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Bush ha chiesto di censurare Bin Laden

 

Non è stata esattamente una sorpresa la richiesta del presidente statunitense George W. Bush alle reti televisive del Paese di censurare le dichiarazioni di Osama bin Laden o di rappresentanti di Al Qaeda. Né deve destare alcuna meraviglia il fatto che praticamente tutte le emittenti si siano dichiarate pronte ad aiutare il governo e a praticare l’autocensura. Il clima negli Stati Uniti non è da scherzi. Il panico è generalizzato: dalla scorsa domenica alla chiusura di questa edizione due aerei di linea sono atterrati scortati da caccia militari, innumerevoli edifici sono stati evacuati per falsi avvertimenti di bombe, la frontiera con il Canada è stata chiusa semplicemente a causa di un veicolo "sospetto". E, soprattutto, più di 700 persone hanno eseguito esami medici per presunta contaminazione da antrace: la guerra batteriologica è la paranoia attuale. È stato sufficiente avviare l’offensiva militare in Afghanistan perché si diffondesse il timore di un contrattacco in territorio americano. La richiesta di Bush alle televisioni e la pronta accettazione dell’autocensura si fondano su questo sentimento.
Il presidente sostiene che le apparizioni di bin Laden e di rappresentanti di Al Qaeda possono aiutare il "nemico" a preparare il contrattacco per mezzo di "messaggi cifrati". A rigore, Bush ha assolutamente ragione. I mezzi di comunicazione servono esattamente perché le persone trasmettano i loro messaggi, siano essi destinati a un pubblico ampio o ridotto. A rigore, anche le televisioni americane hanno ragione nell’accettare l’autocensura in nome della sicurezza interna: gli argomenti del presidente sono ragionevoli e non c’è stato nessun ordine espresso, solo una mera "richiesta".
Ma quello che è in gioco non è propriamente la trasmissione dal vivo delle "minacce nemiche", anche perché è difficile immaginare che un eventuale contrattacco dipenda da tali messaggi cifrati via Cnn, quando è stato possibile montare un’operazione culminata nella distruzione delle due torri del World Trade Center senza nessuna di queste risorse. In realtà, la richiesta di Bush e la pronta accettazione dei mass media statunitensi costituiscono una notevole dimostrazione di potere. È ancora presto per affermazioni inequivocabili, ma ci sono già molti segnali che George W. Bush, la cui elezione è stata contestata dopo mille complicazioni, passerà alla storia come uno dei più potenti presidenti degli Usa.


 

Dal crollo della seconda torre gemella, Bush ha strappato al Congresso molto più di quello che Woodrow Wilson, Franklin Delano Roosevelt o Harry Truman - presidenti degli Stati Uniti nelle due guerre mondiali del secolo passato - si erano mai sognati di ottenere.
In meno di un mese, Bush ha ottenuto dal Congresso la "corsia preferenziale" che Clinton aveva inseguito per 8 anni senza successo e una montagna di denaro da spendere in guerra. Non è poca cosa. Fuori dall’ambito del Congresso, il presidente, debole al momento dell’insediamento, è passato a godere di indici di consenso che sfiorano l’unanimità.
I consiglieri del presidente statunitense, però, sanno molto bene che l’appoggio del popolo a Bush può essere qualcosa di effimero e che il denaro non è una bacchetta magica a fronte della prospettiva di una guerra lunga e difficile. Senza un forte sostegno mediatico, non si può scartare, per esempio, il rischio di un fenomeno come quello della guerra del Vietnam, quando l’opinione pubblica americana, inizialmente favorevole al governo, cambiò rotta e chiese la fine del conflitto.
I baroni della stampa, perlomeno fino ad ora, hanno acconsentito. Perdono alcuni anelli - bin Laden dal vivo certamente farebbe molta audience - ma la catena resta. Per loro, non è il momento di scherzare. Chi ha progettato gli attentati dell’11 settembre - specialmente nel caso del World Trade Center, quando l’intervallo tra gli attacchi ha dato il tempo alle reti televisive di posizionare le telecamere - ha saputo usare, a suo favore e con maestria, il "fattore Cnn". E può volerlo usare di nuovo.
La guerra, in definitiva, è nei media. Ed è cominciata male...

L’ARTICOLO, FIRMATO DA LUIZ ANTONIO MAGALHÂES, È TRATTO DAL SETTIMANALE BRASILIANO "CORREIO DA CIDADANIA" (13-20/10). TITOLO ORIGINALE: "CENSURA, PODER E A GUERRA NA MÍDIA"