un maggior controllo e limitazione della patria potestas. Con la tarda età repubblica e l'età imperiale la famiglia entra in crisi, tanto che Augusto cercò di tutelarla con diverse leges.
Dal II secolo dopo Cristo cade in disuso il diritto antico e infatti, sotto l'imperatore Adriano (117 - 138 dopo Cristo) decade il diritto di vita e di morte che aveva il padre nei confronti di qualsiasi membro della famiglia. Sotto Costantino (306 - 337 dopo Cristo) è punito l'omicidio del figlio da parte del padre.
Nel Digesto, raccolta del sesto secolo dopo Cristo delle leggi romane di età imperiale, si dice che base della patria potestas è l'affetto reciproco e non l'eccessiva severità.
Alla luce di questi dati ci possiamo rendere conto di quanto potesse suonare nuova e quasi strana la rinuncia da parte di Micione ad esercitare tutti i suoi diritti di padre nei confronti del figlio.
C'è comunque da aggiungere che Terenzio non rifiuta in maniera netta e decisa la tradizionale patria potestas, ma indica come vie più vere la comprensione e l'ascolto reciproci per 'rigenerare' un rapporto più maturo: sia padre che figlio in Terenzio sono più umani, più veri, più esperti del male che dà l'anarchia e la schiavitù alle passioni e questo è il messaggio che sembra suggerire Terenzio al pubblico di tutti i tempi.