Studi precedenti

      
Numerosi studi interessano le vulcaniti ed in particolare i pillows degli Iblei. Sartorius von Waltershausen (1846 e 1853) definì le ialoclastiti “tufi palagonitici” considerando  “palagonite” un minerale formatosi come prodotto di alterazione dell’acqua del mare sul materiale vulcanico. Per spiegare la genesi dei grossi pillows della zona di Vizzini  Gemmellaro (1833) ammette una rapida contrazione del magma in presenza dell’acqua marina mentre Platania (1902-1903) considera una iniezione di lava basaltica in un fango marino talmente denso da costringere la lava a dividersi in globuli. Vuagnat (1959) cerca di spiegare gli accumuli di frammenti di pillows in matrice vetrosa, ricorrendo a tre ipotesi possibili: deriverebbero da vetro sgretolato dalla superfice esterna dei pillows o perché questi continuavano a gonfiarsi o per il raffreddamento brusco che determina una sorta di granulazioni o per la pressione che esercitano gli elementi volatili che non possono liberarsi attraverso la crosta già solidificata.
Carapezza e Morandi (1966), distinguono tre tipi diversi di ialoclastiti:

a) tufo a frammenti basaltici spigolosi ed eterogenei tenuti insieme da materiale grigiastro molto fine;
b) ialoclastite con pillows o con frammenti di pillows immersi in una matrice quasi esclusivamente vetrosa e trasformata in un materiale grigiastro;
c) ialoclastite stratificata con strati a spessore variabile.
Secondo Sigvaldason (1968) i fattori che regolano la genesi dei pillows o dei materiali vulcanoclastici a grana più minuta sono:
1) pressione dell’ambiente in cui si ha l’attività eruttiva;
2) squilibrio che si genera al momento dell’attività eruttiva fra la pressione esterna (relazionata alla profondità del bacino) e la pressione parziale dei gas che si liberano dalla lava.
Questi fattori influenzerebbero l’intensità dei fenomeni esplosivi: le brecce a pillows vengono quindi interpretate come prodotti di fenomeni esplosivi di minore intensità rispetto a quelli che generano le brecce vulcanoclastiche più minute.
Cristofolini (1969), nell’esaminare le manifestazioni basiche sottomarine del Pliocene inf. nota una maggiore estensione e potenza di quelle del Miocene sup. ed una generale assenza di xenocristalli femici con le strutture di reazione riconosciute nelle vulcaniti supramioceniche; inoltre, in alcuni casi, vengono rilevati nei clasti vetrosi e nell’involucro più esterno dei pillows abbondanti cristalliti plagioclasici, assenti nelle brecce supramioceniche. 
I prodotti di alterazione delle vulcaniti iblee sono stati studiati, negli ultimi anni, da vari autori tra cui Carapezza e Morandi (1966). In questo caso la genesi delle alterazioni montmorillonitiche nelle ialoclastiti iblee  viene indagata sottoponendo il vetro vulcanico presente in esse, a vari cicli termici condotti a 250, 500, 1000 bars di pressione a temperature comprese fra 300°C e 780°C utilizzando un dispositivo in grado di riprodurre, durante i cicli, una Ptot = PH
2O. I dati sperimentali permettono, ai due autori, di dedurre che le montmorilloniti presenti nelle ialoclastiti iblee sono il risultato di una trasformazione primaria avvenuta quasi contemporaneamente al processo che ha dato luogo alla formazione delle ialoclastiti stesse; inoltre la formazione di montmorillonite sarebbe avvenuta più rapidamente nelle prime fasi delle eruzioni sottomarine quando la presenza di fenomeni esplosivi e l’eiezione di materiali più minuti esponeva all’azione dell’acqua superfici più grandi di quelle che potevano aversi nei successivi espandimenti.

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