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FRA LA METEO E LA PUBBLICITÀ: L'IMPERO CONTRATTACCA

Lei dice: la guerra fra la meteo e la pubblicità.
Io dico: pagina liscia, pagina bianca, meglio, un buco.
Ammazzano, bombardano, mentre gli altri fanno pulizia. Etnici sono gli uni e gli altri. Chi sia più feroce, questo è il solo problema.
L’arte militare e quella dell’uccidere sono da sempre fratellini che si divertono in maniera immonda sotto la stessa coperta. Lo Stato-nazione ci fa sentire dappertutto la sua putrefazione: ma la puzza dell’Impero che nasce è talmente forte che neppure la meteo (depressione sull’Atlantico) e la pubblicità della più casta delle puttane catodiche (per un profumo inutile) riescono a evitare il vomito degli spettatori.
Mi metto dalla parte di quelli che scappano. “Esodano” -- non so se si possa dire. “Esodare”: non c’è nessun Petit Robert, nessun Webster’s che ci possa dire come si coniuga.
Ma guardate la TV: fra la meteo e la pubblicità, fra le immagini neutre e tecnologiche della guerra e quelle dei corpi morti che non riescono ad occupare lo schermo, fra le immagini del nulla e le non-immagini dell’orrore, li vedrete: migliaia di uomini riuniti nell’andarsene. “Esodo.” Da cosa fuggono ? Migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia...
Fra meteo e pubblicità, il corrispondente di guerra ci dice che fuggono dalla “pulizia etnica”. Ha probabilmente ragione. Ma che le bombe siano importanti in questa loro fuga ? Oppure -- ipotesi impossibile fra meteo e pubblicità -- è la loro miseria, incentivata dalle bombe, che li spinge a fuggire ? Fuggire: non verso il nulla, non verso l’abisso, ma verso la ricchezza, verso il lavoro... Quanta disoccupazione c’è nel Kossovo ? Quanto lavoro “nero” per quelli che lavorano ?
Perdonate la volgarità della mia domanda, ma i massacri degli uni e le bombe degli altri si aggiungono alla miseria, non la cancellano. La domanda era altrettanto volgare sei mesi fa, quando le guardie costiere italiane respingevano le ondate di profughi albanesi sbarcati sulle spiagge pugliesi. Esodo, domanda insolubile. Oggi, la fuga è un imperativo di sopravvivenza. Ma è anche, e lo è sempre stato, una ricerca.
Ricerca di libertà e di felicità.
Kossovari, non fatevi chiudere nei campi.
Italiani, non sparate sugli Albanesi che attraversano l’Adriatico.
Che cos’è il campo ? Fra meteo e pubblicità, ci dicono che il campo è la fine della bufera -- guarda, sembra la meteo -- ; ci dicono che è la possibilità di un ritorno -- guarda, sembra la pubblicità per le Assicurazioni -- . Se fossi in un campo, l’unica cosa che avrei in testa sarebbe di fuggire. Se venissi dalla miseria, se fossi sopravvissuto alla follia degli uni e degli altri, vorrei fuggire verso la libertà e la ricchezza. Perché questi militari e questi volontari che mi circondano sono vestiti come i presentatori della TV ? Perché gli uomini e le donne che mi assistono hanno le stesse movenze della gente che si vede nella pubblicità per le Assicurazioni, quando io sembro uscito da un film-catastrofe ? Perché la meteo mi è presentata da un colonnello dell’Aviazione ? E perché il colonnello della meteo assomiglia così tanto al colonnello della NATO che ha distrutto il mio villaggio, dopo che i Serbi lo avevano pulito del poco che vi rimaneva, vite incluse ?
Il campo sta fra la meteo e la pubblicità. Distruggiamolo.
Naturalmente, non abbiamo nulla contro la meteo e la pubblicità: la prima ci fotte il week-end e la seconda ci consola della nostra triste delusione. Uno punto a testa, les jeux sont faits.
Invadiamo i terreni della meteo e della pubblicità. Che assurdo potere di fascinazione essi determinano. E’ il fascino della ricchezza, del benessere della ricchezza. La religione ortodossa (come quella cattolica) ci hanno sempre detto che la ricchezza non è una cosa da perseguire in sé se vogliamo andare in Paradiso. C’è tuttavia qualche caso in cui il peccato dovrebbe essere ammesso: non pensate che nel campo io possa aver voglia, piuttosto che ritornare alla mia miseria, di vivere a Berverly Hills ? Datemi un battello, datemi una barca, datemi una speranza di raggiungere l’altra costa dell’Adriatico.
E merda a tutti quelli che me lo negano.
Voglio disertare il campo della morte: quello della pulizia, quello delle bombe-per-ripulire-quelli-che-puliscono, quello della miseria. Voglio essere sporco, nero, meticcio, ma degno quanto gli altri. Voglio essere libero. Voglio essere contro la guerra e contro le bombe: nessuna guerra è più giusta di un’altra, se non per i Signori del Potere. Sono io il massacrato, il bombardato, l’uomo costretto alla fuga, l’uomo chiuso in un campo - quello che, sterminato dagli uni o salvato dagli altri, comunque soffre. Abbasso la guerra.
Gilles Deleuze, Félix Guattari e Michel Foucault sono morti. Quale sarebbe stata la loro valutazione di questa guerra in/per/contro il Kossovo ?
E’ difficile avere dubbi, tutto questo sembra evidente. Per la pace e non per la guerra, per i Kossovari e contro Milosevic, per la libertà e contro l’Impero.
Lei dice: la guerra fra la meteo e la pubblicità
Lui dice: non sappiamo più che dire, siamo soffocati.
Maledetta guerra ! Maledetta pace !
Che cos’è la pace ormai ? Me lo chiedo con angoscia. La pace è il risultato del tranquillo sviluppo della meteo e della pubblicità: cioè, come direbbe qualcuno (indovinello: chi ?), dello sviluppo dell’Impero. Viva la pace, viva la meteo, viva la pubblicità. Ma forse, se non ci fosse la guerra, la pubblicità e la meteo non avrebbero la possibilità di essere vendute come sollievo della nostra angoscia. Ed anche la pace: chi potrebbe proporla come valore se non ci fosse la realtà della guerra, chi potrebbe farne un valore se non ci fosse il rischio del suo contrario ? Se fosse possibile dimenticare che la guerra è dietro l’angolo, e che dista ormai dall’Europa solo la larghezza della Laguna di Venezia ?
Io dico: forse fanno la guerra per mostrare quanto la pace è importante. Dunque, la guerra non è una rottura, una negazione, ma una condizione della pace. Davvero ? Da qualche parte lo dice Dedalus, nell’Ulysses di Joyce.
Per non parlar dei grandi bischeri che costituirono la storia del pensiero politico... La guerra è la condizione della pace. Nella meteo, significa la pace come pubblicità del bel tempo.
Lei dice: il bel tempo qui al campo, oppure il cattivo tempo altrove, non è poi cosi diverso: a me fa male.
Vorrei essere nei campi con i Kossovari. Organizzerei con loro bande di migranti che percorrerebbero un mondo distrutto dalla guerra. Avete mai letto Semplicissimus nella Guerra dei Trent’anni ? Avete mai letto il Discours de la Méthode, questa grande ricerca di “altro” fra l’alternativa analoga di guerra e di pace ? Avete mai letto Mutter Courage, di Brecht ?
Noi ci lasciamo morire nei campi, la felicità non fa per noi.
Ma la felicità è resistere; è disertare la scelta fra pace e guerra. La vostra guerra non è la nostra, la vostra pace non è la nostra, solo la sofferenza ci appartiene.
Pace e guerra: vogliamo che entrambi questi nomi scompaiano. Guerra e pace. E vorremo tanto che scomparisse la meteo; e la pubblicità, che scomparisse anche questa, soprattutto questa.
Io sono qui con la testa a pezzi, svegliandomi con lo stordimento di un eroe di Stendhal che ha attraversato la piana di Waterloo con lieve ritardo. Stordimento da imbecille: è meno letterario ma è altrettanto triste. Recupero la mia corporeità come dopo l’esplosione di uno shrapnel nella fossa di Verdun, non è più Stendhal ma Céline, sempre più triste, sempre più stupido.
Basta con questo mondo di morte che continua a distruggere la vita. Basta con la guerra e con i sacrifici per mantenere una pace che le assomiglia come una sorella gemella. Basta con la pace: vogliamo la vita.
Vogliamo la vita: il contrario di quello che dicevano -- non è un paradosso da poco -- sia i nazisti che i liberali americani. Hanno detto: non più vita ma pace, non c’è pace possibile se la vita non si adatta alla nostra pace, al nostro egoismo.
Signori, siete dei maiali.
Diserzione, diserzione. Infinita, continua diserzione.
Diserzione come solo eroismo possibile. E ancora diserzione, come sola possibilità di ricostruire la vita, di essere vita.
Un partigiano veneziano, nel 1943, nel mezzo della guerra di resistenza contro i nazisti tedeschi e i fascisti italiani, mi diceva: “Bisognerebbe
distruggere tutti i monumenti al Milite ignoto. Bisognerebbe costruire steli al disertore. Questo non toglie niente ai soldati che sono morti: anzi, noi vogliamo solo ricordare il loro desiderio di diserzione, là, nel momento in cui furono uccisi in nome della loro funzione, della loro bandiera, della loro appartenenza, e rendere omaggio a questo desiderio.
Vogliamo onorare solo quelli che combattono per la felicità degli uomini, contro le gerarchie di Stato, contro gli interessi strategici, contro gli ordini dall’alto”.
Kossovari, avete il diritto di vivere: questo diritto vale più di una previsione meteorologica o di un dentifricio al fluoro.

Toni Negri, maggio 1999


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