ITALIA

Nessuna possibilità di scelta per gli italiani

E’ su queste basi che inizia la “guerra” americana all’Italia, non solo al Pci o alla sinistra, ma proprio all’intero paese, al quale si impedirà con ogni mezzo di decidere autonomamente da chi farsi governare. Impedire, a costo di una nuova guerra, che le sinistre possano - legittimamente e attraverso libere e democratiche elezioni - giungere al governo del paese, è l’obiettivo primario sul quale concentrare ogni sforzo. In questa guerra al comunismo, agli Stati Uniti non mancano certo gli alleati, e anche tra i nemici del giorno prima verranno pescate forze utili alla crociata. Intorno agli interessi nordamericani si coagulano immediatamente soggetti diversi e lontani per storia e cultura, cementati solo dall’obiettivo finale: evitare, sempre e comunque, una “deriva comunista” del paese. Siamo ancora nell’ambito del governo unitario - Dc, Pci, Psi - quando la Cia decreta la nascita dell’ Office of policy coordination (Opc) con lo scopo di aiutare “i movimenti clandestini anticomunisti sia con l’aiuto finanziario che militare”. La macchina americana si era ormai messa in moto, e nel 1948 i proclami anti-comunisti diventano azione, e scatta il primo nei numerosi piani messi in opera dalla Casa Bianca per contrastare il possibile buon risultato elettorale della sinistra. E’ il famoso “piano X”: dieci milioni di dollari in armamenti per la campagna elettorale del 1948, a favore dei partiti di centro-destra, ma destinati in ultima analisi a “movimenti reazionari con caratteristiche anticomuniste”.

Lungi dal considerare sufficiente la propaganda e l’investimento economico, per le elezioni del 1948 dagli USA arrivano dunque in Italia le armi, destinate a tutti coloro che, fuori dalle urne elettorali, intendono continuare la loro battaglia contro la sinistra. Un risultato a favore del Fronte popolare di Pci e Psi viene, quindi, preso in attenta considerazione, ma nessuno sbocco in tal senso è possibile, come afferma anche H. S. Hughes, già responsabile dell’Ufficio ricerche e analisi dell’OSS (Office of Strategic Service, poi divenuto Cia), secondo cui “alla fine di giugno del 1945 qualsiasi possibilità di una rivoluzione in Italia, seppure esisteva prima, era definitivamente perduta”. Anche il sen. Cossiga, non ancora investito di cariche politiche di rilievo ricorda come ci si preparò a quel fatidico 18 aprile 1948: “In Sardegna noi eravamo armati […] con armi corte in parte fornite dalle Forze dell’ordine e in parte acquistate sul libero mercato. Le bombe a mano ci furono fornite dall’Arma dei carabinieri. L’addestramento del gruppo, del commando di cui facevo parte venne seguito da un sottufficiale della San Marco del Sud.[…] Nulla posso dire per scienza diretta del fatto che la parte avversa fosse armata”. La testimonianza del sen. Cossiga, tuttavia, non è la sola a suffragare l’ipotesi che le armi di cui disponeva le forze vicine alla Dc provenissero dagli ambienti americani. Con la costituzione dei Comitati Civici di Luigi Gedda, infatti, vennero parallelamente attivati numerosi militanti incaricati di distribuire le armi ai civili considerati vicini alle posizioni della Chiesa, della Dc e degli americani. Così racconta Vito Talamini, nel 1946 capo squadra alla FIAT di Padova e militante dell’Azione Cattolica:

 

“Voglio ricordare che qualche mese prima dell’attentato a Togliatti fui chiamato da Gui, Lorenzi, Saggin, Riondato e don Piero Costa, assistente diocesano dell’Azione Cattolica. Mi recai dunque presso il Collegio Barbarigo, dopo aver giorni prima preso accordi con i predetti a casa mia circa un servizio speciale e segreto - concernente una serie di trasporti di materiale di armamento, ufficialmente da qualificare “macchine da scrivere” - che avrei dovuto effettuare nel giro di più mesi, così come feci. […] Trasportai così con la mia vettura Lancia Augusta e sempre di sera: bombe a mano - nostre “balilla”, fucili modello 91, mitra, pistole. Per ogni viaggio trasportavo quattro pacchi che andavo consegnando ai singoli parroci o cappellani. […] Io attingevo i pacchi dal cortile del Collegio Barbarigo con sede in via Rogati, retto all’epoca da un Monsignore molto quotato. Il Collegio dipendeva dalla curia Vescovile di Padova. […] Sapevo di operare per conto dei Comitati Civici di Padova, i quali stavano operando un sistema di organizzazione anticomunista.”. Erano quindi certamente i c.d. partigiani bianchi a detenere le armi ben oltre la Liberazione. A distanza di tre anni dal 25 aprile 1945, infatti, elementi civili vicini, e/o appartenenti, alla Dc sono ancora in possesso di armi e munizioni, nel caso le elezioni del 18 aprile 1948 non fossero andato nel verso auspicato dagli americani e dal Vaticano. E’ da notare, per inciso, che l’indagine del Cons. Mastelloni origina da una curiosa denuncia sporta nel 1969 dal signor Giuseppe Falcone, ufficiale di fanteria in congedo, il quale affermò che tra gli oggetti sottratti dalla sua abitazione vi era anche un mitra “Beretta” che egli deteneva dal 1948. La denuncia, per sé non particolarmente rilevante, assume importanza, viceversa, per due ordini di motivi. Il primo è la motivazione che Falcone adduce per giustificare il possesso del mitra, che si ricollega a quanto ora esposto circa l’armamento in dotazione di militari e civili nel dopoguerra. Così espone Falcone nella sua denuncia: ”Nell’anno 1948 in previsione delle elezioni politiche che si presentavano abbastanza difficoltose ebbi incarico, in qualità di comandante di Presidio di Sacile, dal Commando del V Comiliter di Udine, di armare alcuni civili fidati nella zona di Sacile, Vittorio Veneto, Valcellina e limitrofi, di un certo quantitativo di armi. Detti armi anche all'attuale Arcivescovo di Udine - Mons. Zaffonato - allora Vescovo di Vittorio Veneto. Tutta questa zona era sotto il mio controllo diretto. Ad elezioni ultimate - prosegue Falcone - ritirai le armi e le versai alla Sezione Staccata di Artiglieria di Conegliano. Avevo con me e mi serviva nei diversi giri di ispezione un mitra “Beretta” con alcune cartucce. Detto mitra, al quale ero affezionato, ritenni di non versarlo e tenermelo in casa”. Tutto ciò, sulla scorta del principio secondo cui il Pci non aveva legittimità alcuna a governare il paese, anche quando questo fosse accaduto per il tramite di una regolare vittoria elettorale. La direttiva NSC 1/3 dell’8 marzo 1948, da questo punto, di vista è illuminante, in quanto viene reso esplicito che gli “interessi degli Stati Uniti nell’area del Mediterraneo, relativi ai problemi di sicurezza, risultano seriamente minacciati dalla possibilità che il Fronte Popolare, dominato da comunisti, ottenga una partecipazione al Governo attraverso le elezioni nazionali […]”. E’ quindi necessario, secondo Washington, “nel caso in cui i comunisti italiani dovessero riuscire ad ottenere la guida del governo attraverso sistemi legali, […] prendere delle misure immediate, compreso ciascun tipo di misura coercitiva, per realizzare una mobilitazione limitata, […] fornire assistenza militare e finanziaria alla base anticomunista”.

http://www.bietti.it/documenti/I%20CAPITOLO%20I.doc