IL CASO / Inchiesta choc del "Washington Post" tra i detenuti nelle basi di Bagram e Guantanamo "Così la Cia tortura i prigionieri" antiterrorismo sotto accusa Sono 3000 gli uomini in cella in Afghanistan Poco più di seicento quelli trasferiti a Cuba dal nostro inviato VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - "Ci siamo sfilati i guanti", ammettono gli interrogators della Cia quando i giornalisti americani ancora capaci di fare domande al potere politico chiedono che cosa ci sia di vero nelle notizie di torture sui prigionieri arabi. "C'è un'America del pre-settembre 11 e un'America del post-settembre 11", spiegano al Washington Post i massimi dirigenti della "firm" della "ditta", come si chiama in gergo la Cia, orgogliosi che le loro mani siano state sciolte, a Bagram, in Afghanistan, a Guantanamo, nell'isola di Cuba, per fare sui sospetti di Al Qaeda quel che il governo americano condanna quando è fatto da altri governi.
Qualunque cosa, pur di farli parlare, perché nella "limpidezza morale" della guerra del Bene contro il Male predicata da Bush questa è la pozzanghera torbida, il buio a mezzogiorno che i crociati preferirebbero non vedere, dove il fine giustifica i mezzi. E soltanto qualche giornalista schizzinoso, qualche anima candida, ancora si scandalizza.
I mezzi sono quelli che, se fossero usati in Cina o a Cuba, in Iraq o in Siria, l'America chiamerebbe tortura e che invece, nei container cella sistemati a Bagram o nelle stie da polli di Guantanamo dove sono rinchiusi 625 prigionieri, si preferisce battezzare con una allitterazione psichiatrica che suona bene, la tecnica dello stress and duress, per spezzare la loro volontà di resistere. Ma in nessuno studio di psichiatra, se non nei sedicenti ospedali della psichiatria sovietica, si vedrebbero prigionieri costretti a stare in ginocchio per ore con le mani legate dietro, in celle insonorizzate, con un cappuccio cieco in testa o con gli occhiali da saldatore alla Yves Montand nella Confessione, oscurati con la vernice scura, per indurre la privazione sensoriale, senza sonno.
Non c'è vergogna e neppure imbarazzo negli uomini e nelle donne che hanno risposto al Washington Post. I sospetti rastrellati dai militari sono affidati inizialmente alle Forze Speciali e agli MP, i poliziotti militari che li "ammorbidiscono" picchiandoli, sbattendoli contro i muri, minacciandoli di esecuzione sommaria, tenendoli senza cibo e senza acqua, negando loro anestetici se sono feriti, perché "noi li curiamo, ma si sa, ogni essere umano ha una sua diversa soglia del dolore" rispondono strizzando l'occhio alla Cia. Quando finisce il prelavaggio con l'ammorbidente, i sospetti passano nelle mani degli interrogators professionali. Nei containers speciali di Bagram, la vecchia base sovietica nel nord dell'Afghanistan, in una zona off limits, la procedura comincia spesso con mosse di apertura psicologiche. A volte gli interrogators si presentano sotto una falsa bandiera, come emissari di governi arabi celebri per la loro brutalità. Ai più fanatici e bigotti, vengono talora mandate donne per l'interrogatorio, per umiliarli. Poi si passa al buio a mezzogiorno. E se non basta, i prigionieri sono "ceduti" (almeno 100 finora) ai servizi di segreti di nazioni come la Siria, la Giordania, il Marocco, l'Egitto, il Pakistan, dove nessun giornalista andrà mai ad annusare. Non più all'Arabia Saudita, invece, dove i servizi tengono nascoste informazioni che possano mettere in imbarazzo la casa regnante.
Ed è nelle segrete dei paesi ai quali gli americani passano i più riottosi che scattano le torture peggiori, da manualetto dell'aguzzino. In Giordania e in Siria, dove i metodi della polizia sono annualmente denunciati dal Dipartimento di Stato, i prigionieri sono appesi al soffitto in posizioni contorte, bastonati con bambù sulle piante dei piedi, tenuti svegli per giorni e giorni, fino al delirio, per estorcere confessioni il cui valore sembrerebbe, a queste condizioni, un po' discutibile.
In Pakistan, dove è stato arrestato il più alto quadro di Al Qaeda finora, Abu Zubaida, gli agenti pachistani gli spararono mirando ai testicoli e nei giorni successivi lo mantennero in vita, centellinando anestetici in cambio di confessioni. Da lui, come da altri interrogati nelle nazioni dell'Asse del Bene, sono venute le indicazioni che hanno portato all'arresto di altri "pezzi da 90", Ramzi Binalshibh in Pakistan, Omar al-Faruq in Indonesia, Mohammed al-Darbi in Yemen, Abd al-Nashiri in Kuwait.
"Grazie agli interrogatori oggi probabilmente un terzo dei quadri di Al Qaeda è nelle nostre mani", ha detto il direttore della Cia, George Tenet, confermando quello che tutte le polizie segrete del mondo purtroppo sanno da sempre, che la tortura funziona. Ma non abbastanza per arrivare a Osama Bin Laden, evidentemente.
Ci sono circa 3.000 progionieri nei container di Bagram e 625 nei pollai di Guantanamo e sono quelli fortunati. Bagram è in territorio afghano e di essi la Cia può fare quel che vuole, come già fece il cosidetto generale Doshtum, sergente collaborazionista dei sovietici e ora combattente per la libertà al soldo di Washington, quello che non perde tempo e preferisce chiudere i nemici catturati in cassoni di autocarro sigillati e lasciarli morire soffocati, come rivelò Newsweek, provocando l'apertura di un'inchiesta internazionale. Nella base dei Marines a Cuba, invece, che è territorio americano, qualche pudore scatta, perché in teoria la Costituzione dovrebbe proteggere anche gli stranieri.
La lista dei nomi non è mai stata pubblicata, ma avvocati, Croce Rossa, rari giornalisti, sono portati dai Marines in visita guidata allo zoo di Al Qaeda. I metodi d'interrogatorio sono più sottili, anche se due morti nelle ultime settimane, uno per embolia polmonare, l'altro per arresto cardiaco, classiche conseguenze di torture fisiche, qualche dubbio sollevano. Ma a Gitmo, a Guantanamo, come ha raccontato il Miami Herald, si usano mezzi più soft. Arrivano finti mullah o religiosi islamici pagati da Washington che tentano di carpire notizie spacciandosi per emissari segreti della "base", di Al Qaeda. Si fanno circolare falsi quotidiani arabi stampati a Miami con notizie che dovrebbero frantumare il loro morale, la cattura di Osama, la resa dei massimi dirigenti, il tradimento di compagni.
Si chiama "flessibilità operativa", spiega Cofer Black, capo dell'ufficio antiterrorismo della Cia, a una commissione parlamentare. "Noi non torturiamo, preferiamo consegnare i prigionieri ad altri governi e se poi gli interrogatori producono frutti, li usiamo anche noi". È la stessa tecnica usata con successo con i regimi amici dell'America Latina e Centrale, lasciare che siano gli altri a sporcarsi le mani, condannando i metodi e sfruttando i risultati. Nel mondo nuovo del "dopo 11 settembre", non tutto è cambiato, ma qualcosa d'importante, sì.
L'intollerabile è diventato accettabile, grazie all'attacco dei terroristi. Il confine tra il Male e il Bene si è fatto flessibile e anche questa "rivelazione" del Washington Post come le altre sulle torture, le licenze di uccidere, le fosse comuni, passerà non soltanto nell'indifferenza, ma nel compiacimento della maggioranza dei cittadini, persuasi dal terrore che la sola "limpidezza morale" che conti, sia vendicarsi e vincere.
(27 dicembre 2002) fonte: http://www.repubblica.it/online/esteri/cia/cia/cia.html |