IRAQ

Iraq, i marines protagonisti di saccheggi

Daniele Zaccaria

Quando capita ai poveri civili iracheni i media si sbizzarriscono: si parla di saccheggi, di depredazioni, di ignobili atti di sciacallaggio. I più civilizzati e benestanti occidentali al massimo raccolgono illecitamente dei "souvenir", parola presa in prestito all'abecedario del turista. Ciò non toglie che nell'ultima settimana alcuni valorosi soldati statunitensi sono stati presi con le mani nella marmellata. La fase guerreggiata del conflitto iracheno è finita e molti marines se ne tornano a casa con l'idea di portare un trofeo di guerra in famiglia. Quadri, armi placcate in oro, cimeli presidenziali, reperti archeologici, addirittura dei buoni del Tesoro. E' solo un parziale campionario della refurtiva sequestrata nei giorni scorsi nelle tasche dei "Gi", in preda ad una vera e propria cleptomania di gruppo.

Sei ufficiali Usa sono finiti sotto inchiesta per essersi impossessati di ben seicento milioni di dollari, trovati in un palazzo di ex dignitari del regime abbandonato in fretta e furia nei giorni della caduta di Bagdad. Prima di essere scoperti da un loro superiore si sono riempiti le tute mimetiche da biglietti di cento dollari. Come in un film di Totò. «Abbiamo interrogato i militari coinvolti nella sparizione di denaro e se saranno riconosciuti colpevoli prenderemo dei provvedimenti», giura il tenente Mark Kitchens del Comando centrale di Doha. In una cassa diretta verso Fort Stewart nel Texas, erano invece nascoste decine di fucili con il calcio in oro massiccio, provenienti direttamente dalle residenze del raìs.

Pare che anche i giornalisti americani abbiano un debole per l'arte irachena. Ieri, all'aeroporto di Atlanta è stato fermato Benjamin James Johnson, un dipendente della televisione "Fox News", il network con l'elmetto, che nel corso dell'attacco militare ha ferventemente sostenuto le operazioni alleate. Nella sua valigia una decina di ritratti di Saddam Hussein, trafugati dal palazzo di Uday, il figlio primogenito del raìs. L'uomo ha inizialmente negato l'evidenza, sostenendo che fossero delle donazioni. Poi è stato costretto ad ammettere il furto. Immediata la denuncia per contrabbando e falsa deposizione da parte della corte distrettuale. Johnson aveva con sé anche una cinquantina di titoli del Tesoro iracheno. Crollato nell'interrogatorio ha persino messo nei guai un collega del "Boston Herald", Jules Crittenden, anche lui appassionato di dipinti di Saddam.

Secondo il Dipartimento di stato Usa sarebbero decine gli oggetti intercettati nei diversi scali nazionali. Per non parlare di quelli non rilevati dai blandi controlli doganali.

Un comportamento che si sta diffondendo a macchia d'olio, che ha messo in imbarazzo gli stessi rappresentanti americani: «Non tollereremo queste azioni indegne compiute da pochi. Gli oggetti rubati appartengono al popolo iracheno», ha dichiarato il sottosegretario alla Sicurezza interna Gordon England, durante una conferenza stampa in cui sono stati mostrati alcuni dei pezzi sequestrati. Si tratta di episodi gravi, che causano legittimi dubbi sulla moralità delle truppe "liberatrici". Dopo aver tempestato il paese di bombe, gli americani si sono autocandidati alla gestione politica dell'Iraq fino a data da definire. Proprio ieri il "proconsole" Jay Garner ha annunciato che le consultazioni per la formazione del governo provvisorio dell'Iraq cominceranno la prossima settimana. Ufficialmente i ministeri saranno guidati da esponenti iracheni. Di fatto saranno gli Usa a muovere i fili: «Avremo un coordinatore in ciascun ministero», promette Garner. Con premesse del genere sarà difficile farsi benvolere dalla popolazione. Tanto più che alla fama di invasori gli Stati Uniti hanno affiancato anche quella di rubagalline. Un reato che nel Far-West era punito con l'impiccagione

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