KISSINGER

Indocina

Henry Kissinger è rimasto ammantato da un'aura di moderno Bismarck, di raffinato interprete della Realpolitik, godendo di buona stampa a sinistra e dando credito alla falsa ma tenace idea che la politica estera dei repubblicani sia più "pacifista" di quella democratica. Ma se qualcuno nutrisse ancora dubbi su quanto è fallace quest'opinione, certo se li toglierebbe dopo aver letto il libro di Christopher Hitchens, The Trial of Henry Kissinger, appena pubblicato dalla casa editrice Verso.
Hitchens si è avvalso di tutti i documenti declassificati e resi disponibili fino al settembre 2000 e che dunque arrivano a 25 anni prima (1975), ben dopo la caduta di Saigon. Lo scopo dichiarato del libro è di fornire materiale documentario a chiunque voglia portare Kissinger in tribunale e perciò sorvola sui crimini di natura politica, come la copertura del regime apartheid sudafricano nel destabilizzare l'Angola, o l'aiuto fornito a Saddam Hussein nel massacrare i kurdi, o il sostegno alla polizia segreta dello scià Reza Palhavi in Iran. Tutte posizioni raccapriccianti ma che difficilmente troverebbero udienza in un tribunale. Invece Hitchens si concentra su sei crimini che potrebbero portare Kissinger dietro le sbarre di un penitenziario, secondo le leggi di alcuni stati, o addirittura alla pena capitale secondo le leggi di altri (se valessero gli stessi criteri usati dopo il 1945 contro i crimini di guerra).
Non a caso il volume si apre a New York, nell'ufficio di Michael Korda, manager della casa editrice Simon & Schuster, il 2 dicembre 1998. Korda riceve una telefonata; lo chiama affannatissimo Henry Kissinger a proposito di un suo volume di memorie. Hitchens registra la conversazione con una mini-cinepresa. Dalle risposte di Korda si capisce che l'ex segretario di stato è terribilmente preoccupato: quel mattino, il titolo di prima pagina del New York Times diceva: "Gli Usa rilasceranno i documenti sui crimini di guerra di Pinochet". Bisogna riconoscere questo a Kissinger: che vide subito le implicazioni a lungo termine che quel gesto poteva avere, e che cioè, dopo essere risaliti dagli esecutori materiali all'esecutore politico (Pinochet), i giudici risalissero poi al mandante politico (Kissinger).
Hitchens si concentra dunque sui crimini in Indocina, in Bangladesh, in Cile, a Cipro, a Timor est, e sui tentativi di sequestro e assassinio di un giornalista greco. Per ragioni di spazio, e perché il caso del Cile è il più noto, mi limito a riportare i crimini in Indocina, Bangladesh e Timor.

1. Hitchens scrive nero su bianco quello che molti sapevano ma nessuno diceva, e che cioè durante la campagna elettorale del 1968 lo staff di Richard Nixon fece di tutto per far fallire i negoziati di Parigi che Lyndon Johnson aveva aperto con il Vietnam del Nord e con i vietcong. I contatti tra il candidato repubblicano e l'ambasciatore di Hanoi a Parigi erano resi possibili dalle informazioni sui negoziati ottenute attraverso una talpa insospettabile (che apertamente mostrava il più grande disprezzo per Nixon) e cioè Henry Kissinger, allora protegé del repubblicano liberal Nelson Rockfeller. Una volta fatti fallire i negoziati, con Nixon presidente, Kissinger riprese con ancor più furore guerra e bombardamenti. Quando Charles de Gaulle gli chiese perché, l'allora consigliere nazionale alla difesa rispose che una pace avrebbe fatto perdere credibilità agli Stati uniti: ovvero, in soldoni, che avrebbe rischiato di far perdere la rielezione a Nixon, e in effetti l'arresto definitivo dei bombardamenti si ebbe solo nel tardo 1972, quando la decisione non poteva più influire sul voto. Nel frattempo, tra il primo arresto dei bombardamenti decretato nel marzo 1968 e la stessa data nel 1972, erano stati uccisi 31.205 soldati Usa, 86.101 regolari sudvietnamiti e 475.609 "nemici" (cifre del Pentagono); in quei quattro anni più di tre milioni di civili furono uccisi, feriti o resi senzatetto. Ma poi Hitchens passa a contestare a Kissinger crimini di guerra più dettagliati, come l'operazione "di pulizia" Speedy Express nella provincia Kien Hoa, nel Delta del Mekong, condotta con 3.381 incursioni aeree, 50 elicotteri, 50 pezzi di artiglieria e 8.000 fanti: rimasero uccisi 10.899 vietnamiti descritti come guerriglieri vietcong ("nemici") ammazzati in combattimento. Ma nel corso di questi "combattimenti" i soldati Usa recuperarono solo 748 armi, chiara dimostrazione che la stragrande maggioranza erano civili inermi. Un intero villaggio di 5.000 persone fu sterminato.
Un altro esempio è costituito dai bombardamenti in Cambogia e Laos, ordinati direttamente da Kissinger scavalcando il ministro della difesa e il segretario di stato. I bombardamenti avevano nomi gastronomici il cui cattivo gusto era pari solo al loro potere sterminatore: "Breakfast", "Lunch", "Snack", "Dinner" e "Dessert". Secondo fonti del Pentagono, il bersaglio di Breakfast era abitato da 1.640 civili cambogiani; il bersaglio di Lunch da 198 civili, quello di Snack da 383, Dinner da 770 e Dessert da 120 contadini. Uscendo da una riunione in cui si era discusso dell'operazione Breakfast, Nixon disse con un gran sorriso al suo capo dello staff Haldeman: "Oggi Kissinger si diverte alla grande, gioca a fare il Bismarck". A causa dei bombardamenti Usa, persero la vita 350.000 civili in Laos e 600.000 in Cambogia.

2. Bangladesh. Nel dicembre 1970 la giunta militare al potere in Pakistan (che allora includeva il Bengala orientale, con il nome East Pakistan) permise le prime elezioni da un decennio. Vinse alla grande Sheik Mujibur Rahman, leader filoccidentale dell'Awami League (nel solo Est ottenne 167 su 169 seggi): per i militari questo voleva dire che la parte occidentale del paese (l'attuale Pakistan) avrebbe perso il controllo su quella orientale. Dunque prima ritardò l'insediamento della nuova Assemblea nazionale, previsto per il 3 marzo 1971, poi il 25 marzo l'esercito pakistano attaccò Dacca, capitale del Bengala orientale. Rahman fu arrestato e deportato a ovest, e iniziò il massacro dei suoi sostenitori. Nei primi tre giorni furono sterminati 10.000 civili. Furono usati stupri, mutilazioni, smembramenti dei corpi anche sui bambini. Alla fine dei conti il numero dei civili uccisi oscillò da un minimo di mezzo milione a un massimo di tre milioni. Circa dieci milioni di persone fuggirono dal Bengala orientale diventando profughi senza tetto a Calcutta (Bengala occidentale, cioè India), contribuendo così alla sua immagine di città più misera del mondo. Il console generale Usa a Dacca chiese al Dipartimento di stato d'intervenire con la forza per fermare quello che nei dispacci chiamò un "genocidio": la sua lettera fu firmata da venti diplomatici in sede a Dacca e da nove funzionari anziani del dipartimento di stato addetti al sudest asiatico.
L'ambasciatore Usa a Delhi, Kenneth Keating, scrisse direttamente a Kissinger per chiedergli di "deplorare subito, pubblicamente e con forza" questa brutalità. In effetti Kissinger si mosse come un fulmine: richiamò il console generale da Dacca. Al culmine dei massacri, scrisse al generale Yahya Khan della giunta pakistana ringraziandolo per "il suo tatto e la sua delicatezza".
La ragione per cui Kissinger favorì questo genocidio è che in quel momento il Pakistan faceva da intermediario segreto nelle ancor più segrete trattative tra Usa e Cina (la "diplomazia del pingpong"). Anche qui le prove del coinvolgimento di Kissinger sono schiaccianti.

3. Il 7 dicembre 1975 Henry Kissinger e il presidente Henry Ford erano a Jakarta dove ebbero un colloquio con il presidente indonesiano Suharto. Quello stesso giorno le truppe indonesiane invadevano Timor Est iniziando una guerra che avrebbe provocato più di 200.000 morti in quell'isola poverissima. Il più su citato colloquio al Dipartimento di stato, del 18 dicembre di quell'anno, mostra come Kissinger e Ford non solo sapessero dell'invasione, ma avessero dato semaforo verde. L'esercito indonesiano era ed è equipaggiato con armamento Usa e i suoi ufficiali erano e sono istruiti nelle accademie militari Usa. L'aspetto meno noto è che Henry Kissinger fondò nel 1975 una società, la Kissinger Associates, per sfruttare il proprio capitale politico, mettendo a disposizione dei clienti entrature e contatti nei più vari paesi del mondo. Tra i suoi clienti nel corso degli anni ci sono o ci sono stati American Express, Shearson Lehmann, Arco, Daewoo della Corea del Sud, H. J. Heinz, Itt, Lockheed, Anheuser-Bush, Banca nazionale del Lavoro, Coca-Cola, Fiat, Revlon, Union Carbide e Midland Bank. Particolarmente grata a Kissinger è stata la compagnia mineraria Freeport McMoran, multinazionale con sede a New Orleans che ha in concessione la più grande miniera d'oro al mondo, a Grasberg in Irian Jaya (la parte occidentale della Nuova Guinea annessa degli indonesiani). Ora nel 1989 la Freeport non solo pagò un anticipo di 200.000 dollari e un onorario di 600.000 alla Kissinger Associates, ma fece entrare lo stesso Kissinger nel proprio consiglio d'amministrazione, con un onorario annuo di almeno 30.000 dollari.

Naturalmente un articolo non può condensare tutto un libro, ma l'idea è chiara. Usando gli stessi parametri in vigore a Norimberga o nei processi di Tokyo contro i militaristi nipponici (che finirono impiccati), Kissinger dovrebbe subire lo stesso destino. La forca non si augura a nessuno, ma un processo sì. Alla fine del suo libro Hitchens scrive che molti avvocati si sono già fatti vivi con lui per chiedergli aiuto nelle cause che vogliono intentare contro l'ex uomo prodigio della diplomazia americana, premio Nobel per la pace. Buon lavoro.

MARCO D'ERAMO

http://www.controappunto.org/internazionale/antiglobal/henry_kissinger_alla_sbarra_come.htm