AFGHANISTAN

I metodi di tortura a Guantanamo

Sabina Morandi - Il 13 marzo scorso i giudici della Corte d'Appello di Washington hanno confezionato un capolavoro di logica paradossale. E' vero che la Costituzione statunitense vieta la detenzione senza processo, argomentavano i giudici, ma i detenuti di Guantanamo Bay non risiedono in un territorio posto sotto la sovranità Usa visto che la base è stata illecitamente sottratta al territorio cubano - o meglio affittata un secolo fa, e poi mantenuta. Il ricorso presentato dagli avvocati di 16 prigionieri kuwaitiani, inglesi e australiani è stato così respinto, con grande gaudio del ministro della Giustizia John Ashcroft, che ha definito la sentenza «un'importante vittoria nella guerra contro il terrorismo». I 650 detenuti di Guantanamo possono quindi continuare a galleggiare in un limbo legale dove non sono protetti né dalle leggi statunitensi né dalla Convenzione di Ginevra, in quanto non è stato riconosciuto loro lo status di combattenti.


Vecchi e bambini
Da un anno 650 persone appartenenti a 42 diverse nazionalità vengono tenute prigioniere in un lager di lamiera senza che sia mai stata formalizzata alcuna accusa, senza alcuna possibilità di parlare con avvocati o parenti e senza che gli sia stata prospettata alcuna "fine della pena". Sono arrivati lì ammanettati e bendati, quasi sempre sotto barbiturici, su dei voli segreti partiti dalle zone più remote del pianeta. Per la maggior parte provengono dal teatro della guerra afghana ma ci sono anche casi differenti, come quello dei sei algerini catturati in Bosnia-Herzegovina o dei due giordani arrestati in Gambia nel novembre scorso, casi descritti da un funzionario dell'Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite come "rimozioni extragiudiziali da un territorio sovrano".

Le poche notizie che provengono dal campo di detenzione si possono desumere dalle testimonianze dei primi rilasciati che hanno raccontato di torture psicologiche e fisiche, testimonianze naturalmente subito liquidate come menzogne anche se suffragate da alcuni dati impressionanti: 25 tentati suicidi, abbondante utilizzo di psicofarmaci e due decessi per "trauma da corpo contundente", come riportato nel referto medico reso noto all'inizio di marzo. L'ultima notizia è che in un campo di prigionia dove, secondo quanto dichiarato da Jan Mohamed, uno dei ventidue rilasciati, i «detenuti vengono legati fra i bersagli del poligono di tiro», risultano rinchiusi anche degli ultraottantenni e ben cinque bambini.

Sebbene le autorità della base abbiano cercato di rassicurare l'opinione pubblica sostenendo che le condizioni di detenzione dei ragazzi - 13 anni il più piccolo e 16 il più grande - sono "meno restrittive", Amnesty International/Usa ha denunciato le autorità statunitensi per avere "palesemente violato le convenzioni internazionali interrogando bambini e detenendoli senza dar loro la possibilità di incontrare dei famigliari o i loro tutori legali", violazione ancora più grave in quanto "l'anno scorso gli Stati Uniti hanno ratificato il trattato contro il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, che riaffermava il diritto dei bambini a godere di una speciale protezione". Gli ultraottantenni sarebbero invece due - uno di 88 e uno di 98 anni - mentre il terzo è stato rilasciato da poco. Hji Faiz, questo il nome del novantenne, ha raccontato di aver passato mesi attaccato ad una flebo, e di essere stato utilizzato per ricattare i giovani: «Se non parlate, dicevano, lasciamo morire il vecchio».


Il mondo apre gli occhi
Corre voce che Guantanamo stia diventando terreno di scontro dell'ennesimo conflitto fra le colombe stile Powell e i falchi stile Ashcroft, con Rumsfeld a fare da mediatore promettendo ulteriori rilasci. E' molto probabile che lo scambio di lettere e di dichiarazioni fra le due fazioni si risolva nell'ennesima sceneggiata fra il poliziotto buono e quello cattivo, ma è certo che la questione del lager di Guantanamo sta cominciando a diventare un problema per la poco diplomatica diplomazia dell'impero.

Finalmente, dopo più di un anno di silenzio dei governi, i paesi cominciano a chiedere chiarimenti sulla sorte dei propri cittadini. Oltre alle già citate Australia e Gran Bretagna, cominciano a farsi sentire anche Russia, Spagna, Pakistan, Algeria e perfino il Canada, paese d'origine di uno dei bambini. Ma è la Francia, paese di cui sono cittadini sei detenuti di Guantanamo, ad alzare per prima la voce. L'ha fatto l'altro ieri per bocca del ministro della giustizia Dominique Perben che, durante le riunioni preparatorie per il G8 di Evian, ha dichiarato che «non si può restare in questa situazione di non-diritto ancora per molto». Il ministro non può ignorare le pressioni provenienti dal comitato formatosi in Francia per difendere i "combattenti illegali" catturati in Afghanistan, come sono stati definiti da Ashcroft per giustificare il mancato rispetto del loro status di prigionieri di guerra, status che in passato è stato garantito perfino ai gerarchi nazisti. Oltre ad assicurare che le rarissime lettere super-censurate riescano ad arrivare ai parenti, il comitato dà una mano anche a organizzare le mosse del collegio legale, l'ultima delle quali è stata la denuncia per detenzione arbitraria al tribunale di Lione. Gli altri, i prigionieri di serie B che provengono da paesi meno importanti dello scacchiere internazionale o addirittura dissolti - come nel caso dei cittadini iracheni - possono solo contare sull'effetto mediatico. Se francesi e russi cominciano a rompere le scatole magari qualcuno si accorgerà di loro.

Che le giustificazioni al trattamento in corso a Guantanamo Bay siano sempre più esili lo si può desumere dalle parole dello stesso Rumsfeld che, qualche tempo fa, ha disinvoltamente ammesso: «certe persone sono detenute non per ciò che hanno fatto ma per quello che potrebbero fare contro l'America». La sensazione è che il campo di concentramento per oppositori planetari stia diventando un boomerang.

Un anno di arresti indiscriminati e trattamenti disumani non sono serviti a ottenere alcuna indicazione utile nella guerra contro il terrorismo, malgrado sia stato denunciato più volte l'impiego della tortura, dalle percosse alla deprivazione sensoriale, fino a negare le cure mediche a chi ne ha bisogno. Secondo Alex Arriaga «il fatto che le autorità statunitensi ancora non abbiano negato categoricamente l'impiego di tecniche di tortura può creare la percezione che simili tecniche siano considerate accettabili» o può suonare come una velata ammissione da parte di un paese che ha firmato la Convenzione contro la Tortura impegnandosi a "debellare la pratica della tortura ovunque nel mondo" per citare le parole di Bush.

Il lager di Guantanamo, tollerato dai governi rispettosi delle "esigenze di vendetta" post-11 settembre, più che "terrorizzare i terroristi", come voleva John Ashcroft, sta diventando un simbolo dell'arroganza e del totale disprezzo delle norme e dei diritti fondamentali dell'attuale amministrazione, dimentica dell'importanza di uno dei più decisivi fattori di coesione dell'impero che Bush vorrebbe emulare: il diritto romano. Per tutti. http://www.liberazione.it/giornale/030507/archdef.asp