Premessa dell'insegnante
L’Ottocento è il secolo
che ha visto nascere e realizzare la seconda rivoluzione industriale. In questa
prospettiva, il XIX secolo rappresenta un ricco periodo storico in cui scienza e
tecnologia hanno permesso di raggiungere una sintesi così grande, da
rappresentare il trionfo di quella che oggi noi chiamiamo la “fisica
classica”.
La scoperta della macchina
elettrica, conseguenza della legge dell’induzione elettromagnetica di Faraday
e della legge della circuitazione di Ampère, ribattezzate successivamente dopo
alcune modifiche terza e quarta equazione di Maxwell, è stata da questo punto
di vista il motore trainante che ha posto le fondamenta allo sviluppo della
comunicazione elettromagnetica. Com’è noto, l’esistenza di questo tipo di
onde fu confermata sperimentalmente da Heinrich Hertz nel 1888 con un famoso
esperimento che assume ai nostri occhi il ruolo di “esemplare” kuhniano
nella storia della fisica.
L’esperimento effettuato
con materiali e apparecchiature rudimentali (antenna di dipolo elettrica e
rocchetto di Ruhmkorff), dimostrava empiricamente e senza ombra di dubbio
l’esistenza delle onde elettromagnetiche previste teoricamente da Maxwell con
le sue celebri quattro equazioni differenziali circa un ventennio prima.
L’importante lavoro empirico di Hertz costituisce, pertanto, un valido esempio
di situazione storica in cui l’intuizione teorica (Maxwell) precedette
l’osservazione sperimentale (Hertz).
Al di là delle
disquisizioni sul metodo adoperato per pervenire all’importante scoperta di
cui ci interessiamo in questo approfondimento tematico, la pista metodologica
seguita appare frequentemente battuta nello sviluppo del pensiero scientifico.
In pratica si ha una situazione del genere. Partendo dalla elaborazione di una
teoria che sintetizza dei fatti empirici conosciuti si prende atto
dell’assenza di qualche parte che limita la solidità del sistema concettuale
della teoria. La definizione di questo elemento permette a uno scienziato di
arrivare a trovare la tessera mancante (corrente di spostamento) del mosaico
definitivo di quella teoria. Lo scienziato che colmò quella insufficienza fu
J.C.Maxwell.
Non fu facile a Hertz
trovare la conferma empirica delle leggi di Maxwell. Le ragioni di una simile
complicazione furono dovute alla doppia difficoltà di produrre, da un lato,
campi magnetici variabili molto velocemente nel tempo e, dall’altro, di
rivelare le oscillazioni emesse nello spazio circostante l’oscillatore. Hertz,
lavorando su queste difficoltà, riuscì a produrre un apparato sperimentale di
tipo elettromagnetico formato sostanzialmente da due componenti: un’antenna
sollecitata a emettere onde e.m. (con un generatore di energia, chiamato
rocchetto di Ruhmkorff, che aveva lo scopo di generare, ai capi di una bobina
del circuito oscillante, delle d.d.p. impulsive (non continue) del valore di
circa 105 V) e un “risonatore”, cioè un ricevitore, che doveva
verificare l’esistenza delle onde e.m. emesse dall’oscillatore.
L’esperimento in questione,
com'è noto, consistette nell’inviare, mediante un oscillatore, delle onde
elettromagnetiche da una parete all’altra del laboratorio di Hertz. Le onde
e.m. invisibili all’occhio umano, sebbene debolissime in intensità, causavano
lo scoccare di una scintilla all’interno di un anello aperto di metallo
(spinterometro) posto a distanza di qualche metro dal circuito
oscillante.
Il desiderio di realizzare "la prova" sperimentale di Hertz in un corso di fisica di ultimo anno di liceo scientifico l'ho sempre avuto, ma per svariati motivi non l'avevo potuto tradurre in realtà. E' stato all'inizio di quest'anno che ho ricevuto dei suggerimenti molto concreti e puntuali da parte del prof. Elio Fabri che si è offerto di dare tutta una serie di indicazioni e suggerimenti che mi è stato impossibile non raccogliere. L'incoraggiamento definitivo venne da uno studente della classe che si offrì volontario per condurlo a termine, devo dire con grande abilità e disponibilità.
Il lavoro sperimentale.
L’esperimento di Hertz, che lo studente Emiliano Re ha realizzato nel
laboratorio di fisica e che si propone di mostrarlo in sede di Esami di Stato
davanti alla Commissione, non è quello originale. Da questo punto di vista,
la prova sperimentale che egli ha eseguito con strumenti molto più
raffinati e più agevoli di quelli adoperati da Hertz è stata riadattata, in
chiave moderna, utilizzando una radiolina portatile. A questo proposito, come
docente di fisica, ho dovuto effettuare una scelta, in verità
molto delicata sul piano didattico, che ha riguardato la modalità 1
della rilevazione hertziana. La scelta si riferisce alla possibilità di
preferire una delle due eventuali opzioni nel momento in cui in un normale
laboratorio scolastico liceale è necessario scegliere tra l’una o l’altra
delle due seguenti soluzioni:
Non credo all'altra
possibilità, la terza, cioè all'uso sia del trasmettitore, sia del ricevitore
come dispositivi prodotti entrambi con materiale povero, alla Hertz.
Penso che Hertz stesso, a quel tempo, per poter “vedere” le onde hertziane
nello spinterometro fu costretto ad usare una serie di accorgimenti mirati, come
l’uso di una lente di ingrandimento per osservare la debolissima scintilla che
scoccava quelle rare volte che si notava tra le estremità dello spinterometro.
Mi chiedo quante volte ripeté l'esperimento per riuscire ad avere una certa
competenza nel dominare il fenomeno e una sicura affidabilità nei risultati.
Per certi versi, mi ricorda le stesse difficoltà che incontrò Millikan con le
sue goccioline d'olio nell’esperimento della quantizzazione della carica
elettrica. Ma questa è un'altra
storia.
Costruire un generatore di
segnali e.m. è abbastanza facile e agevole: bastano pochi componenti di un
circuito come una pila, un interruttore, un transistor, un'induttanza, un paio
di condensatori e qualche resistore. Si può costruire in tante maniere, secondo
molte modalità costruttive: si può scegliere una capacità più grande e una
induttanza più piccola oppure, a parità di resistenza, una capacità più
piccola e una induttanza più grande. Alle frequenze che ho suggerito allo
studente (0.5-1.5) MHz non ci sono restrizioni particolari, né condizioni e
vincoli da rispettare nel progettare e montare il circuito.
Meno banale è il ricevitore, anche se in linea di principio è un
semplice circuito risonante. Un comune diodo e un economico tester, funzionante
come milliamperometro, sarebbero sufficienti a verificare la presenza di un
segnale elettromagnetico. Ma l'effetto è molto piccolo e il campo e.m. ricevuto
è debolissimo, sicché si rischia di non vedere alcun risultato. Tuttavia, si
può optare di ricevere il segnale con una radiolina! Oltretutto, si tratta di
una scelta felice proprio perché per definizione quello che si riceve con una
radio ... sono 2
onde radio! Questa è la ragione principale per la quale ho suggerito allo
studente di percorrere questa strada, di utilizzare cioè un sistema emittente
costruito “alla Hertz” con materiale povero e contemporaneamente un sistema
ricevente costruito con tecnologia moderna.
La sorgente di onde elettromagnetiche è costituita da un’antenna
alimentata da un generatore di oscillazioni persistenti. Il
ricevitore, invece, è una piccola radio. La sua funzione è quella di
sostituire la travagliata e fastidiosa osservazione con una lente di
ingrandimento della famosa scintilla che avrebbe dovuto scoccare tra le due
sferette dello spinterometro nel momento in cui il rocchetto di Rumkhorff
innescava, attraverso un’altra scarica, la trasmissione delle onde
elettromagnetiche. Nell’esperimento svolto dallo studente si è osservato (o
meglio, ascoltato) molto più semplicemente un suono (in realtà il passaggio da
un rumore di fondo a un fischio, dovuto a dei battimenti) generato dalla
radiolina portatile nelle vesti di ricevitore. Con lo studente abbiamo convenuto
di lavorare in onde medie con frequenza ~1MHz
(per la precisione 1040 kHz). La bobina ha 30 spire di filo smaltato del
diametro di 0.5 mm, avvolti su un tubo di politene. La sua induttanza è
pertanto di circa 0.06 mH. Dotando il trasmettitore di un interruttore a
pulsante lo studente ha realizzato
una specie di telegrafia audio e l'effetto, per alcuni versi
sorprendente, è stato raggiunto.
Per la distanza
trasmettitore-ricevitore c'è stato qualche problema: la radiolina certe volte
è stata sufficientemente sensibile nella ricezione del segnale, anche a diversi
metri e l’effetto è stato visibile a tutti in modo abbastanza marcato, ma
certe volte la ricezione era possibile sono a distanze inferiori al metro. E’
stata effettuata una prova in cui il dispositivo trasmittente e quello ricevente
sono stati addirittura messi in aule diverse (dietro l'angolo), in modo tale da realizzare quella
che potremmo chiamare una trasmissione "al buio". Il ricevente non
sapeva che cosa fosse stato trasmesso, e si è potuto pertanto dimostrare che
aveva ricevuto davvero il segnale proposto dall’emittente. Con molta difficoltà
abbiamo rivelato un cambiamento nel rumore di fondo della radio, mentre quando
la ricezione avveniva a vista si è immediatamente percepito un forte fischio
tutte le volte che si teneva premuto il tasto del trasmettitore.
Le
onde e.m. coinvolte hanno una lunghezza d’onda di qualche centinaio di metri e
la corrispondente frequenza dell’ordine del MHz. In questa maniera si è
potuto rispondere meglio alla prevedibile domanda dei dubbiosi: “ma come ha
fatto Hertz a vedere che un'onda radio ha viaggiato”?
Ricordo che Hertz nel suo esperimento ottenne onde più corte, dell’ordine di
grandezza di (10-2¸10-3)
m.
Mi
preme sgombrare il campo da un’altra prevedibile osservazione e cioè che
durante l’esperimento noi non abbiamo adoperato una "scatola nera"
bensì un dispositivo trasparente che ha permesso di accertare in maniera
intelligibile che si è manifestata una oscillazione elettromagnetica
ricevuta con una radio. Fino a prova contraria un fischio non può
apparire casualmente e regolarmente dal nulla tutte le volte che si preme un
interruttore. Se il principio di causalità in fisica classica ha senso, allora
ad una precisa causa (chiusura di un circuito) deve sempre seguire un
determinato effetto (il
fischio avvertito nella radiolina). Questo non significa che abbiamo “visto”
l’onda viaggiare nella stanza, giacché per poter parlare di onda che viaggia
nello spazio, a rigore, si dovrebbe misurarne la velocità, che è uno dei pochi
parametri in grado di sancire la riuscita dell’esperimento. Altrimenti sarebbe
necessario verificare sperimentalmente gli effetti tipici di una propagazione
ondulatoria attraverso i classici fenomeni della riflessione, rifrazione,
interferenza, diffrazione, polarizzazione, dispersione, ecc.. E’ ovvio che
questo non è stato l’obiettivo dell’esperimento. Vi sono a questo
proposito, in letteratura, tanti esempi del genere come il film del PSSC dal
titolo “Le onde elettromagnetiche” che abbiamo visto e commentato in classe.
Naturalmente
quello che abbiamo proposto è una
versione moderna dell’esperimento, nel senso che Hertz non utilizzò i
transistor per confermare la previsione maxwelliana delle onde
elettromagnetiche. Allo stesso modo Hertz non dispose di resistori e
condensatori (magari fabbricati da qualche azienda elettronica famosa), né di
saldatori, oscilloscopi, ecc.. Pertanto non è possibile calarsi completamente nei panni e
nelle condizioni sperimentali e tecnologiche in cui egli operò(*). Questo,
comunque, non toglie nulla alla significatività dell’esperimento, perché il
senso del lavoro di Hertz rimane sufficientemente chiaro in tutto il percorso
didattico relativo all’approfondimento e costituisce un valido modello di
comportamento di corretta indagine empirica.
Quello
che più interessa lo scrivente nella sua veste di docente di fisica della
classe e che appare particolarmente rilevante nel contesto nel quale ci si è
mossi (che è, poi, la prospettiva di un Esame di Stato in cui la fisica viene
presentata in maniera metodologicamente corretta, nel senso che la dimensione
empirica della disciplina ha occupato il posto centrale che le compete di
diritto) è aver permesso ai giovani studenti non solo di aver affrontato la
fenomenologia fisica in chiave teorica, cioè come sistema di idee su cui si
fonda la teoria, ma anche di aver ricostruito (con tutti i limiti possibili) il
processo di formazione delle idee scientifiche, ricorrendo alla genesi delle idee
primitive dell’elettromagnetismo. E questo non solo sul piano teorico ma
soprattutto dal punto di vista delle operazioni sperimentali che è necessario
espletare in un laboratorio.
Questo
processo, nella sua logica storica
ed epistemologica, ha permesso di aprire, in forme adeguate anche se incomplete,
un discorso interessante seppur complesso sul rapporto scienza-tecnica3,
in base al quale esistono sia «una scienza» come conoscenza organizzata
di leggi, principi e teorie, sia «una tecnica», come capacità di fare.
I due settori possono evolvere in molti modi e in forme spesso disarticolate e
anche indipendenti una dall’altra,
ma
esiste sempre una interazione che nessuno storico metterebbe in discussione. In
poche parole, nessuno scienziato sperimentale può fare a meno di essere un
tecnico come, nello stesso tempo, un tecnico non può fare a meno della
conoscenza scientifica. Le telecomunicazioni sono un campo in cui questo fatto
sinergico calza alla perfezione perchè esistono più livelli di comprensione e
di uso della tecnologia elettronica. Non tutti gli utilizzatori ma neppure tutti
gli inventori hanno una comprensione completa della fenomenologia fisica che è
sottesa. Viceversa, “moltissimi fisici, che sanno tutto
sull'elettromagnetismo, non saprebbero da dove cominciare”4
per realizzare il "semplicissimo" trasmettitore che lo studente ha
realizzato con interesse ed entusiasmo.
Qui
vi è il senso più profondo e significativo della proposta che è stata da me
presentata all’intera classe. Per permettere di comprendere che esiste una
divaricazione nella formazione scientifica e che sarebbe auspicabile superare,
Elio Fabri, a questo proposito, afferma che «allo stato delle cose esiste una doppia concezione dei fatti che
interessano la scienza e la tecnica. Da un lato vi sono delle scuole dove
s'insegnano in maniera teorica solo i “principi” e si rifiutano gli
“aspetti pratici” e, dall’altro, esistono delle scuole dove s'insegna a
"fare", riducendo al minimo il "capire"». Questa
constatazione mi sembra veritiera e adeguata agli schemi paradigmatici che
abitano nella scuola italiana. A mio parere, una
delle cause dell’insuccesso di far acquisire una efficace cultura scientifica
risiede nell’idea che la comprensione della scienza possa essere ottenuta
attraverso un convincimento di tipo “puramente verbale”. Al contrario,
l’esperienza mostra che tutte le didattiche scientifiche basate su esposizioni
esclusivamente verbali (fisica del gesso) non lasciano nelle menti degli
studenti praticamente nulla di permanente o significativo.5
Noi abbiamo tentato di imparare e di utilizzare le idee forti
dell’elettromagnetismo classico non disdegnando di “fare” per consentire
di “capire” (meglio) le idee scientifiche che vi erano sottese. Se ci siamo
riusciti o no, non sta a me dirlo. L’importante è che si è tentata una
didattica della fisica che ha permesso di discutere di tutto questo. Saranno i
giovani, negli anni che seguiranno,
a giudicare la bontà del nostro approccio.
Si
ringrazia il prof. Elio Fabri per i numerosi suggerimenti dati per la riuscita
dell’esperimento.
Il lavoro teorico.
Poche parole per informare il lettore che non ho fatto lavorare lo studente soltanto dal punto di vista sperimentale. L'approfondimento ha previsto anche delle attività di studio e di ricerca teorica e storica altrettanto importanti di quella empirica. Eccone di seguito una piccola sintesi.
Dall'inizio della storia dell'umanità l'uomo ha sempre sognato di poter comunicare, spedire e ricevere informazioni. Lo dimostrano i numerosi tentativi messi in atto nel tempo, prima in forme primitive mediante rozzi canali sonori e luminosi, poi in forme più sofisticate attraverso lo sviluppo di tecnologie che si sono evolute nel tempo fino a raggiungere un grado di efficacia veramente notevole, soprattutto nel momento in cui è iniziata l'era della comunicazione elettromagnetica senza fili.
Dalla comunicazione sonora con i tamburi a quella visiva mediante l'uso del fuoco, l'uomo ha sviluppato tecniche sorprendentemente sempre più economiche ed
efficienti. Tutto questo però è avvenuto a discapito di alcuni fattori di qualità e con due grandi limiti: brevi distanze e
basse velocità. Questi limiti sono stati ampiamente superati nel momento in cui si
è raggiunta la consapevolezza delle potenzialità della comunicazione elettromagnetica.
Lo spirito della ricerca che ho cercato di far comprendere allo studente ha
riguardato l'esigenza di ripercorrere, con tutti i limiti prevedibili di una
attività scolastica, il cammino scientifico percorso dalla scienza per giustificare, in chiave storica e concettuale, il raggiungimento di quella che viene chiamata la "civiltà della comunicazione globale".
Mi rendo conto che il progetto elaborato può apparire ambizioso. Lo rendo
subito più credibile aggiungendo una serie di limitazioni alcune delle quali
relative al fatto che lo studente ha affrontato solo la parte
iniziale di questa avventura. A grandi linee, posso informare
il lettore che l'approfondimento si è praticamente fermato al primo decennio
del '900, anni in
cui si iniziarono a costruire ricevitori che cominciavano ad abbandonare lo
«spirito hertziano» della comunicazione elettromagnetica.
Il percorso didattico è stato pertanto svolto impegnando lo studente a ricercare fonti e documenti relativi alla storia della comunicazione dai tempi dei Romani
agli inizi del secolo scorso, selezionando i fatti scientifici dalle idee
generiche e dalle opinioni.
Un buon inizio di riflessione teorica non poteva non incominciare se non tenendo
conto dell'apporto dato dai Romani. Sicchè possiamo dire che la storia inizia
con il metodo adoperato dai Romani di erigere delle "torri di fuoco" poste nei punti più alti dei territori conquistati. Dopotutto, una delle più famose di queste torri fu quella costruita in marmo bianco e posta a Roma nel 114 d.C. per commemorare la vittoria dell'Imperatore Traiano sui Daci. Con un po' di fantasia e di originalità si potrebbe dire che fu il primo "oscillatore elettromagnetico" ad altissima
frequenza adoperato in una comunicazione.
Tornando all'itinerario delle scoperte, la successiva fase di ricerca ha permesso di effettuare una
brevissima
riflessione sul "telegrafo ottico" dei fratelli Chappe, i quali nel 1793, in piena rivoluzione francese, riuscirono a superare grandi distanze (Parigi-Lilla) spedendo messaggi attraverso una serie di torri, poste su delle colline contigue,
dalle quali partivano dei segnali luminosi prodotti da primitivi ed elementari dispositivi
a forma di semafori, attraverso i quali si era capaci di trasmettere, in codice, messaggi formati da lettere dell'alfabeto.
Ma fu l'arrivo dell'elettricità che interessò maggiormente la scienza. Il primo intervento fu il telegrafo (a fili) che permetteva di inviare, mediante un codice inventato da S. Morse nel 1832, dei segnali elettrici. Successivamente A. G. Bell, nel 1876, inventò il
telefono col quale riusciva a inviare deboli segnali sonori modulati e demodulati con segnali elettrici.
L'era successiva, per i nostri scopi, fu quella più importante chiamata l'era dei segnali
radioelettrici (inviati senza fili), in cui si trasmettevano, cioè, segnali nell'aria senza
sfruttare alcun sostegno materiale.
Mi sento di dire che non ci fu una sola persona che inventò l'intero sistema
elettromagnetico (teoria e pratica). Piuttosto, si può affermare che le scoperte furono dovute a una intera collettività di fisici, teorici e sperimentali, che effettuarono delle ricerche
d'insieme. Furono molte e diverse le personalità impegnate nel disegno complessivo della formalizzazione di una teoria dell'emissione e
della ricezione di segnali elettromagnetici dal punto di vista pratico, cioè della costruzione di apparecchiature e dispositivi atti a produrre
segnali telegrafici senza fili e, successivamente, elettromagnetici. Certo, dal punto di vista teorico, e solo teorico, la personalità di Maxwell svetta al di sopra di
tutti senza ombra di dubbio. Tuttavia, dal punto di vista pratico, le cose sono andate diversamente. Uno degli obiettivi della ricerca è consistito proprio nel mettere insieme il legame che unisce le figure più rappresentative di questo sviluppo. In ordine possiamo elencarne alcuni. Lo scozzese J.C. Maxwell (1865), il tedesco H.Hertz (1888), il francese E. Branly (1890), l'inglese O.Lodge (1894), il russo A. S. Popov (1895), l'italiano G. Marconi (1896), il francese E. Ducruet (1898), gli americani A.G.Bell, R.A.Fessender (1900), A.J. Fleming (1904), L. De Forest (1906), W.Poulsen
(1908), gli italiani Augusto Righi e Calzecchi Onesti, il francese G. Ferrié (1912), l'americano E. Armstrong
(1914). Mi fermo qui perchè l'approfondimento tematico non si è posto
l'obiettivo di affrontare lo studio della «storia della comunicazione
elettromagnetica». Ricordo, viceversa, che lo scopo è stato un altro, cioè la
costruzione del dispositivo hertziano col quale H. Hertz confermò adeguatamente
la validità della teoria di Maxwell. Nulla di più.
L’insegnante di Fisica e Laboratorio
Prof. Vincenzo Calabrò
Roma, 9 Giugno 2001
1 Gli sviluppi di questa scelta hanno riguardato un dibattito su come captare un'onda radio, a breve distanza, svolto all’interno della mailing-list “Sagredo”, moderata dal prof. Elio Fabri del Dip. di Fisica "Enrico Fermi" - Univ. di Pisa - Sez. Astronomia e Astrofisica [http://astr17pi.difi.unipi.it/mailman/listinfo/sagredo/];