Il cielo
si stava oscurando rapidamente.
Bagliori di lampi lontani illuminavano il ponte lacerando il cielo, i
tuoni si abbattevano su di noi, e le ordinate flettevano cercando di assorbire
i colpi inferti dalle onde.
Nere nuvole, gonfie di pioggia, stavano già addensandosi sullo
scafo, il vento continuava a rinforzare ed il mare ormai cupo s'ingrossava
sempre più minaccioso in un susseguirsi di creste bianche.
Le onde frangevano sempre più alte, belle nella loro imponenza.
A fatica riuscivo a tenere il lungo timone tra i flutti, e il mio pensiero
per un momento si rivolse alla dea bianca del mare, Leucotea, affinché
mi proteggesse.
Lo scafo si trovava troppo sotto costa, pensai, lì c'erano bassi
fondali e il mare mi spingeva minacciosamente sempre più vicino
al capo.
Poi fu un attimo, un'enorme massa d'acqua si abbatté sul ponte,
lo scafo sbandò sulla dritta, l'albero si schiantò di colpo
travolgendo nella sua caduta tutto quello che incontrava, e tra l'ululare
del vento e lo schiaffeggiare delle onde crestate, rapidamente lo scafo
affondò con tutto il suo prezioso carico.
Porto Pyrgi non era lontano.
La mia casa non era lontana.
Lei non era lontana.
Scivolai. Cercai istintivamente di aggrapparmi a qualcosa di sporgente,
ma la mia mano fallì la presa, finii in acqua tra i flutti, gli
occhi mi bruciavano, non riuscivo più a respirare, cercai di riemergere,
poi qualche cosa mi colpì violentemente alla testa.
Mi svegliai di colpo, con il capo tra le mani.
Scosso.
Negli occhi avevo ancora quelle drammatiche scene e nelle orecchie sentivo
ancora le urla concitate della morte, che si portava via i miei uomini
ad uno ad uno.
Il sogno, ormai ricorrente, mi colpiva sempre con quelle sue sensazioni
così vive e reali, mi asciugai la fronte e tirai un sospiro di
sollievo.
L'incubo era passato. Respirai profondamente più volte.
Accesi la luce.
Mi guardai intorno.
Il mare era sparito.
Quella realtà mi era familiare.
Per quanto lo volessi non riuscii più a riaddormentarmi, avevo
ancora negli occhi quei visi impauriti, quelle grida, quegli scricchiolii
e quel frastuono di natura scatenata.
Gli occhi scuri e profondi di una giovane donna sconosciuta mi tornavano
alla mente.
Chi era?
Non avevo risposte.
Mi alzai e cercai, quel brano che avevo avuto per le mani giorni prima.
Frugai tra le mie carte sparse sulla scrivania e alla fine lo trovai,
lo rilessi :
"Partito
dall'isola di Calipso, Ulisse era ormai in vista dei monti della Scheria
(Corfù), quando Posidone tornando dall'Etiopia, lo scorse e, con
un cenno, sconvolse d'un tratto il mare intorno a lui. Ulisse già
si considerava perduto, quando dai flutti emerse una ninfa marina, Leucotea
( la bianca Ino ), che diede al naufrago un velo, dicendogli di avvolgerlo
intorno ai fianchi, e di nuotare fino a giungere a riva. Una volta giunto
sulla spiaggia, avrebbe dovuto restituirglielo, gettandolo di nuovo in
mare.
Ulisse così fece e, dopo due giorni e due notti, finalmente riuscì
a mettere piede a terra, dove cadde addormentato, riparato su un fogliame
secco sotto un boschetto...."
Questo
brano ricordava tanto il mio sogno, la storia di Ulisse doveva aver suggestionato
il mio subconscio, forse perché anche io come lui mi sentivo uomo
legato al mare e continuamente ne cercavo il conforto e il confronto,
e come Ulisse ero alla ricerca di una realtà lontana.
Il silenzio
pervadeva la stanza, la crepa nel muro, da anni, ormai era lì,
immobile, e per quanto mi potessi sforzare non riuscivo a capire se fu
sogno o realtà ciò che accadde una notte.
Troppo spesso la realtà si confonde con i sogni e i sogni si confondono
con la realtà, al punto tale da non poterli più distinguere
gli uni dall'altra.
Quella crepa nel muro, più volte stuccata, si era sempre riaperta,
e per quanto avessi fatto, nel tempo, era rimasta sempre lì, ormai
semplice crepa nel muro.
Le basse luci della scrivania creavano enormi ombre, ombre cinesi, sulle
pareti della stanza buia, il portacenere, ormai colmo, fumava di vita
propria, un odore di fumo pervadeva l'ambiente e una carta nautica, un
poco invecchiata ed ingiallita dal tempo, era dispiegata da una parte.
Mi alzai.
Mi guardai intorno.
Tutto appariva com'era sempre stato, immutabile. Aprii la finestra.
La notte entrò di colpo, prepotente, con la sua aria fredda e umida,
facendo volare alcuni fogli dalla scrivania, sparpagliandoli in giro.
Un foglio lentamente planò sotto la poltrona.
Guardai fuori dalla finestra e rimasi immobile alcuni istanti.
Il racconto che stavo scrivendo era imperniato su quella fessura che mi
sovrastava dalla parete, avevo deciso di tramandarla ai posteri.
Non era facile trasferire sulla "carta" certe sensazioni vissute,
ma il racconto scorreva.
L'odore del fumo impregnava ancora l'ambiente e le ombre ripresero vita
sui muri.
Quale era la realtà ?
Il sogno appena dimenticato o il sogno che stavo vivendo adesso?
La mente era combattuta tra l'illusione dei sentimenti e la debolezza
della carne, il racconto cercava caparbiamente una sua vita propria.
Quale era il racconto ?
Chi era lo scrittore ?
Essere o non essere ?
Ormai il gioco era cominciato, dovevo avere soltanto la pazienza di attendere
per scoprirlo, ma ancora non potevo sapere dove mi avrebbe portato tutto
questo.
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