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Note ed appunti sulla storia ed i monumenti del comune di SOMMA VESUVIANA (NA)
 

 

 
     

IL SOMMA-VESUVIO
Su un'immensa base di più di 50 Km di circonferenza si eleva isolato il massiccio composto dal Vesuvio e dal Somma. Il recinto è la cosiddetta "montagna di Somma", che discende a Nord con un regolare pendio in modo da formare una muraglia semicircolare che abbraccia il cono intero, il suo genito, il Vesuvio. Le due zone sono delle vere e proprie vie del fuoco, perché in esse s'incanalano le lave che colano sul lato settentrionale del Vesuvio. Sul versante esterno di questo, dal lato opposto al cono, invece i pendii sono solcati da profondi valloni prodotti dall'erosione delle acque meteoriche. La parte inferiore del massiccio è costituita da tufo giallo o grigio, mentre la parte superiore è composta nella sua ossatura di tufi e lave leucidiche. Nell'impressionante voragine dell'immenso cratere si vedono sezioni di strati sovrapposti, dei quali alcuni paralleli all'orizzonte, altri obliqui, mentre si diversificano per la materia che li compone: lapilli bruciati, sabbie arenose, lave cotte e calcinate disposte in modo tortuoso ed irregolare. L'intera cresta, ad orlo molto sottile, è soggetta a franamenti, ma può essere percorsa, superando alcune difficoltà non esagerate ed anche con la possibilità di rinvenire lungo i sentieri bellissimi campioni di minerali, specialmente di leucite. Il ritrovarsi in questa zona, tra il verde della vegetazione incontaminata è qualcosa di meraviglioso ed estasiante ad un tempo. Il tutto, poi, accoppiato alla visione di un panorama grandioso che abbraccia l'intero golfo di Napoli estendendosi fin sulle vette del Faito e del Partenio. Il versante del Somma, rivolto alla pianura, è stato nei tempi storici meno esposto alla furia devastante del vulcano perché riparato dall'altezza della parete interna. Tutte le zone alle falde della montagna sono da considerarsi formate da terreni trasportati da lave di fango, che scendono dagli scoscesi pendii, trovando la loro naturale via verso il basso per stretti e profondi valloni chiamati comunemente lagni. Al di sopra del limite dei 500-600 metri la montagna si presenta ammantata di una fitta vegetazione. Più sotto invece attecchisce il frutteto misto e specializzato (albicocco, pesco, susino, noce, nocciolo) e la vite provvista di estese falci che si presentano a loro tempo ricolmi di saporosi grappoli progenitori di superbi vini locali.
Sul nome "Somma"
Monte Somma o più propriamente montagna di Somma: da dove deriva questa denominazione? Molti si sono cimentati nel dare spiegazioni a questo nome. In effetti, ricordiamo che il toponimo è citato da Paolo Diacono nel 536 DC ad indicare la cittadina che sorge sulle sue falde in posizione centrale, mentre la montagna è così citata solo nel sec. XIV con Petrarca e Boccaccio. Quest'ultimo a proposito dice " hodie vulgo incolis vocatur Monte di Somma ab oppido ad radices posito". Pochissimi sanno che il Monte Somma ha anche un altro nome, cioè Monte Quante, riportato da Gerolamo Boccardo nella Nuova Enciclopedia Italiana del 1980.Invece Cicerone scrivendo dell'arbitrato di Q. Fabio Labeone, per la zona intercorrente tra Nola e Napoli aggiudicata ai Romani lo definisce "Summus jus summa iniura" .Dalla "Summa iniuria deriverebbe Somma. Più recentemente, nel 1933, il Della Corte propone Somma derivato dalla "Summa Villa" che Augusto avrebbe avuto nel suo vasto predio, scavata proprio nella zona e da lui stesso identificata. L'aver localizzato un'importante villa d'epoca romana nella zona di Somma portò il Della Corte a legare l'aggettivo Summa all'edificio creduto appartenente ad Augusto


L'"ARX SUMMAE"
Non mancarono nel corso del X secolo le terribili invasioni dei barbari, tra cui gli Ungheri, che attraversarono le nostre terre nel 940 mettendole a ferro e a fuoco e saccheggiandole, mentre i sommesi, impotenti di fronte a tale flagello, si rifugiarono sulla montagna. Come in ogni altra zona i cittadini, per ripararsi, si rifugiarono sulla balza tufacea - detta poi Castello - scoscesa nelle fiancate e naturalmente difesa da profondi valloni. Furono tutt'intorno rafforzati i costoni con grosse cinte murarie in pietra vesuviana e furono innalzati grossi salienti di rinforzo L'opera di grandi dimensioni comprendeva nel suo interno numerose infrastrutture. Non mancava una cappella che fu sostituita nel 1268 da quella più ampia ed artistica fatta costruire, con caratteri gotici, da re Carlo I d'Angiò, dedicandola a S.Lucia. I pochi resti attuali non danno minimamente l'idea di quello che doveva essere il castello sul monte nel IX sec., maestoso e superbo a guardia della fertile compagine sommese. Nel corso dei secoli il territorio sommese ha conosciuto il governo di molti principi appartenenti a varie casate e sotto la loro reggenza la rocca di Somma ha più volte respinto l'attacco di vari invasori ed ha subito numerosi rifacimenti che nel corso degli anni ne hanno modificato notevolmente l'assetto iniziale, infatti, la rocca nel periodo angioino fu quasi del tutto rifatta sulle fondamenta dell'antico castello Svevo. Lo stesso re Ferrante d'Aragona ne sperimentò l'inespugnabilità quando invano, per ben 27 giorni, strinse d'assedio la rocca dentro la quale si era rifugiata la sventurata amante di re Alfonso, madonna Lucrezia d'Alagno. In seguito il castello montano, rovinato ed in parte distrutto già dalle precedenti guerre tra i pretendenti al Regno di Napoli, nonché dalle susseguenti eruzioni e terremoti causati dal vicino Vesuvio, fu minato nella stabilità e restò del tutto abbandonato per parecchio tempo. Il colpo di grazia alla centenaria rocca fu dato dalla violenta eruzione del 1631, che, oltre a causare il dissesto delle poderose murature addossate alla rupe, seppellì sotto uno strato di lapilli e sabbia tutta la parte interna del castello, compresa la cappella di S.Lucia. Oggi oltre a pochissimi resti murari distribuiti lungo l'ampio perimetro, solo una residua torre, in posizione arroccata tra folti cespugli di ginestre, fa da vedetta solitaria sporgendosi sul profondo canalone ad oriente e, mutila e disadorna, testimonia vecchie glorie e l'esistenza sul luogo del poderoso castello svevo-normanno.


IL CASTELLO D'ALAGNO
IL castello aragonese di Somma sorse per sostituirne un altro di origine normanna ubicato più a monte. In quest'ultimo madonna Lucrezia d'Alagno si ritirò, allorquando morì re Alfonso d'Aragona nel 1458, per mettere al riparo se stessa e le sue ricchezze dall'odio e dalle invidie dei cortigiani del nuovo re ed anche dalle personali mire del nuovo sovrano successore. In seguito, poiché la rocca sul monte era d'accesso troppo disagevole ed il castello stesso, rovinato in più punti, era diventato poco accogliente per una dama così raffinata e sensibile, la regale amante, nel medesimo anno del suo arrivo a Somma, concepì ed attuò il disegno di un nuovo e più comodo castello a ridosso del centro abitato e vicino ad una delle porte della città murata. Il nuovo castello sorse con quattro torri rotonde e merlate, di cui due stringevano nel mezzo una larga facciata in cui si apriva a piano terreno il largo fornica del portone d'ingresso e, al piano nobile tre alte finestre illuminavano gli ambienti di rappresentanza, mentre dai terrazzi delle torri si ammiravano, con ampia visuale, a sud il verdeggiante monte e a nord la pianura campana da Nola a Napoli. Delle quattro torri angolari, originariamente allo stesso livello, oggi due restano ad un livello più basso e due, maggiorate di un piano, ad un livello più alto. Le due più basse si trovano dalla parte anteriore della facciata e le due più alte dalla parte posteriore. La visibilità dei nemici da lontano e la difesa dagli stessi erano così assicurate da ogni lato. Qui madonna Lucrezia stabilì la sua dimora dopo la morte del suo amante, che le aveva donato tutto il territorio nel 1455.IL figlio naturale di Alfonso, re Ferrante I, trovandosi in ristrettezze economiche anche per la guerra che stava conducendo contro i baroni ribelli, insieme ai nuovi consiglieri avidi ed invidiosi non dava tregua a Lucrezia; considerandola alla stessa stregua delle tante famiglie nobili arricchitesi col denaro del padre, tentava di toglierle tutto quanto essa aveva. Intanto Lucrezia si teneva intelligentemente ben chiusa e difesa nel castello sul monte. Il giorno tre Febbraio il re dopo aver vanamente assediato la rocca per ben 27 giorni ed avendone costatato la sua imprendibilità, se ne partì da Somma, saccheggiando il castello recentemente fatto costruire ed in cui aveva preso dimora. Pochi giorni dopo Lucrezia consegnò il castello e la terra di Somma a Jacopo Piccinino e si rifugiò, con tutte le sue ricchezze, prima a Nola poi a Bari. Con l'abbandono del castello da parte di madonna Lucrezia questo, con tutto il territorio sommese, conobbe diversi proprietari e passò sotto la reggenza di regnanti come Giovanna III aragonese che aveva sposato il nipote del Ferrante proprio a Somma nel palazzo della Starza della Regina. Nel 1691 don Felice Fernandez de Cordova, Folchi Cardona e Aragona, duca di sessa e di Somma affittò per tempo indeterminato il castello al dr. Luca Antonio barone De Curtis di Napoli, rimanendo di proprietà dei De Curtis fino al 1946 quando l'intera proprietà fu acquistata dal dr Nicola Virnicchi di Montella. La visione del castello attualmente è possibile percorrendo la circonvallazione meridionale di Somma, sia da est sia da ovest, e s'impone per la fierezza e per la bellezza della sua compatta mole nonostante il deplorevole stato di abbandono e di degrado cui è stato abbandonato sia da parte dei proprietari sia da parte dell'amministrazione comunale, infatti, l'eventuale acquisto dell'immobile da parte del comune di Somma Vesuviana, oltre alla destinazione prevista di sala consiliare, potrebbe porre le basi per la creazione di un museo per la cultura popolare, come da una richiesta corredata da migliaia di firme.
SCHEDA CASTELLO D'ALAGNO
DESCRIZIONE
: il castello si trova nella parte alta di Somma, al di fuori delle mura aragonesi, verso la montagna. Si accede mediante un viale in salita. Una piazzola semicircolare precede il portone d'ingresso. Dopo un atrio si passa in un cortile scoperto, chiuso dalle ali della costruzione, con ai lati gli ingressi delle scale, dei vani deposito e l'accesso al giardino. Al piano ammezzato a destra, vi sono le celle e a sinistra due vani. Al primo piano si svolgono i saloni, le scale residenziali delle ali e i terrazzi sulle torri ad ovest, mentre ad est le stesse, sopraelevate, contengono vani; su tutte il parapetto riproduce le merlature. I corpi di fabbrica sono coperti con volte a botte lunettata per il braccio principale e con volte a gaveta per quelli laterali. Nel salone d'ingresso è ricavata nello spessore del muro la cappellina. Il sottotetto è un corpo aggiunto nella seconda metà dell'ottocento con copertura a carriate in legno a due falde con coppi. Su tutto emerge la colombaia-torre belvedere in parte crollata. Un vasto giardino-frutteto circonda lo stabile isolato tutt'intorno da ampie strade.RESTAURI: alla fine del XVIII sec. il castello subisce, ad opera dei marchesi De Curtis, che ne avevano il possesso, un radicale restauro con notevoli modifiche sia planimetriche sia estetiche, che trasformano il rude stabile cinquecentesco in una villa settecentesca con caratteri neoclassici e aggiungono il piano sottotetto con copertura a coppi, sorretta da capriate in legno. Sopraelevano, creandovi due ambienti, le due torri posteriori. Altri elementi aggiunti, oltre all'intonacatura totale, si riscontrano nella listatura dei pilastri del cancello d'ingresso, nella conformazione ad esedra della piazzola antistante il portone d'accesso e nella decorativa cortina muraria, che chiude il cortile interno dal lato del giardino. Le sale superiori vengono distribuite diversamente dell'impianto originale e arricchite di stucchi con il rifacimento di porte ed infissi.
LE MURA ARAGONESI
Posta tra le quote 180-220 sul livello del mare l'ubicazione del centro cittadino non presenta eccessive asperità naturali atte a creare cortine difensive di notevole rilievo, ma dovette certamente essere dotata di strutture murarie, ma di quale entità esse fossero in origine oggi è difficile a dirsi. Certamente riesce molto difficile trarre dalle esigue notizie di questi documenti la consistenza reale, l'esatta ubicazione e il dimensionamento dell'impianto murario coevo. Non doveva, almeno per quanto riguarda il percorso differire da quello attuale perché allorquando, nel 1467, ne fu ordinato il consolidamento o il rifacimento da parte di Ferrante II d'Aragona, non si parlò affatto di ampliamento, ma, come riferisce anche il Pacichelli nella sua opera, le mura furono solo migliorate con moderno disegno. Il tracciato murario aragonese intorno al quartiere medievale è all'incirca di 1300 metri ed è attualmente quasi interamente visibile, anche se di tanto in tanto manomissioni, scassi adoperati in maggior parte negli ultimi decenni ne interrompono il corso. La superficie racchiusa è di circa 85000mq e la muratura ha un'altezza media che si aggira intorno agli otto metri ed è intervallata da grosse torri semi cilindriche, poste alla distanza media di una quarantina di metri l'una dall'altra e diametro di 7-8 metri. La consistenza è in gran parte ancora buona. La composizione dell'impianto murario è costituita da grossi blocchi di pietra vesuviana non squadrati e da una tenace e abbondante malta in cui venivano annegati i più disparati elementi lapidei insieme a residui di altre costruzioni. Di tanto in tanto, specie negli angoli di raccordo delle torri con la muratura e nelle parti più riparate, vediamo inserite feritoie e bocche circolari sagomate a strombo al loro interno oggi del tutto tompagnate o chiuse. Si nota chiaramente che queste piccole aperture sono più frequenti nei lati volti a nord e a ovest, cioè rispettivamente verso Nola e Napoli. La parte superiore delle mura, composta dai camminamenti e dalle merlature, è totalmente andata perduta. Il grosso muro che varia nelle dimensioni dal metro al metro e mezzo, come si può ben osservare, oltre che di difesa anche di contenimento per gli alti terrapieni e, in alcuni punti dove l'edilizia è più fitta, ancora funge da muro perimetrale di ambienti, in cui tuttora abitano famiglie, sia all'interno che all'esterno del borgo. Quattro porte davano l'accesso alla città: Porta S. Pietro a nord, Porta Formosi ad ovest, Porta del castello a sud e Porta tutti i santi ad est. In origine le mura ebbero almeno nella parte rivolta alla pianura un profondo fossato, mentre ad est e ad ovest erano rispettivamente isolate dagli alvei fosso dei Leoni e Cavone. Anche se bisogna far presente che questo complesso architettonico, trovandosi nella zona più alta è stato quello più colpito nel corso dei secoli sia dalle eruzioni sia dai terremoti e sia dalle varie alluvioni, pur tuttavia bisogna costatare che mai, dal lontano rifacimento aragonese, è stata spesa una lira, ne mai presa in considerazione una proposta per il suo consolidamento.
IL PALAZZO DE FELICE-ALFANO
Attorno alla storia di questo palazzo si sono addensati numerosissimi enigmi e misteri che sono stati resi ancora più impenetrabili anche dalle numerosissime, notizie rivelatesi poi infondate, che sono state diffuse sulla storia di questo palazzo. In effetti, la storia del palazzo è contraddistinta da un continuo cambiamento dei proprietari sui quali però vi sono numerose incertezze. La storia del palazzo nell'ultimo secolo è collegata solo alla parola decadenza. Degno di nota è il tentativo di saccheggio dei liberali sommesi durante la repressione del brigantaggio, appena subito dopo l'unità d'Italia, per i presunti rapporti dei De Felice con la parte borbonica. Nella prima metà del secolo visse un momento di fasto con la bellissime feste organizzate dalla famiglia Alfano che vide attorno a sé la più bella nobiltà napoletana. Dopo i guasti subiti durante la II guerra mondiale, ad opera dei tedeschi in ritirata, ha avuto a partire dal 1960 tutta una serie di danni alle strutture interne, ma anche nella stessa facciata sopraelevata da un lato. Per quel che riguarda la struttura architettonica, il palazzo è a pianta quadrata con dei corpi aggiunti ed è posto all'angolo tra via Casaraia e via S.Pietro. Alte mura racchiudevano ben dieci moggi di terreno, fruttato e vitato, come si diceva a quel tempo. Nonostante le aggiunte di elementi architettonici moderni e le abnormi ristrutturazioni alcuni corpi della fabbrica denunciano ancora oggi la loro impronta antica, forse cinquecentesca. In particolare il lato est sembra il meno alterato con tre finestre al piano nobile ed il sottotetto quasi intatto. Elemento degno di nota è la cassa di scala principale sulla sinistra di chi entra nel portone. L'altra scala si apre nell'angolo sud-ovest alla confluenza dei due portoni di accesso al giardino. Questa scala più di tutto ha subito l'ingiuria del tempo a degli uomini, specialmente per le sopraelevazioni che le hanno deturpato la volta barocca. IL palazzo aveva come sistema di approvvigionamento idrico ben tre pozzi principali ed altri minori per la raccolta delle acque piovane. Quello centrale, posto nel cortile, era a pianta quadrata con il rialzo perimetrico di un gradino. Su un lato vi era una lapide non datata con la seguente scritta:<<Sitibunde veni ad felices confuce velox. Hoc gaudent isti fonte levare sitim.>> Intorno agli anni ottanta il pozzo fu abolito e la lapide rimossa per far spazio agli autoveicoli dei condomini. La facciata del palazzo è abbellita da un alternarsi di finestre con timpani triangolari e ad arco. E' probabile che solo nel XIX sec alcune finestre siano state trasformate in balconi. L'ampio portone che dà l'ingresso al cortile è sormontato da un soprapporta intagliato e forato. Ai lati dell'ingresso due tronchi di colonne bianche, del diametro di circa un metro, fungono da paracarri. Probabilmente il palazzo subì una ristrutturazione seicentesca ad opera della potente famiglia dei Filangieri. La facciata costruita ex novo fu congiunta con il corpo posteriore che sarebbe il nucleo più antico del palazzo; infatti si nota un certa differenza stilistica tra il prospetto di via S.Pietro, più rustico, ed il prospetto di via Casaraia, elegante e rifinito. UN bellissimo portone ligneo immetteva nel giardino attraverso un viale che terminava nei pressi della chiesa di S.Pietro, i vari dislivelli erano superati da leggeri raccordi e gradini di cui resta solo quello iniziale. Meritano di essere citate anche le decorazioni interne di alcune sale. Il soffitto è abbellito da una serie di festoni vegetali su fondo bianco, con riquadrature brune <<in una fantasmagoria ora azzurrina ora verde chiaro si iscrivono alcuni vasi greci ed italioti ed alcuni busti classici visti di profilo tra i quali sembra esserci quello del famoso Socrate. Sulle porte ingentiliti da riquadrature in oro zecchino, amorini con vesti celestine s'impegnano in attività gioiose, tra le quali, particolarmente elegante, quella delle bolle di sapone.>> (R.D'Avino).

L'EDICOLA AL PURGATORIO E LA SUA CAPPELLA
Le edicole votive stradali del centro di Somma e del suo territorio formano un eccezionale "corpus" che connota in modo complesso questa vasta area sub vesuviana. Si tratta di un insieme di almeno 150 effigi tutte realizzate su maiolica e databili tra la seconda metà del sec XVIII e l'intero arco del secolo successivo. Con il loro vasto repertorio iconico segnano in modo caratteristico i luoghi ,tanto che l'immaginario religioso trova in esse una precisa consistenza, anche fisica. Tra i più significativi dal punto di vista iconografico bisogna considerare l'edicola detta del purgatorio sita in via Mercato Vecchio, strada che esce dal centro di Somma ad occidente e prosegue per Napoli, nei pressi dell'alveo "Purgatorio" ora ricoperto che ha assunto il nome di "corso Italia" inserita tra riammodernate costruzioni dove un tempo vi era solo campagna. L'insieme consta di un'edicola isolata sul bordo a "valle" dell'antica via Ottajano e di una cappella posta sul lato a monte della stessa strada. Purtroppo oggi il delicato equilibrio tra costruito ed ambiente naturale è compromesso dalla presenza nel luogo di un'edilizia rozza e senza storia. Una funzione fondamentale in questo spazio sacro l'assolve l'effige maiolicata contenuta nell'edicola. Quest'icona maiolicata di cm 80 x 100, databile presumibilmente nella seconda metà del sec XVIII presenta un tema sacro ricorrente nell'iconografia cristiana, "il compianto sul cristo morto" (la Pietà).Ad una lettura più attenta e precisa si notano simboli vari che rimandano ad un organico sistema iconografico, tanto da abbracciare tutti i "mysteria varia" della Passione e Morte di Cristo, per mezzo di queste immagini viene trascorsa tutta la vicenda del Tradimento, Condanna, Passione e Morte del Figlio di Dio. La parte centrale di questa composizione è occupata dalla figura del Cristo morto adagiato sul sudario e con la testa poggiante su una pila di lussuosi cuscini e dalla figura della Mater Dolorosa, scritta che compare alla base del quadro, che sembra voglia accentuare il sentimento della Madre Addolorata, essa è simile a tutte le madri e spose contadine colpite da un lutto ed è segnata dal vistoso simbolo del cuore trafitto. Intorno a questo gruppo centrale si dispiega un corollario di simboli che dilata ed amplifica i contenuti del tema principale. "Sulla destra troviamo la figura del gallo sopra un colonna in atto di cantare, si tratta di un modulo figurativo, abbastanza diffuso, che comunica la rinnegazione di Pietro e l'abbandono di Cristo nell'imminenza della passione, vicino a questo simbolo troviamo il tamburo con i tre dadi per comunicare l'estrema umiliazione di Gesù nel veder contendere dai soldati di scorta (il tamburo),con una partita a dadi, la propria tunica. Più in alto troviamo il calvario con le tre croci, immagine che simboleggia il punto ultimo e più tragico del "Dramma del Golgota". Ma, subito dopo, nella parte conclusiva dell'icona, troviamo con le immagini dei due angeli reggisimbolo (interessanti anche esteticamente),un ribaltamento dei significati; da segni connotanti la sconfitta e morte a segni connotanti la Gloria. Nelle mani di uno di questi angeli ritorna la croce (non deve stupire la sua ripetizione) i cui valori significativi sono opposti e complementari a quelli della prima croce. Infatti da strumento di martirio, tra i più infamanti, diventa segno del più esaltante dei trionfi. E così l'angelo dal lato opposto ,nel reggere il calice col sangue di Cristo sparso sulla croce, comunica un significato diverso da quello della morte. E inoltre, con l'atto liturgico di battersi il petto, espresso con l'altra mano, rimanda al Memoriale dell'Eucarestia inteso come vittoria sul Peccato e quindi come redenzione per l'intera umanità (1) ". La piccola chiesa, posta di fronte all'edicola, è molto antica ,però notizie certe risalgono al 1767, allorquando fu censita tra la cappelle esistenti fuori dalle mura della città nel libro di Santa Visita della curia nolana, ed è intitolata alle Anime del Purgatorio. La facciata è a capanna, sormontata nella parte centrale da un minuscolo ed elegante campanile a muro piatto in cui si apre una monofora contenente la piccola campana. Al centro della facciata, al di sopra della porta d'ingresso ornata di un cancello in ferro, vi è l'occhio ovale che dà luce all'interno e in parte ne caratterizza l'estetica. Sulla destra, incassata nella muratura, vi è in alto apposta una lapide in ardesia su cui inciso si afferma il diritto di patronato dei soci della Laical Congrega della Morte e Pietà con sede nella chiesa Colleggiata di Somma. Nelle sante visite del 1829 e 1855 la cappella era descritta come diruta e per questo motivo interdetta al culto. Interessanti ed artistiche tele settecentesche decoravano l'interno che si compone di una sala antistante più un vano sagrestia posto dietro l'altare.
NOTE 1) A.BOVE Summana n^5 Somma Vesuviana Dic. 1985 pp 24-25

LA CHIESETTA DI S.MARIA DELLE GRAZIE A PALMENTOLE
Lontano dall'agglomerato urbano di Somma, sorse isolata la graziosa chiesetta di S.Maria delle Grazie, nella località detta delle palmentole da cui assunse la denominazione, poco distante dalla strada che oggi da Somma conduce a Marigliano. L'ingresso della chiesetta ,davanti al quale si apre un ampio spazio, è volto ad occidente e si affacciava sull'incrocio di tre strade. La facciata, mai completata, si presenta oggi con una rifinita zona di pronao a piano terra, poco rialzata dal livello della piazza, sorretta da due pilastri e coronata nella parte superiore da un provvisorio campanile a parete traforata, chiuso in alto da un modestissimo timpano il tutto in mattoni. "L'interno è a sala rettangolare, coperta da un solaio piano con due cappelle laterali nella zona centrale i cui altarini, addossati alle pareti nello spessore delle quali sono ricavate le nicchie per le immagini statuarie sporgono abbondantemente nella navata. La zona absidale è chiusa da una balaustra. Il monumento è affiancato da antiche costruzioni di tipo rurale mentre intorno vanno man mano aumentando le nuove costruzioni "(1).Lateralmente alla chiesa prosegue una stretta fascia di strada che conduce alle varie masserie. Importanti notizie storiche riguardanti questa chiesetta provengono soprattutto dall'archivio della diocesi di Nola. Da questi documenti siamo in grado di collocare l'anno di costruzione di qualche decennio anteriore alla data del 7 Ottobre 1497, quando "Bernardino Maione Di Cipriano Figliola di Somma fa testamento, lascia erede Federico Figliola, lascia che si dicano tre messe la settimana nella sua cappella di S.Maria della Grazia, e che per l'eredi si debia pagar il cappellano,e non pagando succeda il Capitolo nella masseria delle piscinelle."(2) Da queste relazioni inerenti la chiesa di S.Maria delle grazie alle Palmentole ricaviamo la testimonianza della fondazione del monumento ad opera di d.Cipriano Figliola, appartenente ad una delle più nobili e antiche famiglie di Somma. Apprendiamo pure che la cappella aveva annesso un territorio coltivato di circa nove moggia con frutteti e vigneti, mentre il luogo sacro si presentava molto semplice e privo di ornamenti, tranne quelli essenziali al culto che si era mantenuto ininterrotto negli anni. Con il passare del tempo la precarietà dell'edificio andava sempre più aumentando, mentre i tempi nuovi richiedevano maggior decorazione e sontuosità per gli edifici sia religiosi che civili. Un artistico progetto per la facciata di questa chiesetta venne redatto dall'architetto Sabato Del Giudice di Somma, verso il 1910,la cui realizzazione fu iniziata con il generoso obolo dei fedeli e portata avanti dalla fede del parroco d.Carmine Troianiello. Gusti neoromanici e transalpini si frammischiano nel disegno della piccola facciata sul cui pronao alto doveva svettare la decorativa e decorata torre campanaria in cui più pronunciati erano previsti i temi tipici dell'architettura del nord Europa. Al di sopra del pronao doveva aprirsi l'ampio occhio crociato e sul ripiano superiore, al culmine di un'apertura divisa in due da un'agile colonna, doveva essere sistemato l'orologio ad un'altezza considerevole, tanto da essere visibile da un'ampia zona di campagna. Colonne ritorte, archi pronunciati e possedenti cornicioni erano i motivi preminenti della torre che culminava con una terrazza merlata con al centro un altro edificio coperto a pinnacolo, dove erano alloggiate le campane di nuova fusione. La facciata, molto severa, riportava nella decorazione dei fregi motivi floreali originali a tutto rilievo, mentre nel piano superiore archetti ciechi, di tipo romanico, impostati su colonnine, reggevano decorativamente il pesante timpano composto da un possente cornicione. Il mattone a vista era l'elemento costruttivo impiegato nelle strutture portanti sorrette da un basamento di pietra vesuviana, con conci irregolari, il cui colore grigio ben valorizzava il rosso dei mattoni. Il monumento, geniale e originale della progettazione, fu completato solo nel piano terra, mentre al primo piano è stato male concluso con una parete traforata e con un timpano con due arcate sottostanti in cui sono state inserite le campane, che portano le date del 1912 e 1920.Il tutto superiormente non ha nulla a che vedere con il ragionato e severo progetto dell'architetto Del Giudice. Nella chiesetta attualmente si celebra la messa solo di tanto in tanto con le offerte dei fedeli, ma non vi è nessun canonico fisso. Inoltre la debole porta che chiude l'ingresso è stata un incentivo per i ladri che hanno commesso all'interno numerosi furti.
NOTE
1) R. D'Avino Summana n^15 Somma Vesuviana Marzo
1982 p2
2)Dal registro delle antichissime pergamene esistenti nell'archivio del capitolo cattedrale di Nola.

LA CHIESA DELLE ALCANTARINE
A nord della medievale città murata, inserita nella maestosità della cinta aragonese, si eleva la massiccia cupola e l'alto campanile della chiesa delle Alcantarine; devota a S.Francesco e meglio conosciuta come la chiesa dei Padri Trinitari che da anni sono insediati nell'annesso monumentale convento. Sorta tra il '600 e il '700 ha subito certamente degli interventi sostanziali sulle linee e forme originali, presentando ancor oggi il fastoso stile barocco che ha influenzato tutta l'architettura mondiale dal 1600 in poi. A sinistra della facciata esterna, ancora ricca di modanature e cornicioni a stucco, si eleva il massiccio campanile che rappresenta per i sommesi un punto di riferimento e di orientamento del Casamale. La cupola della chiesa, a forma emisferica, si innalza prima su un alto tamburo traforato da otto finestroni e poi su una zona rastremata con altrettante luci; chiudeva in alto con una lanterna sempre circolare. L'insieme della chiesa e del convento è inserito nel cosiddetto mastio aragonese, potente struttura medievale costruita per proteggere il borgo murato nella parte in cui si apriva la porta principale d'accesso. Quest'ultima fu successivamente riadattata, ampliata e adibita a convento. Nell'archivio storico del comune di Somma Vesuviana il fascicolo dei "Capitula Monasterij monialum et reformatio illorum facta pro Sede Apostolica et Regius Assensus proinde proinde expeditus ab excellentissimo prorege huius Regni" fornisce ampie informazioni sull'edificazione del convento e della chiesa. La proposta e il reperimento dei fondi necessari per la costruzione del complesso e per l'espropriazione dei terreni la si deve all'iniziativa dell' Università di Somma nell'Agosto del 1618.Per circa duecento anni le Donne Monache Carmelitane restarono insediate nel convento al casamale e ne fanno fede le continue delibere di 400 ducati annui erogati dall'università di Somma in loro favore per vitto e mantenimento. Allorquando nel 1810 fu decretata la soppressione dell'Ordine delle Carmelitane il convento rientrava nella giurisdizione della chiesa parrocchiale di S.Giorgio Martire, nello stesso ambito ricadeva ancora nel 1861,quando nel convento predetto vi erano insediate le suore francescane delle Alcantarine. Queste ultime pagavano alla parrocchia di S.Giorgio 45 ducati annui risultando essa la diretta proprietaria dello stabile. Successero alle suore Alcantarine nei locali del convento i Padri Trinitari che ancora oggi vi sono insediati. La facciata della chiesa, adorna di grossi cornicioni aggettanti e con lavorate modanature, è solcata in senso verticale da quattro lesene che ne accentuano l'altezza giungendo fino al timpano di coronamento. Le alte nicchie laterali all'ingresso, molto rialzato rispetto al livello stradale e raggiungibile mediante due rampe simmetriche, contribuiscono a dare forza chiaroscurale al prospetto. Sul lato sinistro s'innalza il campanile con la tipica copertura a piramide ottagonale impostata su di un alto tamburo, mentre a destra la facciata è diafanamente collegata alle costruzioni dell'isola successiva mediante due esili archi, in funzione di contrafforti, al di sotto dei quali corre il vico console che rasentando tutta la proprietà del convento giunge fino all'opposta via Giudecca. La voluminosa cupola emisferica, innestata sui quattro piloni della zona preabsidale, fulcro della costruzione a piana centrale, s'innalza prima su un alto tamburo circolare traforato da otto ampi finestroni e poi su una zona di raccordo con altrettante luci ottagonali. Un'elegante lanterna chiudeva in alto l'apertura circolare, contribuendo maggiormente ad immettere luce nell'interno con i suoi alti e stretti finestrini. Magnifico era il rivestimento esterno in mattonelle maiolicate giallo-verdi, smussate nella parte inferiore, che creavano un suggestivo manto dai caldi riflessi. Venne impietosamente asportato e distrutto in un lavoro per l'impermeabilizzazione della cupola effettuato nel 1967.Pure mirabile era il magistero degli stucchi della parte esterna della lanterna con pregiate arricciature barocche, anch'esse inspiegabilmente perdute. Anche il campanile ha subito, nella parte terminale, modifiche tali da renderlo strutturalmente tozzo e massiccio rispetto alla forma originale più sinuosa ed armonica. L'interno della chiesa, con ritmi ascensionali molto accentuati, mantiene invece quasi tutta la ricchezza delle decorazioni massicciamente distribuite nelle cornici e nei cornicioni con pregevoli lavori in stucco, vanto della epoca barocca. Il convento annesso alla chiesa delle suore francescane Alcantarine sorge in parte sulle vecchie e robuste mura aragonesi, di cui al piano terra sfrutta le volte degli ambienti di deposito e sosta e le massicce pilastrature, ancora evidenti che sorreggevano l'ampio percorso di vedetta. Comunque le alte cortine murarie erette da re Ferrante D'Aragona, proteggono ancora oggi con la loro potenza ed altezza, come nel tempo passato, l'inviolabilità del severo monastero del centro medievale.


LA "CONA MAGNA" DI S. PIETRO
L'eccezionale tavola d'altare che si conserva nella locale chiesa di S. Pietro è da considerarsi una tra le più preziose opere pittoriche che Somma possiede. Si tratta di polittico di grandi dimensioni(cm 260x330)posto sull'altare della seconda cappella a destra di detta chiesa. Opera di buon livello, molto legata alla cultura tosco-romana tanto da fare supporre che l'artista sia di origine extra napoletana. Magnifica è la tavola sull'altare frontale, datata 1555.Riflettiamo sul tema iconografico dell'opera; si tratta dell'unzione dei piedi di Gesù nel riquadro centrale e della lavanda dei piedi nella tavola della cimasa. Temi assai complessi nel loro significato e che, nell'economia generale del messaggio, risultano fra loro complementari. La committenza di questa " cona grande" viene fatta risalire ad un momento storico assai significativo sul piano politico, non solo per il Viceregno di Napoli ma per tutta l'Europa occidentale. La parte centrale della cona rappresenta l'unzione dei piedi di Gesù, uno dei temi cristiani più noti e ricorrenti nell'iconografia sacra occidentale. Nelle fonti evangeliche lo si trova descritto in tutti i quattro testi. L'impianto iconografico del nostro dipinto esclude a priori il riferimento a Matteo e a Marco, mentre resta da identificarlo o con il testo lucano o con quello giovanneo; quindi alla luce di una più attenta osservazione ci si convince che l'incisività del messaggio in chiave cattolica emerge di più nel brano di Luca. Infatti Gesù, nel dipinto sta indicando al fariseo tutte le opere che la peccatrice gli sta indirizzando e che invece lui avrebbe dovuto fare e non ha fatto. I valori di questo messaggio si rafforzano con il riquadro della cimasa: la lavanda dei piedi che, ribaltando il significato, comunica la grande lezione di umiltà connotata nel gesto di Cristo. Infine ci pare di ravvisare, verosimilmente, un'allusione al "Corpus Domini", da cui la confraternita tra il titolo: infatti se si osserva il brano di natura morta sul tavolo della cena, tra la figura di Cristo e quella del fariseo, non potrà sfuggirci tra stoviglie varie, un pesce: simbolo cristiano tra i più diffusi che rivela una chiara connotazione eucaristica. Inoltre associato a quello del pane spezzato si nota un altro chiaro elemento alludente l'Eucaristia, questo simbolo rimanda al miracolo della "Moltiplicazione dei pani e dei pesci" connotando significativamente la fiducia nella Provvidenza divina tanto auspicata dai confratelli e dai devoti tutti. Così, sempre in chiave simbolica va letta l'immagine del cane posta ai piedi di Simone, che rimanda al destino dell'altra vita e alla caducità di quella terrena.

L'INSIGNE CHIESA COLLEGGIATA
Nel cuore della città murata, circondata da fitte abitazioni, che si accavallano le una sulle altre, ancora presenti ad esprimere la tortuosa e confusa urbanistica medioevale, sorge una delle più importanti chiese di Somma: la "Collegiata". Anche oggi osservando la costruzione si rileva come essa sia stata di una maestosità ben espressa e di una mole abbastanza rilevante rispetto a tutte le altre costruzioni contemporanee dello stesso rione, che era il fulcro e, forse, all'epoca l'unico nucleo del paese. Le origini del monumento, per quanto si sia scavato nelle pagine del passato, non ci sono note ma certamente dovettero essere origini famose o di una certa importanza per i motivi su esposti riguardanti la notevole fabbrica. Un'imponenza simile non si ritrova in altre costruzioni all'interno della cerchia della città murata o borgo medioevale, e certamente dovette costare anni di lavoro e spese non indifferenti, che, in quel periodo non potevano essere alla portata del popolo sommese. Dai primi accenni di notizie riguardanti la Collegiata apprendiamo che all'atto della sua istituzione in Somma non venne edificata una nuova chiesa, come si immaginerebbe, ma se ne adattò una già esistente, che per la sua posizione, per la sua ampiezza e per il suo corredo diede ottime garanzie alla instituenda Collegiata, con il titolo di Insigne, per farla ben comparire e prevalere di fronte alle poche altre della zona. L'appellativo di Collegiata fu assegnato, perciò, ad una chiesa già esistente d'impostazione tipicamente romanica sia nella facciata che nella pianta. Risultano ancora oggi ben chiari quei tipici caratteri stilistici che dichiarano il monumento come appartenente a quel periodo dell'arte italiana definito romanico, e si sviluppò dall'XI al XIII sec. Si notano infatti già dalla conformazione della facciata a salienti, dalla poderosa abside sfinestrata, nonché dai finestroni che, aperti negli spessi muri, illuminano la navata centrale dall'alto e, infine, dalla massiccia capriata in legno sostenente il tetto, mascherata dal decorato soffitto successivo, gli elementi essenziali che caratterizzano ed inquadrano questo periodo storico artistico poco documentato a Napoli. Interessante il grigio portale che riquadra l'accesso principale, in grigio piperno lavorato con motivi barocchi, vivacizzante, armonicamente inserito, con i suoi rilievi e cornici, la piatta facciata con netti chiaroscuri, accentuati dall'alta scala d'accesso dello stesso materiale e dagli altri due portali al lato, che danno rispettivamente accesso alla cripta cimiteriale e all'adiacente congrega del Pio Laical Monte della Morte e Pietà .La finestra in alto, in corrispondenza del portale principale, sostituisce certamente l'ampio rosone tipico dell'architettura romanica. Nella parte interna il vecchio monumento è completamente mutato d'aspetto, mutamento avvenuto in gran parte allorquando, nel 1598, con il conferimento del titolo di Collegiata, s'insediò in esso il capitolo e vi fu un ripristino della fabbrica con le nuove forme architettoniche come si legge nell'istrumento rogato dal notaio Andrea Ienefra. Come moltissime altre chiese locali fu rivestita internamente di stucchi seicenteschi, che ne cambiarono completamente la conformazione e l'aspetto, forse anche per un necessario ampliamento, conferendole il pomposo stile barocco copioso di volute, di finte lesene e di ampi cornicioni. Anche barocca si presenta oggi la ricca soffittatura fatta realizzare da monsignor Tommaso Casillo. Essa è di notevole pregio per le tarsie operate nel legno indorato con puro oro zecchino, rappresentanti spirali di vegetali ed una serie di putti ignudi al lato dei riquadri centrali del cassettonato in cui sono incluse tele, di cui solo la maggiore e centrale rimane, mentre le altre due sono andate perdute per la trascuratezza e l'ignoranza dei governatori del tempio. Fu nello stesso periodo decorata l'ampia e ben progettata sagrestia (attualmente in ristrutturazione),nella quale si osserva, inserita nella parete di fondo, tra i rifiniti armadi lignei settecenteschi, un altare dedicato e S.Maria delle Grazie con una tela di Pacicco De Rosa. Nell'interno della chiesa restano ancora al loro posto, sebbene molto trascurati, il ben modellato ed intarsiato pulpito in legno, il settecentesco organo a canne ed il magnifico coro, pure ligneo. I sedili, forse utilizzati dai PP.Eremitani nelle loro funzioni sacre, sono singolarmente opera d'arte scultorea, avendo l'artigiano artista variamente interpretato le relative decorazioni con notevole pregio scolpendo in diverse posizioni i putti sui delfini, che coronano i molteplici braccioli delle panche sedili. Il coro si svolge sia a destra che a sinistra della zona preabsidale. Alle spalle dell'altare maggiore, posta in alto, si osserva un antichissimo polittico della seconda metà del XV sec, opera indicata da Raffaello Causa come nata dalla bottega di Angiolillo Arcuccio, che sebbene ancora rifletta motivi precedenti tenta proprio in questa opera timidi tentativi di distacco. All'interno delle vari cappelle sono distribuite in abbondanza pitture di alto pregio quasi tutte della scuola napoletana della prima metà del Settecento. Non tutte però sono conservate in buono stato: corrose e spellate, dello strato pittorico, parzialmente staccate dai supporti presentano spesso abbondanti lesioni, tagli e buchi. Anche l'opera dei ladri ha ancora diminuito maggiormente il corredo delle tele con l'asportazione di alcune di esse più pregiate. Tra l'altro non dimentichiamo il notevole numero delle scritture e pergamene che compongono l'archivio storico di questa chiesa, inestimabile raccolta a cui si può in ogni momento ricorrere per ampliare le conoscenze non solo sul monumento stesso e sulla sua attività nei secoli scorsi, ma anche ricavare interessanti notizie sulla storia del paese. Il capitolo collegiale, come si sa, fu abolito con la legge delle soppressioni monasteriali del 1861,ma fu conservata la chiesa, con le prerogative di chiesa madre a cui nel 1951 fu aggiunto il beneficio parrocchiale della chiesa di S.Pietro Da essa partono ancora oggi, come in antico, le principali processioni come quella del patrono di Somma, S.Gennaro, e quella, affollatissima di partecipanti, uomini e donne, del venerdì santo dedicata al Cristo morto impropriamente detta dell'Addolorata. La chiesa Collegiata, inserita all'interno della cerchia muraria Aragonese al centro del borgo medioevale, soffocata dalle molteplici costruzioni così antiche come moderne, importante punto del culto cittadino, ancora racchiude in sé oltre alle moltissime opere d'arte di tipo diverso ma tutte altamente significative e preziose, il simbolo indistinguibile in cui si identifica e se riconosce la religiosità passata e presente del popolo sommese.

RESTAURI: la chiesa fu ampliata già nel 1590,all'atto di essere eretta a Collegiata. Poi seguirono molti altri lavori ,come il rifacimento della zona absidale nel 1785,i riadattamenti e i consolidamenti operati in seguito all'eruzione vesuviana del 1794, e, ancora, lavori di rinforzo e ripristino dopo la chiusura obbligata dal podestà di Somma nel 1930,in seguito a danni da terremoto; non ultima è venuta la sostituzione del vecchio pavimento costituito di mattonelle maiolicate, con tutta probabilità prodotte dalla fabbrica di Capodimonte, con grossolane piastrelle inadatte al tenore del tempio e infine l'inopportuna sopraelevazione, con estranee murature in mattoni pieni a vista, del vecchio campanile seminascosto sul fianco orientale. Non dimentichiamo l'orrido ricoprimento della porta principale della chiesa con lastre laminate in ferro.

IL PALAZZO DELLA STARZA DELLA REGINA
Abbandonato e venduto in molteplici lotti lo storico palazzo nel 1934 aveva avuto persino la dichiarazione di monumento nazionale per incuria e per il logorio si avviò alla fatiscenza in alcune ali mentre in altre, rifatte, ha perduto tutto dell'antica magnificenza. Per quanto riguarda la sua architettura originaria la Starza della Regina -confermata nel suo antico titolo dal soggiorno in essa dalle regine Maria e Giovanna III e IV aragonesi- denunzia chiaramente l'operato di maestranze locali, con limitati interventi di specialisti, in quanto presenta molti particolari costruttivi caratteristici della zona e frequenti anche in altri edifici di minore importanza. Poco comunque rimane di artistico ed architettonicamente pregiato nella costruzione. E' comunque abbastanza difficile individuare lo stile dell'architettura del nucleo originario del palazzo della Starza Regina, in quanto notevoli sono state le modifiche subite dall'edificio. Divenuto proprietà privata nel corso dei secoli, ha subito successivi interventi incontrollati e dannosi, che sono andati dal restauro bonario al completo rifacimento, dall'ampliamento all'adattamento dei locali alle necessità dei vari nuclei familiari contadini che vi hanno abitato e vi abitano, interventi che purtroppo continuano inarrestabili ancora oggi. La facciata del palazzo si presenta all'osservatore dopo l'abolizione dell'antistante giardino ridotto a scarna piazza, piuttosto bassa e troppo sviluppata in senso orizzontale. IL lungo prospetto, di fattura ottocentesca, è caratterizzato da una serie di aperture omogenee che danno su una balconata, recintata da una caratteristica balaustra che si snoda lungo tutto il lato occidentale, al di sopra del portale d'accesso. Quest'ultimo è caratterizzato da in arco ribassato, posto all'altezza del primo piano sagomato con stucchi, ripropone nella forma quello originario tipico del periodo durazzesco-catalano che certamente si trova inglobato, arretrato di qualche metro, come si evince dal diverso tipo di muratura. Pure spostato in avanti, divelto dal portale antico fa bella mostra il bassorilievo di marmo bianco di forma rettangolare che rappresenta due angeli che sorreggono lo stemma aragonese. L'androne d'ingresso immette in un primo vasto cortile, che pur dopo notevolissimi cambiamenti, è senza dubbio l'ambiente della starza in cui più si nota l'influsso aragonese-catalano. Lo scalone d'accesso al piano superiore si compone di un'unica grande rampa con scalini in piperno. E' difeso da un robusto elemento cilindrico in piperno e ripropone motivi costruttivi già altrove riscontrati nell'architettura sommese del quattrocento. Le finestre (tre sono quelle residue in questo primo cortile) sono riccamente contornati con ornie di piperno lavorato alla maniera catalana. Esili colonne sui lati, scolpite con simmetria nel ruvido piperno emergono dalla fascia scura dello stesso materiale denotando una squisita fattura. Le finestre presentano una divisione interna a croce, che è andata perduta in alcune e mutilata in altre. Questa zona del fabbricato, che si svolge intorno al primo cortile, può essere considerata la parte padronale comprendente gli appartamenti regali. Le altre zone del fabbricato sono invece abitate da diverse famiglie. Proprio per questo motivo più grave è il processo di degrado che subisce la struttura a causa di continui riadattamenti per le più diverse esigenze. Accanto al primo grande cortile esiste un cortiletto molto caratteristico e raccolto chiuso in alto da una balaustra traforata. Vi si accede mediante un androne coperto da una volta a sesto ribassato la cui imposta parte direttamente dal piano di calpestio, le murature rivelano chiaramente nei tompagni, mediante una serie di bassi piloni reggenti il piano superiore, diversi ambienti aperti sul cortile al piano terra, che davano una maggiore possibilità di movimento a cavalli e carrozze. Un terzo vastissimo cortile è ubicato nella parte nord orientale dell'edificio. E' chiaramente individuato come zona di lavorazione dei prodotti delle campagne circostanti. Aveva un accesso sul lato settentrionale, un tempo forse chiuso da un alto muro, mentre oggi una serie di abitazioni ne occupa tutto il fronte. Il lato orientale è chiuso dal muro delle cantine che si innalzano fino all'altezza del primo piano, occupando una superficie di quasi un terzo dell'intero edificio e caratterizzando con le loro vaste proporzioni la funzione più importante dopo quella residenziale. Larghe aperture, coronate da poderose ornie di piperno lavorato, consentivano di scaricare direttamente dal cortile il raccolto su un piano rialzato all'interno sostenuto da una serie di voltine addossate al muro perimetrale. Importante era la funzionalità di tutti gli ambienti produttivi e delle vaste zone contadine, coperte da poderose volte a botte qua e là interrotte dalle velette impostate sulle finestre-spiragli, che con sapiente tecnica servivano non solo per l'illuminazione, ma anche per la perfetta ventilazione dei locali adibiti alla conservazione del vino. Terrazzi, stalle e abitazioni di contadini e servi completavano il perimetro della costruzione, attualmente ripiena proprio in queste zone di superfetazioni di ogni genere.

 

BIBLIOGRAFIA
D'AVINO Raffaele e MASULLI Bruno Saluti da Somma Vesuviana
MARIGLIANO 1991

SUMMANA
Studi e ricerche sul patimonio etnico,storico e civile
di Somma Vesuviana
nn. 1-27
Marigliano,Settembre 1984-Aprile 1993.

GRECO Candido,Fasti di Somma,
Napoli 1974.