AFGHANISTAN

Afghanistan: dopo la "liberazione", torna l'oppio.

KABUL - Da quando il regime dei taleban è stato sconfitto dalle bombe americane il mondo ha pressoché dimenticato l'Afghanistan e i suoi problemi. Ma a parte le continue faide tra Signori della Guerra che governano vaste regioni da nord a sud, gli attentati dei residui guerriglieri filo bin Laden, i disagi dei profughi che sono rientrati in Afghanistan senza casa e lavoro, c'è almeno un aspetto del disastro post bellico che non riguarda solo questa terra sfortunata e maledetta: la ripresa in grande stile della produzione d'oppio.

L'Afghanistan è tornato a essere infatti un gigantesco campo di papaveri e col prossimo raccolto si prevedono 4000 tonnellate di sostanza grezza da trasformare in eroina per i mercati occidentali. Un fenomeno che l'Occidente farebbe bene a non sottovalutare come gli altri, sebbene la miccia sia ormai innescata e le grandi mafie cinesi, nordafricane, europee e americane siano già pronte a distribuire il prodotto raffinato ai livelli del grande boom degli anni '80 e '90.

Quando il regime di mullah Omar ne vietò la produzione considerata "antislamica" i trafficanti si erano serviti dell'oppio birmano e delle enormi scorte afghane ammassate nei depositi segreti. Ma ora che il Paese è in fase di ricostruzione con ben pochi fondi e molta anarchia soprattutto nelle regioni lontane da Kabul e dai soldati del neopremier Karzai, coltivatori di professione, contadini riciclati e profughi senza lavoro si sono concentrati nella più redditizia deIle semine. Non serve infatti molta acqua e il terreno da nord a sud, da est a ovest si presta in modo eccellente a far crescere i bulbi che in primavera inoltrata vengono tagliati e incisi per ottenere il liquido denso e appiccicoso che attrae come mosche le peggiori e più spietate mafie del mondo.

Gli ispettori di vari organismi del governo pakistano e delle Nazioni Unite hanno visitato centinaia di distretti e in ben 134 sono stati scoperti campi di papavero cresciuti in aree dove prima c'erano grano e mais, o terra secca e improduttiva. Come nella regione di Bamyian, celebre per i Buddha giganti fatti saltare con la dinamite dai taleban alla vigilia dell'11 settembre,e a Ghor, dove l'80 per cento del terreno secondo Nasir Amhed del programma antidroga delle Nazioni Unite - è ormai coltivato a papavero. Ma la maggiore concentrazione resta quella dell'Hemand, a sud, e del Nangahar, vicino al confine pakistano, dove tradizionalmente si produce il 25 per cento del totale.

Dalla capitale Jalalabad verso nord, dove imperano Signori della guerra potenti come il tajiko Dostum che ha costruito le sue passate fortune proprio sull'oppio, è un fiorire di petali color bianco e ciclamino pronti a cadere per lasciare i bulbi turgidi e verdissimi. Una volta raccolto sarà raffinato in loco (l'esiguo esercito afghano ha ben altro di cui occuparsi) o nelle cosiddette aree tribali del Pakistan, territori praticamente senza legge dove i malik, i capitribù, partecipano agli utili in misura assai maggiore dei poveri braccianti pagati, quando va bene, un euro e mezzo al giorno. Una cifra comunque assai superiore a quella guadagnata con prodotti legali come il grano, che rende poco più di due dollari al mese a chi lo raccoglie.

Qui i mediatori della grande distribuzione mafiosa si muovono liberamente acquistando in grandi quantità il prodotto occultato in mille modi diversi e trasportato via terra attraverso i confini con le ex regioni sovietiche, l'Iran, l'India stessa, oppure attraverso il Pakistan fino a Karachi e da qui nel resto del mondo. Già lo scorso anno, con una produzione ancora nettamente inferiore a quella prevista da qui a breve, gli inglesi valutarono che l'eroina afghana rappresentava circa il 90 per cento di tutta la droga venduta nel Regno Unito.

Le Nazioni Unite, fedeli a una politica che altrove aveva dato qualche frutto, si offrirono di rimborsare l'equivalente di 350 euro per ogni quarto di ettaro trasformato da papavero in prodotto agricolo. Ma l'effetto non è stato affatto quello sperato, anzi. I più furbi intascarono i soldi e finsero soltanto di distruggere i campi, limitandosi a piccoli appezzamenti. Altri distrussero le piante ma non ricevettero nulla in cambio e quest'anno ne hanno seminato più del doppio per rifarsi della beffa. Infine come denunciò il governatore di Badakshan Sayed Tariq altri ancora si trasformarono in coltivatori d'oppio attratti proprio dall'incentivo.

La sconfitta della comunità internazionale e dei governi regionali nella lotta all'eroina afghana ha motivazioni antiche e nuove, dai tradizionali legami dei Signori della guerra e della terra con le mafie di tutti i tipi che hanno per secoli usato le rotte afghane per ogni genere di traffici tra Oriente e Occidente, al recente senso di colpa per non aver aiutato adeguatamente dopo la fine della guerra le popolazioni bombardate e disperse alle quali erano state promesse migliori condizioni di vita una volta cacciati i taleban dal potere.

Ma il mondo dei potenziali consumatori principalmente quello occidentale dovrebbe valutare attentamente le conseguenze di una nuova invasione massiccia d'eroina sui mercati e cercare di capirne anche le motivazioni. Se è vero che da una parte l'oppio può sfamare famiglie di contadini con dieci, quindici figli, dall'altro non va sottovalutato l'incentivo "ideologico" per vaste fasce di popolazione di fede islamica, profondamente antiamericane e antioccidentali, ben consapevoli delle conseguenze che può avere la diffusione della loro merce di morte proprio tra gli odiati "infedeli".

Del resto la produzione in grande stile è cominciata non solo in Afghanistan ma anche all'interno delle aree tribali dove si nascondono i residui di Al Qaeda e dei taleban sotto la giurisdizione del governo pakistano, a nord, nell'Agenzia di Kurram, e a sud, nel South Waziristan e nel poverissimo Baluchistan.
di RAIMONDO BULTRINI
(2 maggio 2003)

http://www.repubblica.it/online/esteri/oppio/oppio/oppio.html