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Da un punto di vista pedagogico si può ragionevolmente
affermare che cultura significa sostanzialmente tre cose: pensare,
comunicare, decidere. Orbene, sia che noi pensiamo, sia che comunichiamo,
sia infine che decidiamo siamo sempre costretti a interagire con la realtà
che ci circonda la cui analisi è realizzabile pienamente se si integrano
vicendevolmente le due modalità di procedimento logico differente che il
pensiero scientifico è riuscito a elaborare nel tempo: quello induttivo e
quello deduttivo. Il primo, com'è noto, parte da
osservazioni particolari per pervenire a conclusioni generali mentre il
secondo segue il processo inverso. In ogni caso sono due procedimenti
conoscitivi che noi utilizziamo sempre anche in contesti molto diversi
come quando ci proponiamo di aggiustare un rubinetto che perde acqua,
oppure nel momento in cui desideriamo, più ambiziosamente, controllare in
laboratorio una legge generale, per esempio di elettromagnetismo.
Entrambi i procedimenti sono alla base del "metodo
sperimentale", di galileiana origine e memoria, solo e soltanto nella
misura in cui sono accompagnati dalla sperimentazione e dalla misurazione.
In questa prospettiva la fisica, che è una scienza empirica, non
può fare assolutamente a meno dei processi di misura che traducono, com'è
noto, con linguaggio matematico gli aspetti quantitativi associati alle
proprietà degli oggetti posti sotto indagine sperimentale.
Lord Kelvin a tal proposito disse chiaramente che "Io affermo
che quando voi potete misurare ed esprimere in numeri ciò di cui state
parlando, voi sapete effettivamente qualcosa; ma quando non vi è
possibile esprimere in numeri l'oggetto della vostra indagine,
insoddisfacente ne è la vostra conoscenza e scarso il vostro progresso
dal punto di vista scientifico". M. Faraday, che di
processi metodologici di tipo empirico se ne intendeva molto in quanto fu
un eccellente fisico sperimentale, sembra che interrogato sull'utilità
delle sue ricerche nel campo dell'elettromagnetismo classico (scoperta
della legge del fenomeno dell'induzione elettromagnetica) abbia risposto
con la celebre frase: What use is a baby?, cioè : "a
che serve un bambino appena nato" ? Sebbene diversi
uomini di scienza neghino che nella scienza ci possa essere posto soltanto
per tematiche che possono venire strettamente definite da processi
empirici di misura, tutti sono d'accordo tuttavia della grande importanza
che rivestono le misure molto precise nell'ambito della scienza. Spesso
dal punto di vista storico nella scienza stessa si è verificato che
piccole ma importanti differenze fra misure ottenute e teoria che li
prevedevano abbiano condotto alla formulazione di nuove e rivoluzionarie
teorie che non sarebbero esistite se gli scienziati si fossero
accontentati di spiegazioni puramente qualitative dei fenomeni indagati.
Sulla base di queste premesse il problema della misura delle
grandezze fisiche è visto pertanto dalla scienza come una conseguenza
essenziale e necessaria dello sviluppo scientifico. Tutto questo a
condizione che lo scienziato adoperi una metodologia di tipo
"scientifico" nella quale, e con la quale, si tengono fuori dal
discorso della scienza le opinioni e/o le impressioni e ci si affidi
completamente da un lato alla capacità del segno linguistico (matematica)
e dall'altro del frammento metrologico (teoria della misura) attraverso la
sintesi corretta della descrizione quantitativa. Lo
stesso Galileo disse ripetutamente che la natura si esprime con caratteri
geometrici ribadendo, non accademicamente, l'importanza della
matematica nella scienza. In particolare disse: "La filosofia è
scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto
innanzi agli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima
non s'impara a intendere la lingua, e conoscer i caratteri ne' quali
è scritto. Egli è scritto in lingua matematica e i caratteri sono
triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è
impossibile a intendere umanamente parola; senza questi è un agitarsi
vanamente per un oscuro laberinto". |
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