Per fare chiarezza e per pretendere chiarezza nella scuola liceale.
La crisi della cultura scientifica nella scuola secondaria italiana.
Questa lettera è un atto d’amore. Amore verso la scuola,
amore verso la fisica, amore verso la scienza, amore verso la cultura.
Nient’altro. Nello scrivere le poche righe che seguono che indirizzo ai genitori
non sono stato mosso né da intenti polemici verso chicchessia, né da
implicazioni ideologiche. Si tratta solo dell’esigenza che ho avvertito in forma
sempre più rilevante in questi ultimi anni di far conoscere il punto di vista di
un insegnante di fisica che ha riflettuto non poco intorno alle ragioni che
hanno portato l’insegnamento scientifico nella scuola italiana ad essere di così
basso livello. Si tratta, pertanto, di un punto di vista personale,
«internista», che proviene dal di dentro del sistema scolastico e che non ha
altre pretese se non quella di far circolare delle idee critiche all’interno del
variegato e complesso sistema relativo all’insegnamento delle discipline
scientifiche.
I fatti sono noti. L’apprendimento scientifico degli studenti in Italia è di
basso profilo. L’apprendimento della fisica in particolare, come sottoinsieme di
quello più generale della scienza, è ancora più scadente. Come mai? Forse è
arrivato il momento di dire qualcosa di diverso dalle solite «cose lunghe e
noiose» che vengono dette normalmente in questi casi. Il giudizio negativo che
riguarda l’insegnamento della fisica in Italia non viene dato sulla base di mie
presunte sensazioni o antipatie, ma emerge costantemente da tutti gli studi e le
statistiche che le istituzioni e gli organismi nazionali e internazionali
preposte a questo scopo offrono nelle loro indagini specialistiche.
Non si può fare una analisi seria delle cause della crisi dell’insegnamento e,
quindi, dell’apprendimento della fisica nella scuola secondaria superiore se non
si parte da un semplice dato: in Italia si è finora proposto un modello di
insegnamento della fisica di basso livello, sbagliato, inefficace e non in grado
di assicurare neanche i livelli minimi di conoscenze, competenze e capacità che
dovrebbero far parte del bagaglio culturale dei giovani. Chi non crede alle cose
dette circa il penoso stato dei corsi di insegnamento della fisica impartiti
nella maggioranza dei licei del paese, per favore vada a parlare con i docenti
universitari degli atenei italiani che insegnano nelle facoltà scientifiche,
soprattutto quelli che hanno a che vedere con la preparazione scientifica di
fisica delle matricole universitarie. Ne sentirà di tutti i colori. Non per
niente il Ministero della Ricerca scientifica, per la prima volta nella storia
della Repubblica, ha avvertito la necessità di dare incentivi economici a tutti
quegli studenti che si iscrivono a Fisica, Matematica e Chimica. Aggiungo,
purtroppo, che più passa il tempo e più la situazione peggiora, nel senso che il
panorama relativo alle conoscenze di base possedute da una matricola
universitaria nel campo della fisica sono semplicemente pietose. Eppure il
bilancio del Ministero della PI è stratosferico: si tratta di circa 40 miliardi
di € all’anno. La ragione è che ci sono pochi studenti che si iscrivono alle
facoltà scientifiche dell’Università all’altezza di seguire la professione dello
scienziato. Affermo che la colpa di tutto questo è da ascrivere principalmente a
due categorie di soggetti: i docenti della scuola secondaria e le Autorità
scolastiche. Le ragioni per le quali metto al primo punto gli insegnanti
riguardano il fatto che mentre per le Autorità scolastiche la responsabilità è
indiretta e mediata e, comunque, riguarda la complessità e le inefficienze del
sistema, per gli insegnanti si tratta di una loro specifica responsabilità
personale. Non c’è dubbio che la categoria delle Autorità scolastiche a tutti i
livelli (Governo, Ministro della P.I., Parlamento, Direttori generali e
Ispettori ministeriali, Direttori regionali e Dirigenti scolastici) hanno grandi
responsabilità. Molte sono le negligenze che si possono imputare a questi
soggetti. Tuttavia, non è mia intenzione soffermarmi sui disastri che questa
classe di personaggi hanno dato vita negli ultimi decenni. In ogni caso si
tratta di soggetti che hanno responsabilità di tipo differente da quelle dei
docenti. Dunque, non è oggetto di questa indagine parlarne. I docenti,
viceversa, hanno una responsabilità personale, tipica delle colpe soggettive,
afferente alla specificità professionale che attiene alla loro sfera culturale e
professionale individuale. E questo è grave. Molto grave. Ma andiamo per gradi.
Come funziona il sistema organizzativo scolastico? Semplice. All’inizio
dell’anno, durante una riunione affrettata e superficiale, il Consiglio di
classe espone per bocca dei vari insegnanti le linee guida della loro azione
didattica ed educativa. Questo organo collegiale dovrebbe offrire una panoramica
del piano di lavoro dell’intero anno scolastico che caratterizza la didattica di
tutti i docenti nella classe. Purtroppo per motivi di tempo il Consiglio procede
a una lettura affrettata della programmazione didattica ed educativa. Poche
parole per mostrare i principi organizzativi di questo organo collegiale
delicato nella vita scolastica. L’insegnante di fisica partecipa come gli altri
ai lavori del Consiglio e nel migliore dei casi espone in forma più concisa
degli altri alcuni aspetti del suo lavoro che in quel momento gli sembrano
importanti. Non dimentichiamo che generalmente il docente di fisica è docente
anche di matematica. E si sa che per ragioni che dovrebbero interessare più la
psicologia del comportamento umano che l’organizzazione del lavoro, spende
almeno il doppio del tempo per la matematica e metà per la fisica. Sarebbe
difficile in appena un’ora far parlare tutti i membri del Consiglio (circa una
decina), in modo completo e approfondito. Se da 60 minuti nominali togliamo
dieci minuti per l’organizzazione dei lavori, rimangono al massimo circa 5
minuti a docente, naturalmente se non ci sono interventi degli altri e il
segreterario verbalizzatore sappia fare bene il suo dovere di sintesi,
altrimenti i minuti a disposizione risultano ancora meno. Dunque, nella migliore
delle ipotesi il docente ha meno di 5 minuti per esporre tutto quello che farà
nell’intero anno. Conclusi i lavori, potrà passare alla realizzazione del
curricolo appena programmato. Da notare che nel Consiglio di Classe mancano i
diretti interessati allo scopo della riunione, cioè sia gli studenti, sia i loro
genitori. Entrambi saranno nominati almeno due o tre mesi dopo la riunione
preliminare di cui sopra. Il perché di questa nomina che avviene ad anno
abbondantemente iniziato è un mistero che non sono riuscito mai a capire e che
comunque fa parte delle gravi colpe dell’Autorità scolastica di cui abbiamo
parlato prima nella premessa. Si parla tanto di aprire la scuola alla società,
rendendo più partecipi i genitori e poi si escludono i medesimi da una riunione
così importante. Vero è che è prevista un’altra riunione di insediamento
relativa alla presentazione dei nuovi eletti. Rimane il fatto che questo
processo democratico di nomina avviene tardi. Per quanto riguarda i lavori di
programmazione sia chiaro che non sto dicendo che in “tutti” i Consigli di
Classe si opera come sopra, ma generalmente l’azione si svolge così, quando
addirittura non si discute nulla perché si dà tutto per scontato! Cosa succede
dopo? Il docente si mette al lavoro, prepara le lezioni, svolge in classe
l’attività di proposizione dei contenuti, dà indirizzi di studio agli studenti,
suggerisce le pratiche per apprendere meglio, ecc… Dovrebbe fare tutto questo.
In genere non lo fa perché si richiama all’esperienza e non “perde” tempo. Dopo
qualche settimana inizia a interrogare. Si tratta del primo momento di
valutazione degli apprendimenti. Nella stragrande maggioranza dei casi queste
interrogazioni sono uno dei pochi momenti di verifica del lavoro svolto. Se
necessario, perché si hanno pochi voti nel registro personale del docente, si
somministrano agli studenti schede di verifica a test, del tipo 20 domande a
risposta chiusa. Il livello di difficoltà di questi test non viene calibrata su
livelli nazionali, ma viene deciso dai docenti nella loro massima autonomia e
libertà. In pratica un docente può scegliere un livello di difficoltà minimo e
nessuno può contestarglielo. Così i suoi studenti possono essere etichettati
come studenti bravi con voti decisamente ottimali. Per mettersi poi a posto con
la propria coscienza professionale il docente di fisica, ovvero, il docente di
matematica e fisica, organizza una o al massimo due sessioni di laboratorio
nell’intero anno per realizzare qualche esperimento. In genere si tratta dello
stesso esperimento che svolge ogni anno. Niente a che vedere con un lavoro di
ricerca serio, di gruppo, programmato con dovizia di particolari e svolto dagli
studenti con la redazione di una relazione finale, magari pubblicata in rete nel
sito web della scuola. Viceversa, si tratta quasi sempre di esperimenti brevi,
episodici, dimostrativi, alla cattedra, in genere svolti dall’assistente di
laboratorio, se quel liceo ha la fortuna di averne uno. E poi basta. Fine. Tutto
qua. Naturalmente può benissimo succedere che se un insegnante ha bisogno di
tempo per completare un argomento di matematica o per fare una verifica scritta
si appropri dell’ora del corso di fisica. Nessuno glielo contesterà mai. “Tanto
la fisica è solo orale” è la ricorrente giustificazione addotta in queste
circostanze e col programma di fisica “mi trovo a buon punto”. Le lezioni si
svolgono generalmente con un breve riassunto del capitolo previsto dal manuale.
Spesso, si trovano collegamenti più o meno artificiosi alla matematica per
sfruttare la possibilità di far vedere come si procede in una dimostrazione
deduttiva applicata alla fisica. Ecco il quadro della situazione che potrebbe
essere preso a prestito per fare una istantanea molto generale delle condizioni
didattiche e metodologiche dell’insegnamento della fisica in Italia. Quasi mai
si propongono riflessioni storiche ed epistemologiche. Ma quello che più conta
nell’economia di questo articolo quasi mai nessun insegnante risolve problemi di
fisica programmati esplicitamente nel piano di lavoro annuale. Sembra che siano
il diavolo in persona da evitare a tutti i costi. Il quadro di sintesi proposto
prima può in alcuni casi essere diverso. Sono perfettamente convinto che molti
docenti, non so quantificarli con consapevolezza ma certo non credo che si
tratti della maggioranza, non si troveranno nelle condizioni sopra citate.
Gliene dò atto. Per carità. Certamente ci sono docenti che sanno il “fatto
loro”. Ma la loro presenza nelle scuole secondarie superiori non è dominante ma
fortemente minoritaria e comunque non fanno testo. Si tratta di una ristretta
èlite, che opera in modo discreto, quasi mai da suscitare interesse. Soprattutto
perché nella scuola italiana non esistono strumenti di costrizione che possano
imporre ai “meno interessati” eufemismo per etichettare docenti che vivono ai
margini delle novità professionali, di uscire dalla loro condizione di
dequalificazione e mettersi in una prospettiva propositiva per poter migliorare
la loro didattica. Esistono docenti che in tutta la loro esistenza di lavoro non
hanno mai fatto una sola lezione in una loro classe alla presenza di esterni
(presidi, ispettori, altri colleghi, ecc…). E molti hanno partecipato a qualche
corso di aggiornamento per ragioni qualche volta pittoresche, ovvero per ragioni
estranee alla loro professionalità. Qualche anno fa, un insegnante di matematica
partecipò a un corso di aggiornamento di yoga di 20 ore, approvato dal
provveditorato della sua provincia, al solo fine di raggiungere il monte ore che
le gli avrebbe consentito di ottenere un miglioramento economico sullo
stipendio. Dunque, teniamo a mente che esistono bravi docenti che non lavorano
nella maniera descritta sopra ma che, nell’economia del presente lavoro, non
sono i destinatari della presente missiva.
E dal punto di vista dell’apprendimento? Cioè, dal punto di vista di coloro che
debbono imparare la fisica come la mettiamo? Cosa dire di questi poveri
sfortunati studenti? In genere uno studente brillante capisce subito come stanno
le cose. E la sua reazione può essere o di rassegnazione, e accettare pertanto
lo standard proposto dal docente, oppure di irritazione e di delegittimazione
del docente ai suoi occhi. Ma non può fare nulla, perché non ha strumenti per
costringere il docente ad uscire allo scoperto. In queste occasioni, quindi, il
caso si spegne e si trascinerà stancamente per tutto l’anno scolastico con un
atteggiamento di apatia da parte di entrambi i protagonisti docente e studente.
Naturalmente per quest’ultimo c’è un aspetto positivo della vicenda. In genere
il docente, a conoscenza delle sue non esaltanti doti professionali, premia gli
studenti “alzando i voti”. In pratica regala la promozione anche a chi non la
merita. E il gioco è fatto. Tutti contenti e felici. Un po’ meno lo è la società
tutta che reclama, giustamente, che nella scuola italiana venga svolto un lavoro
serio e responsabile. Ma questa è un’altra storia. Rimane il fatto che la scuola
italiana e quella dell’insegnamento scientifico in particolare è una vergogna.
Una straordinaria, eccezionale, speciale vergogna. D’altronde, siamo italiani,
non è vero?