CAPITOLO XXXII
Le autorità politiche si svegliano e chiedono l'intervento del governatore: almeno le spese per i provvedimenti sanitari le sostenga lo Stato spagnolo. Il governatore risponde che non ci può fare nulla: lui è impegnato nella guerra in modi esclusivi. Ci pensi il vice governatore Ferrer. E questi con tutte le altre autorità non sa altro proporre che il ricorso al soprannaturale: si aspetta il miracolo. E perciò si fanno pressioni sul cardinale perché autorizzi e guidi una solenne processione. Il cardinale non vorrebbe, ma poi cede. La processione si svolge ampia e solenne per le strade principali della città: vi partecipano tutti i cittadini che ancora si reggono in piedi: i malati si attendono soluzione improvvisa e positiva del morbo. Ma il contagio favorito dall'ammassamento scatena in forme ancora più drammatiche la forza della peste: i malati aumentano in modo impressionante. Alla fine, di peste morranno i due terzi della popolazione. Più esposti alla morte furono i bambini, i vecchi, le donne. Nel lazzaretto è un via vai di malati che vi sono fatti affluire e di morti che vengono avviati alle fosse comuni. La città è attraversata da carri guidati dai monatti, incaricati della raccolta dei malati: si tratta di gente che ha avuto la peste e ne è immunizzata. Si abbandonano a ruberie, a violenze, a scene orgiastiche. La popolazione superstite vive nello stato d'animo di chi si vede costantemente e misteriosamente minacciato da un nemico subdolo e potentissimo. Tutti vivono nella paura: dappertutto si crede di vedere degli untori. E il livello intellettuale si abbassa a tal punto che perfino persone di alto sentire come il cardinale o il Tadino vi credono.