Dopo ben 40 anni dal suo primo cortometraggio, Werner Herzog (pseudonimo di Werner Stipetic), nato a Monaco nel 1942,  è ormai considerato uno dei personaggi chiave del cinema d'autore europeo degli anni '60-'70 e, come spesso capita ai "maestri" consacrati, la sua opera è oggi conosciuta più nelle università e nelle scuole di cinema che presso il pubblico più giovane.

Come molti altri protagonisti del c.d. nuovo cinema tedesco, ad eccezione forse di Wenders,  la sua fama presso il pubblico e la critica ha avuto un andamento parabolico: dapprima una serie di film assolutamente originali ne hanno rivelato il talento visionario e ne hanno fatto, per un certo periodo, il capofila dei registi tedeschi della sua generazione. Poi verso la fine degli anni settanta il discreto riscontro al box office di film di un certo impegno produttivo, come Nosferatu e Fitzcarraldo, hanno segnato l'apice della sua fama presso il pubblico. 

Gli ultimi vent'anni, infine,  sono segnati  da un successo decrescente (intendiamoci, non sto dando una valutazione critica) dovuto, a mio giudizio, al suo dedicarsi prevalentemente al documentario (3 film di "finzione" negli ultimi 15 anni) ed alla morte del suo attore-feticcio, Klaus Kinsi nel 1991. In Italia, ormai, di Herzog se ne parla poco e spesso solo in occasione dei suoi allestimenti operistici; il suo ultimo film (Invincible), presentato a Venezia nel 2001, ha avuto, da parte della critica italiana, un'accoglienza piuttosto "tiepida" (per usare un eufemismo).

Negli Stati Uniti, invece, è in atto una vera e propria riscoperta di Herzog alimentata sopratutto dalla meritevole pubblicazione, da parte dell'Anchor Bay Entertrainment, del suo catalogo (Werner Herzog Collection) in VHS  e DVD (questi ultimi, purtroppo regione 1, oltre ad avere una resa fotografia e sonora eccellente hanno anche il commento sonoro del regista!).

Ottobre 2003: la Ripley's Home Video ha inaugurato la pubblicazione in DVD del catalogo (quasi completo) dell'opera di Herzog; i primi titoli sono: L'Enigma di Kaspar Hauser, Nosferatu e Fitzcarraldo. La qualità è ottima: i film hanno tutti il commento sonoro di Herzog (tratti dall'edizione americana) e diversi interessanti extra. Ottimo lavoro!

 


 


1967 - 1973


AVVERTENZA: La filmografia comprende i film che ho visto. Di ogni film ho voluto dare una indicativa valutazione espressa da un certo numero di stelle (da 1 a 5). E' solo un modo di ordinarli in base alle mie preferenze personali, per cui non significa che i film che ne hanno di meno siano insufficienti!

 

1967 - SEGNI DI VITA

1970 - ANCHE I NANI HANNO COMINCIATO DA PICCOLI

1970 - FATA MORGANA

1971 - PAESE DEL SILENZIO E DELL'OSCURITA'

1972 - AGUIRRE, FURORE DI DIO

1973 - LA GRANDE ESTASI DELL'INTAGLIATORE STEINER

brani video

 


 

FILMOGRAFIA 1974 - 1978

FILMOGRAFIA 1982 - 2001

 

 


 

SEGNI DI VITA    £
Lebenszeichen (1967) - 90 min - VHS (RARO VIDEO)

Premi: Orso d'argento per la migliore opera prima al Festival di Berlino 1968

Giudizio:

iii

L'idea nasce dalla lettura di un fatto di cronaca avvenuto durante le guerre napoleoniche, evento che è alla base di un celebre racconto dello scrittore romantico A. von Arnim "Der Tolle Invalide auf dem Fort Ratonneau" (1918) - "L'invalido pazzo del forte di Ratonneau" nel volume "Il manichino tragico", Roma, Editori Riuniti, 1983 - ma sopratutto dai viaggi compiuti da Herzog nelle isole dell'Egeo, dove il nonno archeologo aveva fatto importanti scoperte .

Il contesto viene quindi trasposto nella tranquilla isola di Kos durante la seconda guerra mondiale. Tre soldati della Wermacht vengono ivi trasferiti per un periodo convalescenza e vengono assegnati alla guardia di una antica fortezza veneziana adibita a deposito di munizioni. 

In una situazione di forzata inattività e di totale "demotivazione" i tre cercano di occupare il tempo con dilettevoli passatempi: il grossolano Meinhard ingaggia la sua guerra privata contro gli scarafaggi, il taciturno Becker cerca di decifrare le iscrizioni su antiche vestigia greche mentre Stroszek, il protagonista, occupa il tempo con la sua giovane moglie greca.

È Stroszek che subisce più degli altri l’angoscia della sua vita “sospesa”, al punto da percepire gradualmente nell’ambiente circostante i segni oscuri di un messaggio misterioso a lui destinato. In tutta la prima parte dettagli ed inserti del luogo, ossessivamente replicati, si fanno sempre più coscientemente presagio della catastrofe che colpirà il soldato “ribelle”: oggetti, animali, strade e case, personaggi che appaiono solo un istante (il re zingaro “in cerca del suo popolo” ed il soldato pianista), gli stessi rumori naturali (cicale) ed il suono dolce del “Buzuki”. Questi particolari inseriti in una successione diversa assumono il senso di folgorazioni improvvise che irrompono in uno scenario apparentemente calmo.

La tensione di Stroszek, accumulata interiormente, esplode all’improvviso quando, nel corso di una ispezione sulle colline compiuta con Meinhard, gli si presenta, folgorante, la visione di una valle popolata da migliaia di mulini a vento. Questa panoramica in campo lungo sulla valle dei mulini di Creta, già di per sé sconvolgente nel suo “eccesso figurativo”, è accompagnata da un dolcissimo brano di musica “Buzuki” che poi si dissolve per far posto al rumore amplificato, insostenibile, irreale, del vento che soffia sulle pale (vedi clip).

È la follia che si manifesta come rivolta assoluta contro tutto e tutti. Stroszek si isola nella fortezza, comincia a sparare sulla folla (colpendo solo un somaro), respingendo chiunque tenti di avvicinarlo con la minaccia di far saltare in aria il deposito e da lì intraprendere la sua lotta “per far uscire ciò che è nelle case e sotto le cose”, fino a rivolgere la sua ira contro il corso del sole nell’ansia di “opporre luce alla luce”, facendo esplodere fuochi artificiali che arrivano a bruciare solo una sedia (vedi clip). Questi bagliori sogno gli ultimi “segni di vita” lanciati per manifestare finalmente una solitaria, disperata presenza contro l’”onnipotenza” della natura,

La conclusione della vicenda è fuori campo, affidata al commento off, mentre le immagini di chiusura ci mostrano il paesaggio desolato dell’isola visto da un camion in corsa: “Stroszek fu catturato dai suoi compagni. Fu preso prima di arrivare al deposito. Aveva intrapreso una rivolta titanica contro tutti, contro un nemico incomparabilmente più forte, e aveva fallito miseramente come tutti i suoi simili”.

Pur con tutte le possibili ingenuità di un'opera prima, Segni di vita rivela già il tema dell'insolubile contrasto tra ambiente e azione, il primo avvolto da una tranquilla ed assoluta indifferenza di fronte agli assurdi rituali degli esseri umani. Herzog svilupperà poi questa tematica in molti suoi film ed in particolare, in maniera più incisiva, in Anche i nani hanno cominciato da piccoli (dove il contrasto con l'ambiente "evidentemente" oppressivo dell'istituto genera la gioiosa rivolta dei "degenti") ed in Woyzeck (dove, in effetti, la misera vita nella guarnigione militare è alla radice del delitto del protagonista).

Il film vince l'Orso d'argento a Berlino, rivela alla critica il nome di Herzog e viene anche citato da Lotte Eisner nello "Schermo Demoniaco", insieme a I Turbamenti del giovane Torless (1966) di Schlondorff, come segno del rinnovamento del cinema tedesco negli anni '60.

 

Brano dal film "Segni di vita"

Brano dal film "Segni di vita"

 

 


 

 

 

ANCHE I NANI HANNO COMINCIATO DA PICCOLI    £
Auch Zwerge Haben Kleine Angefangen (1969-70) - 96 min - VHS (VIDEOGRAM - SAN PAOLO - PUNTO VIDEO) - DVD Regione 2 (Ripley's Home Video)

Giudizio:

iiii

Prologo: in una stanza di un commissariato, un nano con una targa in mano viene interrogato da una voce fuori campo sulle violenze commesse durante una rivolta in un non meglio definito istituto (o una colonia penale), in cui gli “internati” (tutti nani), approfittando dell’assenza del direttore, hanno intentato una generale ribellione, assediando un educatore (anch’esso un nano), che si era rinchiuso nell’edificio con un ostaggio.

Viene presentato poi il luogo dell’azione con una panoramica dall’alto: è una edificio isolato in un paesaggio vulcanico, vagamente preistorico, (il set è l’isola di Lanzarote nell’arcipelago delle Canarie – in un primo tempo Herzog aveva pensato al Messico) con un terreno brullo, rocce ed alberi contorti dal vento.

Mentre quindi l’educatore si è barricato dentro una stanza con il suo ostaggio (un nano “gigante” che ride continuamente ed insensatamente),  il resto dei nani si abbandona gioiosamente e malignamente a vandalismi e atti di crudeltà gratuiti contro cose, animali, e perfino i più piccini tra loro.

Il primo obiettivo è abbattere la palma preferita del direttore, poi si uccide la scrofa e si tormentano i porcellini. Poi, in una serie continua di scherzi feroci, due dei nani più piccoli sono costretti a “sposarsi” (ma lui non riesce a salire la sponda del letto) e due fratelli ciechi sono molestati sinchè non finiscono per bastonarsi tra loro.

Infine, in un crescendo sempre più frenetico, accanto ad un camioncino senza guida che gira su se stesso (un immagine ricorrente in Herzog), si bruciano altri “arnesi del potere” (vasi da fiori, macchine da scrivere) e si dà vita a una “blasfema” processione con una scimmia crocefissa.

L’educatore, che è riuscito ad evadere, del tutto fuori di sè, finisce per farneticare i suoi ordini dinanzi ad un albero rinsecchito (vedi clip).

La sequenza finale, nel culmine della follia, vede “il nano dei nani”, Hombre, in preda ad un riso convulso, agghiacciante, senza fine, mentre nei pressi un dromedario inginocchiato sulle zampe non sembra potersi rialzare da quella posizione assurda e penosa.

Il secondo lungometraggio di Herzog, è già un opera matura, compiuta (“il migliore, o il più intenso, quello in cui risiede maggiore forza” secondo l’autore), in cui raffiora anche la profonda influenza bunueliana sul suo cinema, evidente anche dalla scelta di presentare come malvagio un diverso (il nano)  che dovrebbe invece essere destinato, secondo le regole del buon gusto, a suscitare pietà.

Presentato nel 1970 al Festival di Cannes, che ancora risentiva del clima sessantottino, il film ha suscitato un grande clamore, ma è stato anche violentemente criticato dalla sinistra tedesca come un apologo reazionario, simile a “La fattoria degli animali”,  sul fallimento di ogni rivoluzione spontanea (con ovvi riferimenti politici...).

Al di là di ciò che si possa pensare sugli obiettivi politico-ideologici del film, la prima cosa che risalta, fin dalle prime inquadrature, è il senso di assoluta necessità di questa rivolta, che pure contiene in sè, immediatamente, i germi dell’impotenza. Non sono i nani ad essere dei mostri, ma è l’ambiente (la natura arida ed ostile - l’immagine inquietante dei polli che beccano se stessi - , l’isolamento della “casa di correzione”, la sproporzione tra gli ambienti, gli oggetti ed i nani) che risulta palesemente mostruoso, soverchiante nei loro confronti. Piuttosto che contrapporre il mondo dei nani e dei deformi ai presunti “normali”, tutti insieme nell’ambiente concentrazionario del circo, come ha fatto Browning in Freaks (1932), ad Herzog è bastato mostrare la potenziale violenza di cose, oggetti, feticci da noi già accettati e funzionalizzati.

Sebbene poi la rivolta scandalosamente “surrealista” dei nani si propaghi in un crescendo di trovate, non c’è in effetti una progressione, uno sbocco, un progetto sotteso. Nonostante i loro proponimenti, in nani non riescono nemmeno ad oltrepassare i rigidi confini loro assegnati, finendo per parodiare il potere contro cui era diretta la ribellione.

Tutti i gesti “decisivi”, che farebbero progredire il racconto (la fuga in città), rimangono inattuati. Si ripetono invece la replica irriverente delle regole borghesi, del soddisfacimento delle pulsioni consumistiche e libidinose (la moto, le foto erotiche, la “parodia” del matrimonio).

 

Brano dal film "Anche i nani hanno cominciato da piccoli"


 

 

FATA MORGANA    £
Fata Morgana (1968-70) - 79 min - VHS (VIDEOGRAM - SAN PAOLO - NUMBER ONE VIDEO)

Giudizio:

iiiii

Il film raccoglie riprese dal viaggio di Herzog e del suo operatore Reitwein in Africa: novembre 1968 in Kenia ed in Tanzania; maggio-settembre 1969 nel Sahara algerino, Nigeria, Alto Volta, Mali e Costa d'avorio; dicembre 1969 a Lanzarote (Isole Canarie). 

Concepito come un film di fantascienza su un pianeta alieno, la Terra, vista nella sua inevitabile decadenza da un epoca in cui umanità e natura erano in armonia. 

Nella prima parte "LA CREAZIONE", udiamo, sopra le musiche solenni di Handel e Mozart ed un brano "etnico" dei Blind Faith ("Sea of Joy"), una voce off (nell'edizione originale è quella di Lotte Eisner) che legge brani dal Popol Vuh, libro sacro degli indios Guatemaltechi, scritto nel XVI secolo (ed. it. Einaudi, 1960), nel quale si racconta il mito della creazione come fallimento divino. 

All'inizio l'universo naviga in una calma perfetta, solo il cielo ed il mare esistono:

"Quì si narra come un tempo il mondo era immerso nel silenzio, sospeso nell'infinito e vagabondava negli spazi siderali solitario e deserto. [...] C'era soltanto il cielo, la faccia della terra era invisibile. E sotto l'arco del firmamento di stendeva immobile il mare. Non esisteva nulla che assumesse forma, o che si manifestasse con un suono, nulla che si muovesse [..] c'erano soltanto quiete e silenzio oscurità e notte ". 

Negli abissi insondabili delle acque dimoravano la creatrice ed il creatore. nei loro piani presero forma l'idea della luce e quella dell'uomo. [...] Essi meditarono di far crescere prima i germogli, gli alberi ed i rampicanti e poi affidare al Dio "Cuore del cielo" la nascita della vita e la creazione dell'umanità. 

Che l'acqua si ritiri ad abbia origine la terra; che sia seminata la vita; che sia fatta la luce in cielo ed in terra. Ma non vi saranno splendore e gloria per questa fatica finche non sarà stato modellato l'uomo. e subito per opera delle tre saette si formò la terra. Da prima come una nuvola vaga ma presto si videro sorgere le montagne dalle acque in tutta la loro immensità. Si formarono quindi anche le pianure e le vie dell'acqua furono tracciate con ordine, ai piedi delle montagne ed in mezzo ad esse".

Compare poi la terra: inquadrature aeree o panoramiche su dune, alture, montagne, coste; immagini di miraggi in lontananza. Poi gli dei si riuniscono e decidono di creare la vita: prima la vegetazione e gli animali, ma questi non sanno comunicare, pronunciare il nome dei loro creatori. 

"Poi si dovette pensare agli animali delle montagne, custodi delle foreste: il cervo i volatili, il puma, il giaguaro, il serpente, il serpente a sonagli e la vipera.

Perchè deve esserci soltanto deserto, soltanto silenzio sotto gli alberi e le piante rampicanti? Sarebbe più saggio che qualcuno se ne prendesse cura. Tu cervo dormirai lungo i corsi d'acqua nelle gole delle montagne tra l'erba e i cespugli e ti moltiplicherai nelle foreste. Voi uccelli vivrete e nidificherete sulle cime degli alberi e sulle piante rampicanti; quì procreerete e vi moltiplicherete.

Ordinarono al cervo ed agli uccelli: parlate normalmente, impostate bene le vostre voci, non schiamazzate e non urlate senza senso, esprimetevi ordinatamente, ciascuno secondo le caratteristiche della sua specie.

Gli animali però non riuscirono mai a parlare come essere umani. l'onnipotente e Cucumaz dovettero riconoscere che la loro opera era incompleta. " non sanno neanche pronunciare il nome dei loro creatori. ciò non rientra nell'ordine naturale delle cose". 

Questa volta sono lunghi carrelli in camera-car, sempre laterali, su villaggi di paglia e fango, su carcasse rinsecchite di animali e su tracce desolanti del lavoro umano (un carretto in mezzo al deserto, la carcassa di un aereo, lo scheletro di una macchina capovolta, visioni in lontananza di ciminiere e pozzi di petrolio) - vedi clip.

Infine vengono modellati l'uomo e la donna. Ma sono fantocci senza ragione ed anch'essi restano muti di fronte ai loro creatori. Allora il diluvio li stermina, gli stessi oggetti si ribellano ai loro effimeri padroni

"la creatrice ed il creatore cercarono allora di costruire nuovi esseri viventi".

"Occorre riprovare. E' giunto il tempo per la semina dell'uomo. Diamo vita ad un essere responsabile, custode della creazione".

"Le carni dell'uomo furono scolpite nel legno di zite . per le carni della donna la creatrice ed il creatore usarono il midollo delle canne palustri". 

Compaiono i primi esseri umani: sopratutto immagini di bambini, uno tiene stretta in mano una volpe albina. Un carretto trainato da un cavallo.  Una meravigliosa cascata. Grotte abitate:

"Ma anche i nuovi esseri nacquero privi dell'intelletto e della parola e cosi furono distrutti, annegati.

Per causa loro la faccia della terra si oscurò,  scesero le tenebre e cadde la pioggia. [...] Gli animali ,piccoli e grandi, si raccolsero in gruppo ma furono respinti dagli alberi e dalle rocce.  Tentarono di raggiungere i rifugi tra le montagne ma precipitarono. Tentarono di salire sugli alberi ma gli alberi se li scrollarono di dosso. Tentarono di introdursi nelle caverne ma queste si chiusero davanti a loro. 

In tal modo avvenne al seconda distruzione degli esseri creati a sembianza dell'uomo. Questi esseri destinati alla rovina furono cancellati dalla faccia della terra"

Nella seconda parte, "IL PARADISO", rimangono queste tracce di umanità grottesca, più fantastica delle stesse conformazioni del paesaggio, che in qualche modo si esibisce davanti alla macchina da presa.  Tra questi un improbabile scienziato ripreso in piani ravvicinati da un obiettivo deformante mentre tiene in braccio l'oggetto delle sue ricerche (un varano) che vive nel deserto e ne racconta le abitudini; un uomo che legge una banale lettera dei genitori; un tizio con occhiali neri tiene una pallina in equilibrio sulla bocca; una giovane insegnante tedesca fa ripetere di continuo ad alcuni bambini neri la frase "la guerra lampo è una follia"; quattro turisti che sbucano da una cavità vulcanica; un uomo con muta, pinne e maschera si immerge in mare con una tartaruga...

Sono tutti personaggi incontrati "per caso" da Herzog nel suo cammino, ma qui in particolare diventano gli ideali sopravvissuti della catastrofe, gli esponenti tragici e grotteschi di un mondo in cui affiora la consapevolezza della perdita originaria dell'armonia e dove si vive ormai in un totale individualismo sena più nemmeno porsi il problema della comunicazione.

Nel terzo "movimento", "L'ETA' DELL'ORO" ogni residua istanza narrativa sembra dissolversi in un caos profondo, segno della completa degradazione finale. La natura è diventata solo un concetto di cui si è perduto il senso. Il leitmotiv è quì l'inquadratura fissa di un infimo complessino formato da un catatonico cantante-batterista in occhiali neri e da una sfatta matrona al pianoforte che eseguono con monotonia una canzone popolare spagnola.

Tematicamente, Fata Morgana è un'elegia malinconica sulla reale presenza dell'uomo nell'esistenza, sul progresso e sulla stupidità umana.

Stilisticamente, questo film è una vera miniera d'oro di idee e tecniche (panoramiche, riprese orizzontali da un auto, riprese aeree radenti su deserti, montagne, terreni vulcanici ecc, l'importanza del commento musicale extra diegetico, il montaggio) che Herzog costantemente riprenderà nei suoi film successivi. Fata Morgana è unanimemente considerato un momento cruciale del cinema di Herzog, oltre ad essere un raro esempio di documentario "metafisico".

 

Brano dal film "Fata Morgana"


 

 

PAESE DEL SILENZIO E DELL'OSCURITA'    £
Land des Schweigens und der Dunkelheit (1970-71) - 85 min

Giudizio:

iii

Il paese del silenzio e dell’oscurità del titolo è il mondo dei sordo-ciechi, una dimensione situata ad una distanza abissale da noi e inimmaginabile nelle sue reali condizioni.

La protagonista del film è la cinquantaseienne Fini Straubinger, una donna cieca e sorda sin dall’adolescenza, che ha combattuto la propria sofferenza con l’alleviare la solitudine incommensurabile dei suoi  “compagni di sventura”  bavaresi .

Il film segue i percorsi di questa ammirevole donna in una serie di visite a persone o a istituzioni dove riesce sempre a trasmettere il suo calore, la sua serena energia interiore, comunicando attraverso una sorta di alfabeto tattile (“un’arcana monografia sulle mani di una sordo-cieca”).

Fini mostra come sia possibile stabilire un contatto anche in casi apparentemente senza speranza. “La solitudine è la peggior cosa che può capitare a chi è sordo-cieco”.

Questo "film sulla terribile difficoltà che si ha nel farsi capire dagli altri” (Herzog) mostra come impervia può essere la strada verso la comunicazione e quanto amore e caparbietà sono necessari per raggiungerla. Ciò si vede, ad esempio, nella scena del trattamento del giovane Harald in una speciale clinica di Hannover, dove si effettuano esercizi fonici o esperimenti con vibrazioni sonore per i bambini nati privi di udito e vista.

Ma l’incontro più sconvolgente è quello con Wladimir, un giovane sordo-cieco dalla nascita ma anche handicappato psichico e quindi vicino ad uno stato di “animalità” assoluta, in cui vediamo svolgersi in primo piano un’emozionante preso di contatto tra le mani della donna e il corpo scomposto del ragazzo. Gesti che avvertiamo subito nella loro intensità fisicità ed al tempo stesso nel loro travalicare ogni esperienza superficiale, epidermica, legata comunemente ad essi.

“Voglio solo mostrare che c’è qualcuno qui!” dice Fini  ed in un altro momento: “Se lasci la mia mano adesso, sarebbe come se ci trovassimo a mille chilometri di distanza”.

I vari episodi individuali sono separati dalla lettura di alcuni testi poetici, alcuni scritti dalla stessa Straubinger altri da Herzog, come la  memoria iniziale:

“Da bambina, quando potevo ancora sentire e vedere, avevo assistito ad una gara di salto con gli sci; e quest’immagine ritorna sempre nella mia testa, come questi uomini volavano nel cielo. Vidi i loro volti molti da vicino… Mi piacerebbe che anche voi poteste vederli un giorno”.

La voce di Fini emerge dal nero “primordiale” che occupa lo schermo raccontando di un paesaggio che sta “vedendo”. Subito appaiono in una dominante azzurra molto accentuata, nubi che corrono veloci nel cielo e inizia, sui titoli di testa, una musica serena (Vivaldi).

Poi l’immagine evocata da Fini si “materializza”, pur restando totalmente onirica, irreale: un saltatore, in piano ravvicinato, ripete più volte il suo volo nell’aria, sospeso nel ralenti, immerso nel verde e nell’azzurro; poi una scritta: “Ho un tale terrore quando mi tocca qualcuno. Nell’attesa passano gli anni”.

In realtà  è un esperienza che Fini non ha mai vissuto, essendo piuttosto un ricordo del regista, ma in questo modo, secondo Herzog, "apprendiamo qualcosa su di lei che altrimenti non si sarebbe mai rivelata come verità".

In un'altra scena su un treno Fini descrive la sua condizione:

“Se il signore mi avesse dato il dono della pittura, dipingerei lo stato di chi è sordo-cieco nel modo seguente: un oscuro fiume che scorre, lentamente, ma anche inesorabilmente verso un pendio sempre più accentuato. gli argini sono coperti da bellissimi alberi e fiori, con gli uccelli che cantano melodiosamente.

Un altro fiume che scorre dal lato opposto limpido e trasparente. Anche lui scorre verso il pendio. In fondo un lago scuro e profondo. Alla confluenza dei due fiumi, quello scuro e quello chiaro, grosse rocce dove l’acqua sbattendo dolorosamente formerebbe schiume e vortici poi lentamente, molto lentamente l’acqua si mescolerebbe nel bacino scuro. Qui tutto sarebbe calmo tranne alcuni spruzzi e getti. Questo rappresenta il dolore psichico dei sordo-ciechi. Non so se lei capisce questa immagine ... non so rappresentarlo diversamente... è un immagine che ho dentro ma è molto difficile da descrivere".

La sequenza finale mostra un uomo che ha vissuto per cinque anni in una stalla insieme al bestiame, rifiutato dalla società perchè sordo-cieco  e che ha perso anche l'uso della lingua e ogni possibilità di comunicazione e a cui non resta altro che vegetare come una pianta con cui ogni contatto umano è impossibile.

Massimo documentario “umanistico” di Herzog, Paese del silenzio... rivela anche la forte ambizione del cineasta bavarese di entrare in sintonia attraverso il mezzo filmico con un mondo che non ha alcun riferimento con la nostra realtà percettiva.

 


 

AGUIRRE, FURORE DI DIO    £
Aguirre, der Zorn Gottes (1972) - 93 min. VHS (VIDEOGRAM - NUMBER ONE VIDEO - SAN PAOLO) - DVD Regione 2 ("Aguirre, furore di Dio" - Ripley's Home Video - edizione italiana - "Aguirre, la colera de Dios" - Manga Films - edizione spagnola - "Aguirre, the wrath of God" - Stonevision - edizione inglese)  .

Giudizio:

iiiii

Fingendo di ispirarsi  ad un diario dell'epoca (il resoconto del frate domenicano Gaspar de Carvajal, che però non seguì la spedizione di Aguirre del 1560 ma quelle di Pizzarro ed Orellana del 1541-42), il film immagina che un gruppo di soldati, staccatisi dalla spedizione di Gonzalo Pizzarro (vedi clip), discendano le Ande con la speranza di scoprire il mitico Eldorado, guidati da Aguirre (Klaus Kinski), simbolo feroce del ribelle spinto non da intenti "colonialistici" ma da un assoluta sete di potere. 

Costruito un paio di zattere, quel pugno di uomini (cui si aggiungono due giovani donne) scende un fiume solenne e misterioso, e il viaggio nell'ignoto si popola  oltre che di inquietanti minacce e di episodi crudeli anche di fame, privazioni e frecce avvelenate che sbucano non si sa da dove (vedi clip; vedi clip; vedi clip).

Ridotto all'impotenza il legittimo comandante Pedro de Ursua (il cineasta Mozambichiano Ruy Guerra) (vedi clip) e nominato sarcasticamente imperatore un suo soldato (Peter Berling), con consenso tacito di un frate (Del Negro) rappresentante il potere secolare che "è sempre dalla parte del più forte", Aguirre si dichiara padrone di quei luoghi, "supremo traditore" della corona di Spagna, promettendo onori e ricchezze ai suo uomini.

Ma il suo è ormai il delirio di un pazzo. Quando tutti saranno morti, vinti dall'ostitilità della natura e da nemici invisibili, Aguirre rimarrà solo su una zattera  alla deriva, circondato da un orda di scimmie, vaneggiando di sposare sua figlia (ormai morta anch'essa) e di fondare una dinastia che conquisti col tradimento tutta la Spagna.

Ricerca del Santo Graal? Ritorno al mito di Anteo? Variazione sul tema nicciano della volontà di potenza? Allegoria del III° Reich, visto che il "Dio è con me" di Aguirre riecheggia il "Gott mit Uns" dei nazisti? Allegoria dell'esperienza americana in Vietnam?

Aguirre si presta a inoltre a molte interpretazioni, nessuna delle quali davvero soddisfacente. Sebbene basato su una vicenda, quale l'esemplare presa del potere di Aguirre, che ben si presterebbe ad una drammatizzazione da film d'avventura tradizionale, Herzog, rifiutando il melodramma, sceglie un recitazione quasi estraniata alla Bresson ed un ritmo lento e uniforme (al quale la musica dei Popol Vuh aggiunge un carattere quasi ipnotico). 

Certo Herzog non rinuncia a porre il problema della presa del potere in politica e dei suoi abusi mostrando anche quel che c'è di malsano dietro la fascinazione/repulsione  esercitata da Aguirre sulle sue truppe (e il riferimento non può essere allora che il Kurtz di Cuore di Tenebra). Aiutato anche dalla prova superba di Klaus Kinski, che riscattato da una mediocre milizia nel cinema dell'orrore e nel western-spaghetti, da quì ad Aguirre, genio del male, il risalto di certi personaggi shakespeariani, apportando anche il suo personale quoziente di perversione.

Si noti, ad esempio, il suo incedere claudicante ed insinuante, i suoi scatti animaleschi ed il suo modo "avvolgente" di entrare nell'inquadratura, evidenziato da Herzog nel documentario Il mio nemico più caro.

Kinski interpreta Aguirre con pochi gesti essenziali e lunghi, brucianti sguardi, rivelando anche, sotto la scorza di feroce conquistatore, una morbosa tenerezza verso la sua giovane figlia.

Dall'altro lato c'è il contraltare trionfante della natura. Una natura lussureggiante e allucinante: fiume, foreste, animali (bizzarri ma non "pittoreschi") e, certo, gli stessi indigeni, sia gli invisibili portatori di morte che i prigionieri fieri e silenziosi (vedi clip). Natura come paesaggio "altro", giustiziere quasi indifferente di chi infrange il suo ordine con la violenza; natura che dovrebbe essere addomesticata e coltivata, ma che ingoia coloro che su questa via rischiano la propria distruzione, che col minimo danno respinge l'attacco del ribelle Aguirre.

Le sequenze memorabili sono molte, in particolare quella di apertura e quella di chiusura. Nella sequenza iniziale, sulla musica sospesa e sognante dei Popol Vuh, vediamo immagini in capi totali di immense, favolose montagne. Gradualmente lo zooom in avanti e n parallelo movimento discendente avvicinano la spedizione di Pizzarro che si intravede sullo sfondo. Mentre il paesaggio si fa ancora più sfumato, con le nubi che invadono i monti, arriva la voce fuori campo di Carvajal ("Cominciamo a scendere attraverso le nuvole"). Poi la camera conclude  il suo percorso verso il basso e finisce per inquadrare in piani ravvicinati gli uomini che avanzano su uno stretto sentiero costeggiante un abisso. Gli indios sono in catene, qualche oggetto precipita. Infine un'esplosione dalla foresta vicino al fiume si dissolve lentamente sul rombo della correte, mentre anche la musica sfuma. Il successivo movimento di avvicinamento della colonna che dai monti discende verso la foresta , con i soldati spagnoli con le loro pesanti armature che si muovono  a fatica in quegli spazi disagiati, mostra l'inadeguatezza anche fisica dei soldati ad occupare l'ambiente che stanno violando (vedi clip; vedi clip).

Analogamente esemplare è la scena finale in cui Aguirre, solo sulla zattera alla deriva, circondato da un orda di scimmie apparse dal nulla, grida al cielo i suoi sogni di eternità. Da una lontananza quasi divina (come nella prima sequenza) la camera traccia velocemente dall'esterno due cerchi intorno all'imbarcazione carica di corpi senza vita. Per inciso quest'indimenticabile sequenza (che ha un particolare risalto anche perchè il film è quasi interamente girato con la camera a mano) è un chiaro omaggio al leggendario carrello circolare di Os Cafajestes, opera prima del regista Ruy Guerra, coprotagonista del film (vedi clip).

 

Brani dal film "Aguirre, furore di Dio"

 


 

LA GRANDE ESTASI DELL'INTAGLIATORE STEINER    £
Die grosse Ekstase des Bildschnitzers Steiner (1973/74) - 45 min.

Premi: Gran Premio al Festival del film sportivo di Oberhausen (1975)

Giudizio:

ii

La grande estasi... nasce contributo ad una serie televisiva della Suddeutscher Rundfunk dal titolo (e dall'impostazione) perfettamente Herzoghiano di "Stazioni di frontiera", basata appunto sulla cronaca di situazioni estreme.

Il protagonista è un personaggio sportivo molto ammirato da Herzog, Walter Steiner, "il più grande saltatore con gli sci che sia mai esistito", vincitore di due Olimpiadi invernali nel '74 e nel '77. La scelta di questo soggetto non deve sorprenderci, il salto con gli sci è, a differenza che da noi, molto popolare in Germania ed Herzog lo aveva praticato seriamente in gioventù (si ricordi poi l'inizio "apocrifo" di Paese del Silenzio e dell'Oscurità).

L'approccio è quello del documentario sportivo, che vede Herzog stesso - che indossa un singolare maglione nero con la stella di David al petto (?) - in veste di reporter seguire per un'intera stagione (dagli allenamenti in Svizzera nell'autunno del '73 alla gara di Planica, in Jugoslavia, nel marzo '74) lo sciatore svizzero.

Steiner è ripreso nei momenti di riposo mentre è intento al suo lavoro di intagliatore (e molto bella è la scena in cui descrive la conformazione "esplosiva" di un blocco di legno); durante gli allenamenti, dove parla della pericolosità raggiunta dal suo sport ad alti livelli; e durante le gare, nei momenti in cui realizza le sue imprese straordinarie.

A Oberstdorf salta 179 metri, un record assoluto, che lo porta sulla soglia dello choc irreparabile ("10 metri più in là sarebbe caduto sul terreno pianeggiante e sarebbe certamente morto"). A Planica batte nuovamente il record dal trampolino durante le prove di allenamento, ma rimane leggermente ferito perdendo la conoscenza per alcuni minuti. E' il momento della crisi interiore, superata dopo una pausa di riflessione camminando in solitudine nel bosco. Il giorno della gara Steiner salta di nuovo al limite della zona di rischio e vince. 

Nelle gare si avverte il gusto per la ripetizione delle riprese in ralenti (e con un potente teleobiettivo) del volo con gli sci. L'immagine sospesa dello sciatore in uno spazio aereo colta nell'attimo di massima concentrazione dell'atleta quando sembra non esistere più alcun contatto con il mondo circostante (vedi clip).

Così questo leit motiv viene proposto già in apertura con una serie (in slow motion) di salti falliti dove, uno per uno, i saltatori crollano sul manto nevoso, davanti ad una folla di spettatori, accorsi, come pellegrini a qualche cerimonia religiosa, dove tutti bramano di godere sadicamente di uno spettacolo giocato anche sul rischio fisico, mortale.

Herzog  non manca di sottolineare come lo stesso mezzo televisivo sia parte, ed anzi espressione massima, di questo processo di consumazione del campione, oggetto della pulsione perversa. Ci sono notazioni, anche solo visive, sull'aggressività delle troupes televisive (tra cui si muove - con l'ambiguità caratteristica di Herzog - la stessa troupe del regista) alla ricerca di "sensazioni" dell'uomo ferito che ha sfidato la morte.

Anche la stessa riproposta di registrazioni di repertorio delle cadute impressionanti e "spettacolari" sembrano svelare l'oscenità di un mezzo in grado di riprodurre a ciclo continuo il pericolo, la violenza, la morte.

Alla fine, solo davanti alla macchina da presa, Steiner racconta la storia emblematica di un corvo da lui curato, ma torturato dai suoi simili perchè non riusciva più a volare. Una scritta prima dei titoli di coda (ripresa da Robert Walser), suona come una dichiarazione liberatoria:

"Io vorrei essere solo al mondo, 

Io Steiner e nessun'altra forma di vita.

Niente sole, niente cultura, 

Io solo sopra un'alta roccia, 

senza tempeste, senza neve, 

senza banche, senza soldi

senza tempo e senza respiro.

Allora di sicuro non avrei più paura".

La solitudine estatica di Steiner come sogno di esperienze "non divorate" e replicate all'infinito da una cultura che ha sempre bisogno di suono ed immagini "forti" per poi subito appiattirle e omogeneizzarle nello stesso grado di "spettacolarità"?

 

Brano dal film "La grande estasi dell'intagliatore Steiner"


 



Bibliografia    £



FILMOGRAFIA 1974 - 1978

FILMOGRAFIA 1982 - 2001

 


 

 

 


© 2002, Marco Salzano.

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Rivisto Luglio 2002. Aggiunte, correzioni e commenti possono essere inviati a:  mrsalzano@astalalista.zzn.com

 

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