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IL
WWF IN AZIONE
GIÙ
LE MANI DALL’ACQUA DEL GRAN SASSO!
Le
notizie che sono alla base della battaglia contro l’ampliamento
dei laboratori del Gran Sasso e la realizzazione del terzo
traforo
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LE GALLERIE AUTOSTRADALI
ED IL LABORATORIO DI FISICA NUCLEARE
Attualmente, nelle viscere del Gran Sasso si trovano due tunnel
paralleli, entrambi a doppia corsia (normale e di sorpasso),
lunghi circa 10 Km per il passaggio dell’autostrada A24 Roma-L’Aquila-Teramo.
Al fianco della galleria in direzione Teramo-L’Aquila, a circa
metà percorso, sotto la copertura massima di roccia del traforo
(1400 m), si trovano tre enormi sale (20 metri di larghezza,
20 metri di altezza e 120 metri di lunghezza ciascuna), collegate
da varie gallerie, che ospitano i Laboratori sotterranei dell’INFN
(Istituto Nazionale di Fisica Nucleare). All’interno dei Laboratori
sono montati macchinari per le rilevazioni sulle particelle
che riescono ad attraversare la massa di roccia della montagna.
A queste apparecchiature lavorano stabilmente pochi operatori
in quanto la maggior parte dei ricercatori svolge la propria
attività, attraverso collegamenti telematici, nel Centro di
Ricerca vero e proprio, situato negli edifici esterni nei
pressi del casello autostradale di Assergi (AQ). I lavori
per realizzare le gallerie ed i Laboratori, iniziati nel 1968
e protrattisi fino al 1987, sono costati la vita a dieci operai.
Il volume di roccia asportata per gli scavi ammonta complessivamente
a circa 2.120.000 mc (1.930.000 mc per il traforo e 190.000
mc per i Laboratori). La realizzazione di queste opere ha
provocato notevoli danni all’ambiente ed in particolare all’equilibrio
idrogeologico del massiccio del Gran Sasso che ha nelle sue
viscere il più grande serbatoio d’acqua d’Abruzzo. Gli scavi
effettuati hanno determinato la perdita di enormi quantità
di acqua: nella fase di cantiere si arrivò a perdite di 2.150
litri/secondo sul versante teramano e 750 litri/secondo su
quello aquilano, con conseguente allagamento delle gallerie
e sospensione dei lavori. Secondo uno studio eseguito nel
1983 dalla Compagnia Mediterranea Prospezioni per conto della
Cassa per il Mezzogiorno, la realizzazione dei due trafori
e del Laboratorio ha causato l’abbassamento della falda acquifera
di circa 600 metri (dagli originari circa 1600 m agli attuali
1060 m), con conseguente flessione delle sorgenti: Ruzzo e
Casale San Nicola diminuzione del 60% della portata; Mortaio
d’Angri e Vitella d’Oro diminuzione del 50%; Tempera e Capo
Vera diminuzione del 50%; Tirino diminuzione del 50%; Pescara
diminuzione del 25%. Questi dati sono stati confermati da
un recente monitoraggio delle sorgenti di Tempera e Capo Vera
condotto dal Dipartimento di Scienze ambientali dell’Università
de L’Aquila che ha accertato come le sorgenti, nel periodo
1994/97, abbiano raggiunto il minimo storico di portata (complessivamente
950 litri/secondo contro i 1870 litri/secondo del periodo
pretraforo). Le prime due gallerie autostradali hanno quindi
inferto un durissimo colpo all’ambiente del Gran Sasso. Le
conseguenze per l’ecosistema sono già avvertibili oggi, ma
solo nel lungo periodo sarà possibile quantificarle completamente.
IL TERZO TRAFORO E L’AMPLIAMENTO DEI LABORATORI
Con il nome generico di “terzo traforo” si intende in realtà
il progetto di potenziamento degli attuali Laboratori del
Gran Sasso con la realizzazione di un cunicolo di servizio
e di collegamento (circa 6 Km di lunghezza e diametro di scavo
di 6,5 m) tra le sale sotterranee e l’esterno, e due nuove
grandi sale Laboratorio da affiancare alle tre già
esistenti.
Il nuovo cunicolo, utile per far transitare pulmini per il
trasporto del personale, nonché necessario per alloggiare
i canali di servizio e di ventilazione dei Laboratori, dovrebbe
essere scavato al di sopra delle due gallerie autostradali
esistenti.
Per queste nuove opere dovrebbero essere asportati altri 4/500.000
mc. di roccia.
L’intervento di ampliamento dei Laboratori e la realizzazione
del terzo cunicolo sono previsti dalla legge n. 366 del 1990,
che ha stanziato 110 miliardi di lire per realizzare l’intervento,
per recuperare i danni ambientali causati dalla realizzazione
delle gallerie autostradali, per attuare un monitoraggio del
sistema di circolazione delle acque all’interno del Gran Sasso
e per costruire un Museo di astrofisica.
In realtà, oggi, la somma stanziata è appena
sufficiente a realizzare lo scavo del cunicolo del terzo traforo;
per tutte le altre opere sarebbe necessario un nuovo finanziamento
(così fu dichiarato dall’ANAS nel corso di un’audizione
davanti alla Commissione Ambiente della Camera).
Grande “sponsor” dell’opera è il Ministro delle Infrastrutture
e dei Trasporti, Pietro Lunardi, che è stato tra i
progettisti dei precedenti trafori del Gran Sasso, nonché
consulente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
LE MOTIVAZIONI ALLA BASE DEL TERZO TRAFORO E DELL’AMPLIAMENTO DEI LABORATORI
La nuova galleria consentirebbe l’accesso diretto ai Laboratori dell’INFN dal versante aquilano, facendo risparmiare non più di 25 minuti di strada a quanti devono recarvisi.
I fautori del terzo traforo sostengono che questo ulteriore collegamento diretto con l’esterno consentirà di migliorare i livelli qualitativi di sicurezza per il personale che lavora all’interno delle sale Laboratorio sotterranee. Va osservato che questi “motivi di sicurezza” rappresentano una novità, tanto è vero che la legge n. 366/1990 non ne fa alcuna menzione.
Il problema della sicurezza nel tunnel autostradale del Gran Sasso può essere scisso in tre punti:
Ø sicurezza autostradale;
Ø sicurezza dei Laboratori;
Ø sicurezza delle acque (la trattazione di quest’ultimo punto è rinviata in altra parte di questo dossier).
1. Sicurezza autostradale
Come si è ricordato, il traforo autostradale del Gran Sasso è lungo poco più di 10 Km e consta di due gallerie parallele, entrambe dotate di doppia corsia. Le due gallerie sono collegate fra loro da 18 cunicoli trasversali.
Nella galleria in direzione Teramo-L’Aquila, ove sono ubicati gli accessi ai Laboratori INFN, vi è una riduzione a corsia unica che parte all’incirca dal 3° Km, incontra dopo 1,5 Km l’accesso dei Laboratori, dopo altri 500 metri trova l’uscita dei Laboratori e quindi finisce, permettendo all’autostrada di tornare a doppia corsia.
Immediatamente prima dell’ingresso in galleria (sempre in direzione Teramo-L’Aquila) vi è il limite di velocità di 100 Km/h; la velocità viene ulteriormente ridotta a 80 Km/h prima della riduzione di corsia ed a 60 Km/h in corrispondenza dell’ingresso ai Laboratori. Dopo il cunicolo di uscita dai Laboratori è posizionato il cartello di fine dei limiti di velocità.
Nella galleria in direzione L’Aquila-Teramo non sussistono ostacoli alla circolazione, né limitazioni di velocità. I dati della Polizia Stradale di L’Aquila, riferiti al 1999, denotano che la grande maggioranza degli incidenti avvenuti nel traforo del Gran Sasso si sono verificati nella galleria in direzione L’Aquila-Teramo.
Per garantire la “sicurezza” della circolazione nel tratto Teramo-L’Aquila, dove sono ubicati sia l’accesso che l’uscita dei Laboratori, sarebbe auspicabile un maggior controllo del rispetto dei limiti di velocità, mentre già è presente il divieto di transito ai mezzi di trasporto di dimensioni superiori alle 150 tonnellate ed ai trasporti eccezionali.
Si potrebbe inoltre valutare l’opportunità di anticipare la riduzione di corsia, e le barriere antiurto, posizionandole all’esterno della galleria, 1 Km prima dell’ingresso.
2. Sicurezza dei Laboratori
L’accesso ai Laboratori INFN avviene dalla galleria in direzione Teramo-L’Aquila; chiunque percorra questa galleria può osservare che esiste un cunicolo d’ingresso ed uno di uscita, con accessi dalla galleria distanti più di 500 m fra loro, mentre un terzo accesso, meno visibile, è posto in posizione intermedia.
Qualsiasi incidente dovesse verificarsi nella galleria autostradale in direzione Teramo-L’Aquila non potrebbe mai bloccare tutti gli accessi ai Laboratori, a meno di non svilupparsi per una lunghezza di oltre 500 m, cosa assolutamente impossibile con gli attuali flussi di traffico.
Nel tratto di galleria autostradale compresa tra l’entrata in galleria e quella ai Laboratori, sulla volta, corre un grande tubo per l’aerazione dei Laboratori. Si tratta dell’unico collegamento con l’esterno e garantisce il rifornimento necessario per il continuo ricambio dell’aria, consentendo anche di mantenere costante all’interno dei Laboratori la temperatura di 18° (contro i 6° della temperatura naturale).
La sicurezza del personale che lavora all’interno dei laboratori INFS può essere aumentata creando una seconda condotta d’aria che passi all’interno della seconda galleria autostradale (direzione L’Aquila-Teramo) oppure nella condotta di captazione dell’acqua posta al di sotto delle gallerie autostradali. Si fa notare che da oltre 13 anni i ricercatori dell’INFS lavorano in mancanza di sicurezza per quel che riguarda le condotte di aerazione.
Conseguenze del terzo traforo sulla sicurezza
La realizzazione del terzo traforo consentirà un accesso diretto ai Laboratori a mezzi di piccole dimensioni, dal lato aquilano.
Poiché il progetto non prevede la rimozione della “strozzatura” nella galleria autostradale in direzione Teramo-L’Aquila, la realizzazione del nuovo traforo non avrà ripercussioni sul traffico autostradale. Rimarrebbe infatti il transito dei mezzi di grandi dimensioni (bus o camion per il trasporto di materiali ingombranti) che continueranno ad accedere ai Laboratori utilizzando la galleria autostradale.
Va poi ricordato che la realizzazione di questa opera dal lato aquilano comporta una lunghezza superiore di quasi 2 Km rispetto ad un eventuale tunnel dal lato teramano (6 km contro 4): ciò annulla completamente la funzione del terzo traforo quale via di fuga d’emergenza. Infatti, il tempo necessario per percorrere la maggiore distanza verso l’esterno potrebbe essere decisivo, in caso di effettiva emergenza, per la salvezza o meno dei lavoratori dei Laboratori.
In realtà, le gallerie autostradali del Gran Sasso, per il fatto di essere due ed entrambe a doppia corsia (normale e di sorpasso), sono tra le più sicure al mondo.
Come dimostrano i dati ricordati della Polizia stradale, il restringimento di carreggiata sulla galleria Teramo-L’Aquila, che consente l’accesso ai Laboratori, fino ad oggi ha svolto una funzione di limitatore di velocità.
Miglioramenti della sicurezza dei Laboratori allo stato attuale si otterrebbero facilmente con l’utilizzo di tecnologie più elaborate per la fornitura dei servizi essenziali quali aria, acqua ed energia.
Vie di fuga alternative sarebbero anche eventualmente realizzabili attraverso piccoli collegamenti interni con l’altra galleria autostradale L’Aquila-Teramo o con il piccolo cunicolo di servizio dell’ACAR. Il tutto risparmiando il denaro dei contribuenti e salvaguardando l’ambiente.
In realtà, le ragioni alla base di questi nuovi interventi sono da ricercare nella possibilità di “affittare” i Laboratori. In tutto il mondo, infatti, Laboratori con queste caratteristiche hanno una lista di attesa dei grandi gruppi di ricerca che chiedono di poter portare avanti i propri programmi di ricerca. La lista si è molto allungata per i Laboratori del Gran Sasso e così l’INFN vuole ampliare gli spazi disponibili per poter ospitare esperimenti per i quali si è già impegnato nei confronti di Istituti di ricerca internazionali.
Più che il terzo traforo quello che si vuole assolutamente costruire sono i due nuovi stanzoni-laboratorio, cosa assolutamente impraticabile se non si realizza prima un cunicolo indipendente attraverso cui poter lavorare.
Ma se la logica che è dietro la realizzazione delle due nuove sale è il “vantaggio” (sia esso economico o accademico), cosa accadrà se fra dieci anni anche le nuove sale non saranno più sufficienti a soddisfare le richieste? Se ne dovranno costruire di nuove? E così all’infinito?
L’ACQUIFERO
La legge n. 366/1990 ha stanziato anche cinque miliardi per effettuare uno studio sul Gran Sasso e in particolare sul suo acquifero profondo. Sembra che tale somma sia stata interamente spesa dal Consorzio incaricato delle ricerche, chiuso qualche anno fa. Nonostante siano state installate le centraline di rilevamento in molti punti della montagna e lungo i fiumi che da essa hanno origine, non un solo dato utile è stato divulgato.
Quello che è certo è che l’acqua del Gran Sasso alimenta gran parte degli acquedotti che servono le province di Teramo, L’Aquila e Pescara.
Il Consorzio acquedottistico dell’Aquila gestisce una serie di prese che, dalle sorgenti del Chiarino fino alle pendici meridionali del Gran Sasso, forniscono acqua alla vallata aquilana ed alle sue aree limitrofe. Più a sud le sorgenti del Tirino e del Pescara, oltre a fornire acqua di uso corrente, sono anche oggetto di imbottigliamento per la grande distribuzione.
Sul versante pescarese, con le acque delle sorgenti del Tavo si alimenta gran parte del comprensorio settentrionale della provincia, inclusi centri importanti come Penne e Farindola.
L’Acquedotto del Ruzzo trae dal Gran Sasso l’acqua con la quale rifornisce tutta la provincia di Teramo, comprese le importanti industrie agroalimentari che hanno scelto di insediarsi nella zona anche per la qualità dell’ambiente e dell’acqua. Si è calcolato che le acque convogliate ed immesse nei due principali acquedotti delle Province di Teramo e l’Aquila sono destinate al fabbisogno idrico di non meno di 800 mila abitanti.
Subito dopo lo scavo delle gallerie autostradali, mentre nel pescarese al seccarsi delle sorgenti ha corrisposto una diminuzione delle portate anche per gli acquedotti, nell’area di Teramo e L’Aquila, alle sorgenti che si seccavano corrispondeva un illusorio accrescimento della disponibilità d’acqua per le società acquedottistiche grazie ai maggiori quantitativi prelevati da quelle stesse nuove cavità artificiali.
Ma a pochi anni di distanza il quadro è molto più chiaro. L’Aquila rimane senza acqua in primavera e nei periodi di secca, mentre Teramo non riesce a soddisfare le necessità della costa se non con la depurazione di acque superficiali. Quello che è accaduto è elementare: bucando la montagna si è svuotata una riserva immensa (i 600 metri di falda appunto) che prima svolgeva un’essenziale funzione di compensazione dei momenti di crisi. Oggi anche i “fortunati” acquedotti di Teramo e L’Aquila hanno un regime sorgentizio di tipo fluente: se piove c’è acqua, se non piove l’acqua non c’é, essendo venuta a mancare quella inerzia che prima era garantita dal più grosso acquifero calcareo d’Italia.
Intervenire oggi, di nuovo, sull’acquifero del Gran Sasso comporterà ulteriori riduzioni degli apporti alle sorgenti con seri problemi nella distribuzione dell’acqua potabile, oltre ad enormi conseguenze sull'ambiente naturale.
Se è vero che gli scavi in sotterraneo previsti per la realizzazione del nuovo tunnel si svilupperanno al di sopra delle due gallerie autostradali già realizzate, interessando perciò un’area presumibilmente già drenata, è altrettanto vero che l’ultimo tratto del tracciato (dove cioè la nuova galleria sovrapassa quella autostradale di sinistra per raggiungere i Laboratori) interesserà sicuramente l’acquifero.
Lo scavo delle due nuove sale dei Laboratori, poi, colpirà l’area compresa tra le sale esistenti e la faglia di sovrascorrimento, e quindi i calcari del cretaceo medio-superiore, dove c’è da attendersi un consistente afflusso idrico e quindi un ulteriore abbattimento dell’acquifero locale.
Inoltre, l’acqua che scaturisce dalle gallerie autostradali sarà direttamente interessata dai lavori, con il rischio che venga inquinata (in maniera temporanea o stabile) la falda che alimenta gran parte dell’acquedotto dell’Aquila e la quasi totalità dell’acquedotto di Teramo che serve, tra l’altro, quasi tutte le cittadine della costa dove l’attività turistica già oggi ha seri problemi nel periodo di massimo afflusso.
Non si capisce cosa succederà all’industria agroalimentare molto sviluppata nella provincia di Teramo ed alla situazione sanitaria della popolazione in quel periodo di assenza di acqua potabile.
Il danno all’acquifero è stato espressamente previsto dagli stessi progettisti del terzo traforo e dell’ampliamento dei Laboratori di Fisica Nucleare del Gran Sasso.
Nel progetto definitivo presentato dall’ANAS e dall’INFN, nella parte “Grafici essenziali. Relazione di sintesi” allegato “o”, cap.6, pag. 12 è riportato chiaramente che a seguito dei nuovi lavori si prevede una perdita di un centinaio di litri di acqua al secondo.
Ma non basta! Sempre dagli allegati progettuali risulta che nella fase di cantiere emergeranno certamente problematiche legate alla contaminazione della falda acquifera (“Criteri di progetto”, cap. 3.2, pag. 17). Detta contaminazione, però, non interesserà solo i 100 l/s appena richiamati, ma, come viene confermato nel progetto (“Relazione idraulica”, allegato D.1.1, pag. 11), un quantitativo di gran lunga superiore pari a 310 l/s.
Tutto ciò determinerebbe un enorme danno nella gestione del servizio idrico, tenuto conto che la città di Teramo utilizza circa 250 l/s.
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LA FASE DI CANTIERE L’esecuzione delle opere previste
dovrebbe avvenire scavando con gigantesche macchine perforatrici
automatizzate dal versante aquilano verso l’interno della
montagna. Siccome però in alcuni tratti si incontreranno zone
intensamente fratturate in cui si concentrano grandi quantità
di acqua, si prevede, prima di scavare, di operare fitte iniezioni
di cemento, silicati ed additivi a partire dalla volta delle
gallerie autostradali esistenti. Finito lo scavo del cunicolo
si lavorerà per realizzare le nuove sale, utilizzando cariche
esplosive di dinamite che demoliranno la roccia più dura.
Si tratta di lavori estremamente complessi che necessariamente
richiederanno un periodo di chiusura dei trafori autostradali
di cui non si conosce la durata. Nel contesto normativo che
regolamenta gli aspetti sanitari delle acque potabili un intervento
di scavo in prossimità dei luoghi di sorgente è da considerarsi
assolutamente vietato per i pericoli di inquinamento che ne
potrebbero derivare. Direttive europee recepite dalla normativa
nazionale vietano persino l’accesso di uomini, animali o cose
nel raggio di influenza delle sorgenti, obbligando i gestori
alla recinzione degli spazi in superficie ad evitare inquinamenti
da percolazione. Non si comprende come si possa consentire
scavi come quelli necessari per la costruzione del terzo traforo
e per l’ampliamento dei Laboratori del Gran Sasso, all’interno
di una falda acquifera utilizzata a scopo potabile.
I RECUPERI AMBIENTALI
Le zone dove si sono eseguite
le trivellazioni per i sondaggi, nonché le aree di cantiere
exCogefar utilizzate per la realizzazione delle gallerie autostradali
esistenti nei pressi dei due imbocchi del traforo, a Casale
San Nicola (TE) ed Assergi (AQ), non sono mai state riqualificate
dalla data della loro dismissione. I recuperi ambientali andavano
realizzati al termine dei lavori, eliminando i resti dei macchinari,
rimuovendo i depositi di bentonite, le montagne di roccia
estratte nello scavo ed i ruderi delle baracche degli operai
(realizzate con materiali isolanti tra cui l’amianto). Nonostante
la legge abbia stanziato i fondi necessari per la loro riqualificazione
nel 1990, i lavori di bonifica non sono ancora iniziati. Nel
frattempo l’amianto si sta polverizzando e volatilizzando
con gravi rischi per la salute umana. Gli Enti locali che
si stanno facendo carico, a proprie spese, della bonifica
dei luoghi, hanno avviato anche azioni legali. Il procedimento
giudiziario è ancora in corso per stabilire chi dovrà farsi
carico degli elevati costi di risanamento e per individuare
eventuali responsabilità penali.
LA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE Il 12 agosto
1992, con decreto 1169, il Ministero dell’Ambiente, di concerto
con il Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, ai sensi
dell’art. 6 della Legge 349/86, ha espresso parere positivo
condizionato di compatibilità ambientale a seguito di una
Valutazione di Impatto Ambientale realizzata sullo Studio
di Impatto Ambientale effettuato dall’ANAS e dall’INFN, enti
proponenti l’opera. Il decreto pone l’obbligo di inoltrare
il progetto esecutivo al Ministero dell’ambiente ed al Ministero
per i beni culturali ed Ambientali al fine di “verificarne
la congruità, anche alla luce della istituzione del Parco
del Gran Sasso, di cui alla legge 6/12/1991, n. 394”, le cui
norme di tutela sono state poi definite con DPR 5 giugno 1995.
Il Comitato di gestione provvisoria del Parco, nominato solo
nel 1994, non poté intervenire sulla procedura VIA, sulla
quale, peraltro, non si registrarono interventi da parte di
Enti locali ed Associazioni ambientaliste. Tale silenzio desta
molte perplessità poiché sulla realizzazione di questa opera
si è sviluppato un fortissimo movimento contrario di cui si
darà conto più avanti. Appare così molto strano che nessun
Ente o Associazione abbia presentato nel 1992 - al momento
della discussione sulla VIA - osservazioni allo studio predisposto
dagli Enti proponenti. La spiegazione di tale silenzio è da
ricercare nella scarsa pubblicità che gli Enti proponenti
diedero alla procedura della VIA. Questa, infatti, fu condotta
in modo tale da non garantire la necessaria informazione e,
di conseguenza, la partecipazione di cittadini ed istituzioni.
In tale azione si ravvisano violazioni evidenti rispetto a
quanto stabilito nella Direttiva 85/337/CEE in materia di
Valutazione di Impatto Ambientale. In ogni caso, va ricordato
che la compatibilità ambientale era stata data in ragione
del fatto che enormi sarebbero risultati i benefici goduti
dalla collettività perché la realizzazione dell’opera avrebbe
consentito l’apertura della galleria autostradale Teramo-L’Aquila,
fino ad allora chiusa ed utilizzata come accesso ai Laboratori.
Oggi, però, la galleria in questione è perfettamente funzionante,
facendo così cadere un elemento cardine del rapporto costi-benefici.
Come è noto, poi, le valutazioni di impatto ambientale devono
essere eseguite esaminando varie opzioni ed attivando inchieste
pubbliche che possano stimare e, quindi, valutare, la bontà
delle scelte effettuate. Negli studi condotti dall’ANAS e
dall’INFN allo scopo non sono in alcun modo valutate né la
cosiddetta “opzione zero” (che vuole tra le alternative, anche
la possibilità di non realizzare l’opera), né i pareri della
collettività. E comunque, lo studio predisposto per effettuare
la valutazione esaminava un progetto del tutto differente
da quello attualmente in discussione. Ciò sia per le dimensioni
dei cunicoli (il terzo traforo era previsto con un diametro
di 5,5 m contro i 6,5 del progetto attuale) e delle sale,
sia per il fatto che allora erano previste soluzioni differenti
per gli accessi dalle gallerie autostradali. Inoltre, il Quadro
di Riferimento Ambientale, uno dei tre elementi cardine di
qualunque V.I.A. è, tra l’altro, del tutto modificato rispetto
alle ricerche degli Anni 1960/70 cui lo studio dell’ANAS-INFN
fa riferimento. L’ ambiente del Gran Sasso era allora descritto
in via di disfacimento per l’intervento dell’uomo e non erano
segnalate specie protette. Di lì a pochi anni, l’inversione
degli interessi della società più rivolta alla tutela del
territorio e ricerche più accurate hanno consentito di censire
specie vegetazionali ed animali rare ed in via di estinzione.
Tali elementi, che hanno portato poi alla istituzione del
Parco Nazionale ed alla individuazione di vari SIC (Siti di
Interesse Comunitario) e ZPS (Zone di Protezione Speciale)
in osservanza alle Direttive Comunitarie, sono sufficienti
a considerare oggi del tutto superata la VIA di allora. Sul
punto si ricorda che la Direttiva 92/43/CEE “Habitat” prevede
la creazione della rete Natura 2000 costituita da Zone Speciali
di Conservazione (ZCS) e Zone di Protezione Speciale (ZPS),
quest’ultime individuate ai sensi della Direttiva 79/409/CEE
“Uccelli”. Il Progetto BioItaly nel 1994 ha individuato e
proposti i Siti di Interesse Comunitari (SIC) destinati a
diventare ZCS per quanto riguarda lo Stato Italiano: l’elenco
dei pSIC, inviato alla Commissione Europea per l’avvio della
procedura di designazione definitiva, è stato recepito dal
Ministero dell’Ambiente italiano con Decreto del Ministro
dell’Ambiente del 3 aprile 2000. L’area interessata dal terzo
traforo ricade all’interno del pSIC “Dorsale Brancastello
- Prena - Camicia” (codice Natura 2000 IT 7120009), ma, andando
a colpire una falda acquifera che alimenta le sorgenti di
tre diverse province (Teramo, L’Aquila e Pescara), avrebbe
gravi ripercussioni anche su numerosi altri pSIC individuati
dentro e fuori il perimetro del Parco Nazionale del Gran Sasso
e Monti della Laga. Inoltre, l’intero perimetro del Parco
Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga è stato individuato
dallo Stato Italiano quale ZPS. Da osservare che l’Ente Parco
Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga ha goduto di un
finanziamento europeo per il Progetto LIFE Natura ‘97 “Camoscio”
(Progetto B4-3200-97-268). Il pSIC “Dorsale Brancastello-Prena-Camicia”,
interessato dall’opera in oggetto, è uno dei due siti individuati
per la realizzazione di questo Progetto legato alla salvaguardia
del Camoscio d’Abruzzo (Rupicapra pirenaica ornata). Il Camoscio
d’Abruzzo è l’unica specie animale italiana ad essere stata
inserita nel 1996 dall’IUCN (International Union for Conservation
of Nature) nella lista rossa dei mammiferi “in pericolo di
estinzione”. Inoltre è l’unica specie italiana elencata nell’Appendice
1 della Convenzione Internazionale di Washington (sulle specie
animali e vegetali in pericolo di estinzione - CITES) ed è
considerata dal consiglio d’Europa una specie la cui tutela
e di interesse prioritario per l’Unione Europea e per questo
inclusa nel 1992 nell’Allegato II della Direttiva Habitat.
Oltretutto, il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della
Laga, congiuntamente ai parchi nazionali dei Monti Sibillini
e della Majella, nel 2001 si è visto approvare dall’Unione
Europea un nuovo progetto LIFE sempre dedicato al camoscio
d’Abruzzo.
CHI SI OPPONE A QUESTE OPERE Contro il terzo traforo
e l’ampliamento dei Laboratori di Fisica Nucleare del Gran
Sasso si sono pronunciati moltissimi enti locali abruzzesi.
In prima linea la Provincia di Teramo e la Provincia di Pescara,
direttamente interessate all’intervento, e la Provincia di
Ascoli Piceno che, limitrofa ne potrebbe avere ripercussioni
indirette. Circa 60 Amministrazioni Comunali hanno deliberato
esprimendo la propria contrarietà all’opera tra cui il Comune
di Teramo, il più grande della zona, e quello di Isola del
Gran Sasso, sulla cui area di influenza ricade l’intervento.
Il Consiglio regionale della Regione Abruzzo ha deliberato
per due volte una ferma contrarietà all’opera e anche nell’ultima
deliberazione in cui ha mostrato di voler cambiare orientamento
ha comunque evidenziato termini di preoccupazione sulla sicurezza
generale. Sono fermamente contrari all’opera l’Ambito Territoriale
Ottimale di controllo sulle acque di Teramo e l’Azienda Consortile
Acquedotto del Ruzzo che alimenta tutta la Provincia di Teramo
con l’acqua che prende dal Gran Sasso. Tanti altri istituti
hanno espresso la propria contrarietà all’avvio dei lavori,
tra cui l’Ordine degli Ingegneri e l’Ordine dei Medici della
Provincia di Teramo. Nella Conferenza di Servizi organizzata
sull’opera, si sono riservati di dare parere anche i rappresentanti
delle Prefetture interessate e del Ministero dell’Interno
per la protezione civile per le novità emerse in merito ai
possibili inquinamenti delle acque potabili. Particolarmente
preoccupanti sono poi le relazioni del Servizio Geologico
Nazionale in merito alla sismicità dei luoghi. In una situazione
di avvenuto sisma, tutt’altro che da escludere per l’area
del Gran Sasso, e quindi in condizioni di emergenza per tutti
gli organismi di protezione civile, non si può rischiare che
venga a mancare l’acqua potabile o che, peggio, venga erogata
inquinata. A dimostrazione dell’opposizione della stragrande
maggioranza degli abruzzesi a questa opera, si possono citare
le 23.000 firme per la salvaguardia delle acque del Gran Sasso
d’Italia (la raccolta continua tuttora) raccolte e consegnate
dal WWF nel giugno del 2002 alla Rappresentanza Italiana della
Commissione Europea a supporto di un esposto dell’Associazione
che denuncia la violazione della Direttiva sulla VIA e della
Direttiva sulla tutela degli Habitat naturali. Altre 7.000
firme sono state raccolte durante l’estate e saranno ugualmente
indirizzate all’Unione Europea. Si è costituito un Comitato
per la tutela delle acque del Gran Sasso d’Italia promosso
da tutte le associazioni ambientaliste ed è nato un Coordinamento
dei Sindaci e delle Province Abruzzesi contro il terzo traforo.
Contro il terzo traforo del Gran Sasso sono state organizzate
numerose manifestazioni con partecipazione di moltissimi cittadini
(7000 al corteo nel novembre 2001 a Teramo e 8000 a Pescara
il mese successivo), nonché l’adesione di 60 sindaci abruzzesi,
dei presidenti delle Province di Teramo, Pescara e Ascoli
Piceno. Della mobilitazione in difesa del Gran Sasso d’Italia,
è stato informato anche il Parlamento Europeo. Il giorno 18
dicembre 2001 i Parlamentari europei Paulo Casaca (PSE - Portogallo),
Guido Sacconi (PSF - Italia), Vincenzo Lavarra (PSE - Italia),
Dagmar Roth-Behrendt (PSE - Germania), Anne Ferriera (PSE
- Francia), Monica Frassoni (VERDI - Belgio), Pietro Paolo
Mennea (ELDR - Italia), Giuseppe Di Lello Finuoli (GUE/NGL
- Italia), Bruno Trentin (PSE - Italia), Nino Gemelli (PPE
- DE Italia), coordinati dall’On. Giovanni Pittella (PSE -
Italia), hanno ricevuto a Bruxelles, presso la sede del Parlamento
Europeo, una delegazione del Comitato per la tutela delle
acque del Gran Sasso d’Italia. Le Province di Teramo e Pescara
hanno anche presentato una proposta di referendum consultivo
regionale che però il Consiglio regionale ha inspiegabilmente
respinto (anche tale pronuncia sarà oggetto di impugnativa):
il fronte che vuole il terzo traforo, perfettamente conscio
della propria sconfitta in una libera consultazione popolare,
ha ritenuto di dover rifiutare il democratico confronto di
idee. La Provincia di Teramo, con l’adesione di quella di
Pescara, del WWF, di Italia Nostra e di tanti altri enti,
ha presentato un ricorso al TAR de L’Aquila contro l’inserimento
del terzo traforo tra le opere previste nella cd Legge Obiettivo,
nonché contro il decreto ministeriale con cui è stata chiusa
a maggioranza la conferenza di servizi sull’opera. Il TAR
ha dapprima concesso la sospensiva e dopo ha accolto il ricorso,
cancellando di fatto tutto l’iter fino ad oggi seguito per
la realizzazione dell’opera. Si tratta di una sentenza di
enorme importanza per ché ha accolto in pieno tutte le osservazioni
in merito all’illegittimità dell’opera: la mancanza di una
seria valutazione di impatto ambientale, il non tener conto
del negativo parere vincolante dellEnte Parco nazionale del
Gran Sasso e Monti della Laga, il non rispetto della corretta
procedura autorizzativa dell’opera, il non rispetto delle
volontà espresse dagli Enti locali. Purtroppo, nonostante
questa sentenza il Ministro Lunardi ha già dichiarato che
intende riproporre l’opera attraverso un’altra strada. IL
PARCO. L’istituzione del Parco Nazionale del Gran Sasso e
Monti della Laga nel 1991 ha cambiato gli indirizzi di gestione
dei territori montani fino a ieri in spopolamento. Oggi, invece,
la speranza di valorizzare questi ambienti per le bellezze
naturalistiche contenute è una realtà consolidata. L’esecuzione
di lavori di tale entità ai piedi del Gran Sasso, con gigantesche
opere di cantiere, vasti sbancamenti, forti rumori ed esplosioni,
nuovi elettrodotti e nuove strade di servizio, transito continuo
di camion, sono assolutamente incompatibili con i programmi
di attività turistica locale e diminuirebbero l’immagine dello
stesso Parco, essendo le aree dei lavori centrali e ben visibili.
Il Consiglio direttivo dell’Ente Parco è da sempre contrario
alla realizzazione dell’opera. Ci sono infatti passaggi della
legge quadro sulle aree protette e del decreto istitutivo
dell’Ente che vietano espressamente tali tipi di intervento.
Nel dicembre del 1999, l’Ente Parco Nazionale del Gran Sasso
e Monti della Laga, al termine di un’accurata istruttoria,
che ha visto il coinvolgimento di numerosi enti ed istituzioni,
tra cui l’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente
ed il Servizio Geologico Nazionale, non ha concesso la necessaria
autorizzazione vincolante dell’Ente per l’esecuzione dei lavori
di completamento ed adeguamento delle strutture del Laboratorio
di Fisica Nucleare. Tale divieto, peraltro, si manifesta come
atto assolutamente dovuto, tenuto conto delle prescrizioni
di cui alle “Misure di salvaguardia” dell’Allegato A al DPR
5 giugno 1995, istitutivo dell’Ente Parco, nonché dei divieti
generali contenuti nella richiamata Legge quadro sulle aree
naturali protette n. 394/91. Anche l’Ente Parco Nazionale
del Gran Sasso e Monti della Laga ha presentato un proprio
ricorso contro il non rispetto del negativo parere vincolante
espresso all’unanimità per ben tre volte dal suo Consiglio
Direttivo. Questo ricorso è stato riunito con il già ricordato
vittorioso ricorso presentato dalla Provincia di Teramo ed
altri enti ed associazioni.
UNA LEGGE ALTERNATIVA Esiste una proposta di legge,
tesa a scongiurare la realizzazione del progetto. Tale proposta
individua questi interventi alternativi al terzo traforo e
all’ampliamento dei Laboratori: miglioramento degli impianti
di sicurezza dei Laboratori. recupero e valorizzazione dei
centri storici interni al perimetro del Parco nazionale del
Gran Sasso e Monti della Laga, anche ai fini di prevenzione
sismica; restauro e miglioramento ambientale anche come compensazione
del dissesto idrogeologico provocato nelle zone interessate
dalle opere già realizzate; completamento della rete di rilevamento
e controllo ambientale nella regione del Gran Sasso per lo
studio di fenomeni geofisici, delle acque sotterranee e delle
risorse idrogeologiche, nonché delle trasformazioni dell’ambiente
naturale; realizzazione del Museo della fisica e dell’astrofisica,
già previsto dalla Legge n. 366/1990, destinando ulteriori
finanziamenti rispetto a quelli previsti, perché possa essere
un’istituzione in grado di valorizzare anche la storia geologica,
ambientale e climatica della regione del Gran Sasso; rifinanziamento
delle attività del Consorzio formato da INFN, Regione Abruzzo,
Università de L’Aquila, CNR, ecc., per lo sviluppo e la promozione
scientifica ed ambientale. Questa proposta di legge è sostanzialmente
identica ad altra proposta che ottenne un importante riconoscimento,
essendo stata votata all’unanimità dalla Commissione ambiente
della Camera, senza purtroppo giungere all’approvazione definitiva
per la fine naturale della legislatura 1996/2001.
LE NOSTRE PROPOSTE/LE NOSTRE RICHIESTE Una nuova valutazione
di impatto ambientale sull’opera, partecipata e condivisa,
che consideri tutti gli interessi in gioco. Un impegno da
parte degli enti proponenti per ricercare soluzioni alternative
al terzo traforo per risolvere il problema della sicurezza.
L’immediato recupero delle aree di cantiere dei precedenti
lavori mai recuperati, nonostante appositi finanziamenti.
Il riconoscimento del ruolo dell’Ente Parco cui la legge attribuisce
il compito di assicurare la tutela del Gran Sasso d’Italia
e la valorizzazione di questo territorio. Maggiore informazione
sugli esperimenti che si svolgono nei Laboratori, nonché sui
sistemi di sicurezza e sui piani di emergenza in caso di incidenti.
In particolare si chiede: - esiste un elenco delle sostanze
presenti nei Laboratori e dei rispettivi quantitativi? - prima
dell’avvio dei singoli esperimenti, viene valutata l’entità
del rischio per la popolazione connessa ad eventuali incidenti?
- sono mai state condotte simulazioni circa il comportamento
delle sostanze eventualmente rilasciate, sia per quanto riguarda
la reazione con altre sostanze presenti nei Laboratori sia,
in particolare, rispetto alla vastità aree che verrebbero
interessate? (Per esempio, il cloruro di Gallio, una volta
fuoriuscito dai contenitori, potrebbe penetrare nella falda
sottostante ai Laboratori vista la sua solubilità? Potrebbe
arrivare ad inquinare i corsi d’acqua superficiali? Fino a
che distanza dai Laboratori in ogni direzione? Quante persone
sarebbero coinvolte da un’emergenza di questo tipo? Sarebbe
possibile una bonifica delle aree e con quali costi?) - esistono
piani di emergenza per la popolazione interessata, direttamente
o indirettamente, da eventuali emissioni di sostanze pericolose?
Perché non si sono mai svolte esercitazioni con il coinvolgimento
della popolazione? - quali e quanti sono i controlli periodici
a cui vengono sottoposti i Laboratori, i lavoratori e la popolazione
dei paesi circostanti, anche per evidenziare eventuali rilasci
accidentali di sostanze pericolose nell’ambiente? Quali sostanze
vengono monitorate?
GLI ESPERIMENTI Quello della pericolosità degli esperimenti
condotti all’interno dei Laboratori di Fisica Nucleare del
Gran Sasso è un tema venuto all’attenzione dell’opinione pubblica
solo recentemente, in particolare dopo l’incidente che ha
provocato la dispersione in ambiente di circa 50 litri di
trimetilbenzene. Il 16 agosto 2002, dai Laboratori, per un
errore umano durante la preparazione di un esperimento, è
fuoriuscita una grossa quantità di questa sostanze altamente
pericolosa che è finita dapprima in un fosso nelle vicinanze
dei Laboratori, poi nel fiume Vomano e da questo nelle condutture
dell’acqua potabile: tracce di trimetilbenzene sono state
così riscontrate nelle fontane di Pineto e Silvi, due comuni
della costa teramana a decine di KM dal luogo dell’incidente.
Questo gravissimo incidente, sul quale è stata aperta un’inchiesta
della magistratura che ha comportato l’invio di otto avvisi
di garanzia (uno dei quali verso il direttore dei Laboratori)
ed il sequestro della parte dei Laboratori dove si è svolto
l’incidente, ha dimostrato l’assoluta impreparazione nel gestire
una situazione di pericolo reale. Al riguardo è emblematica
una frase contenuta nella relazione del Dipartimento Provinciale
di Teramo dell’Agenzia Regionale per la Tutela dell’Ambiente
che ha svolto le prime indagini sull’accaduto: “Si è avuta
la netta impressione che coloro che lavorano all’interno del
laboratorio non percepiscano il rischio ambientale legato
a procedure che possano determinare la contaminazione della
rete sotterranea al laboratorio stesso e quindi all’ambiente
esterno”. Più in generale è bene però richiamare l’attenzione
sulla pericolosità intrinseca dei Laboratori che sono posti
al di sopra della falda acquifera più importante d’Abruzzo.
Gli esperimenti condotti all’interno dei Laboratori del Gran
Sasso non hanno alcun controllo da parte della collettività,
essendo sviluppati, non si sa bene per quale motivo, con ampi
margini di segretezza. Questo mancato coinvolgimento della
popolazione, considerati i contributi economici che l’INFN
riceve ogni anno e, soprattutto, il rischio di potenziale
coinvolgimento di decine di migliaia di persone in caso di
incidente, appare ingiustificato. È certo comunque che per
gli esperimenti condotti nei Laboratori sotterranei del Gran
Sasso sono utilizzate numerose sostanze chimiche, alcune delle
quali molto pericolose e stoccate in notevoli quantità. In
particolare sembrerebbero essere stoccate all’interno dei
Laboratori grandi quantità di Cloruro di Gallio (almeno 30
tonnellate). Tale sostanza, per la sua pericolosità, è stata
inserita dall’EPA (l’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente
del Governo degli Stati Uniti, unanimemente riconosciuta come
l’Agenzia per l’ambiente all’avanguardia a livello mondiale)
tra quelle estremamente pericolose (Extremely Hazardous Compounds).
La scheda redatta dall’EPA con le caratteristiche del Gallio,
non lascia margini di dubbio sulla pericolosità di questa
sostanza. La dose minima letale è tra le più basse tra quelle
delle sostanze pericolose presenti nell’elenco dell’EPA. Nella
citata scheda dell’EPA si può leggere: “Per la tossicità del
Gallio e dei suoi derivati, come dimostrato dagli esperimenti,
tutte le persone coinvolte nel lavoro con queste sostanze
dovrebbero essere sottoposte ad un esame medico periodico,
durante il quale un’attenzione speciale deve essere posta
al controllo delle condizioni del fegato, delle vie respiratorie
e della pelle”. Molteplici e gravissime sono poi le conseguenze
sanitarie di un’eventuale esposizione a questa sostanza (arresto
respiratorio, cianosi, paralisi ecc.), tanto da rendere il
soccorso delle vittime particolarmente difficile. Sempre nella
scheda dell’EPA si legge: “L’esposizione acuta al Cloruro
di Gallio può richiedere la decontaminazione e supporto rianimatorio
delle vittime”. Il Cloruro di Gallio, inoltre, è molto solubile
sia in acqua calda che in acqua fredda. Per tali ragioni appare
chiaro che un eventuale incidente nei Laboratori sotterranei
del Gran Sasso, anche per il probabile coinvolgimento di altre
sostanze, potrebbe avere conseguenze disastrose in un’area
ben più vasta di quella interessata dai Laboratori. Ciò anche
in considerazione del fatto che la natura calcarea della montagna
potrebbe portare al conseguente inquinamento delle falde circostanti:
come è stato ricordato, infatti, i Laboratori sotterranei
sono stati realizzati a contatto con la più importante falda
acquifera d’Abruzzo che serve molte sorgenti (Sorgenti del
Pescara, Sorgenti del Vera, Sorgenti del Tavo) dalle quali
scaturiscono alcuni dei più importanti fiumi abruzzesi e da
cui si riforniscono diversi acquedotti. Ma il Cloruro di Gallio
non è l’unica sostanza pericolosa stoccata nei Laboratori
sotterranei del Gran Sasso. Infatti, tra le altre sostanze
presenti, si possono ricordare: 1.800 tonnellate di isoAlcani
(miscelati con altre sostanze), 600 tonnellate di Argon liquido
(da portare a varie migliaia di tonnellate nei prossimi anni)
e 16 kg di Germanio arricchito. Gli isoAlcani sono considerati
pericolosi per l’ambiente (possono avere effetti negativi
persistenti per gli ambienti acquatici) e possono formare
nubi più pesanti dell’aria che possono esplodere. Anche l’Argon,
solitamente considerato un elemento non pericoloso, può rivelarsi,
in queste quantità, estremamente pericoloso come asfissiante
(può formare, se liberato nell’ambiente, nubi asfissianti
compatte perché più pesanti dell’aria). È anche definito “killer
silente” perché nella forma gassosa è inodore ed incolore,
per cui la sua presenza non viene subito avvertita. Sul Germanio,
ricerche recenti hanno evidenziato danni agli organi interni
(in particolare al rene) dovute all’esposizione cronica, anche
in piccolissime quantità, a questa sostanza e ai suoi composti.
Forte preoccupazione desta la recente decisione di accumulare
all’interno dei Laboratori ben 1250 tonnellate di Trimetilbenzene,
conosciuto anche come pseudocumene: un liquido incolore infiammabile
considerato a livello europeo irritante e potenzialmente pericoloso
per i persistenti effetti sugli ambienti acquatici. Nella
scheda su questa sostanza l’EPA sostiene che, “essendo un
liquido che non si lega fortemente con il suolo, può muoversi
attraverso il terreno e penetrare nelle falde”. Sempre l’EPA
sostiene che si tratta di una sostanza che può accumularsi
progressivamente nei tessuti. Numerosi ricerche effettuate
attraverso esperimenti su cavie e pubblicate su riviste scientifiche
di livello internazionale (Ann. New York Academy of Sciences,
Toxicol Appl Pharmacol, Int. J Occup. Med. Environ Health,
NeuroToxicology) hanno dimostrato la pericolosità dell’esposizione
a questa sostanza, anche a dosi bassissime. Alcuni Autori
suggeriscono che i lavoratori non dovrebbero essere esposti
a dosi <10 p.p.m. sui luoghi di lavoro. Gli effetti accertati
sono i seguenti: a) attività neurotossica anche a bassissime
dosi con effetti persistenti nel tempo; b) alterazioni permanenti
nel comportamento; c) lesioni polmonari dopo una esposizione
cronica a questa sostanza; d) alterazioni nella composizione
del sangue; e) depressione del ritmo respiratorio; f) evidenza
di cancerogenicità. È innegabile che esiste un rischio di
incidenti che potrebbero determinare reazioni incontrollate
con conseguente inquinamento dell’acqua della falda, nonché
dell’aria nei due versanti del Gran Sasso. Secondo l’Acquedotto
del Ruzzo, in caso di incidente nei Laboratori e conseguente
inquinamento della falda, l’acqua captata che rifornisce la
provincia di Teramo potrebbe essere trattenuta per massimo
12 ore in appositi vasconi realizzati nel Comune di Isola
del Gran Sasso: dopo questo stop temporaneo (che almeno consentirebbe
di interrompere l’erogazione per uso potabile) l’acqua inquinata
dovrebbe essere convogliata verso il torrente Mavone, da questo
nel fiume Vomano per poi arrivare al Mare Adriatico, provocando
un vero e proprio disastro ambientale.
GLI INCIDENTI VERIFICATISI NEI LABORATORI All’interno
dei Laboratori nel corso degli anni si sono verificati molti
incidenti. Nella relazione “L’organizzazione della sicurezza
e la gestione delle emergenze. Laboratori Nazionali del Gran
Sasso”, datata 1/3/2000 (autore Ing. Roberto Tartaglia, Responsabile
Servizi di Prevenzione e Protezione dei Laboratori INFN del
Gran Sasso), emergono chiare conferme circa la pericolosità
delle sostanze impiegate negli esperimenti e delle modalità
di conduzione degli stessi. È, innanzitutto, indicativo che
nella stessa mappa sui materiali presenti essi vengano individuati
come “materiali pericolosi”. Inoltre vi sono numerosi passaggi
in cui vengono ammessi i rischi derivanti dagli esperimenti.
Si leggono, infatti, frasi del tipo: “sempre dal punto di
vista della sicurezza il problema principale è dovuto al fatto
che l’ammontare del PC (Pseudocumene, n.d.r) non è suddiviso
in moduli”; “…e contribuiscono a creare una condizione peggiore
per quanto riguarda la sicurezza”; “in questa fase l’aria
deve essere monitorata e controllata, proprio a causa del
rischio di presenza di vapori di HCl al di sopra del TLV ammesso
per legge”. Nel testo vengono poi descritte in almeno due
punti operazioni che devono essere ripetute routinariamente
e che comportano rischi per le temperature raggiunte (esperimento
Borexino con pseudocumene/trimetilbenzene) o per i vapori
eventualmente emessi nell’ambiente (esperimento GNO). Quest’ultimo
esperimento viene condotto utilizzando due serbatoi di cui
uno “è riempito con una miscela di GaCl3 per un totale di
30 tonnellate di Gallio liquido, un metallo, dissolto in soluzione
acida”. L’autore prosegue: “in media ogni tre settimane la
Collaborazione GNO effettua una operazione di strippaggio
in azoto della suddetta miscela; in questa fase l’aria deve
essere monitorata e controllata, proprio a causa del rischio
di presenza di vapori di HCl al di sopra del TLV ammesso per
legge”. Sempre nel documento “L’organizzazione della sicurezza
e la gestione delle emergenze. Laboratori Nazionali del Gran
Sasso” viene riportato un caso di sversamento di oli minerali
dagli apparati dell’esperimento MACRO - in cui vengono utilizzate
600 tonnellate di miscela con olio minerale (96%), Trimetilbenzene
(3,6%) e due altre sostanze - attraverso fessure nei serbatoi.
Nel documento si può leggere: “Rispetto all’Esperimento LVD,
il vantaggio è dato dalla temperatura di infiammabilità dell’olio
minerale nettamente più elevata, mentre il materiale utilizzato
per il contenimento (PVC invece che acciaio) e l’infiammabilità
della miscela di gas sono senza dubbio penalizzanti e contribuiscono
a creare una condizione peggiore per quel che riguarda la
Sicurezza. Inoltre, le guarnizioni usate (BUNA) sono danneggiate
dall’usura (vi sono delle fessure nelle guarnizioni ed alcuni
dei tubi in PVC perdono olio sul pavimento). Ad ogni modo,
in accordo a quanto detto durante le ultime riunioni della
Comunità Scientifica, l’apparato MACRO sarà smantellato nel
prossimo futuro: per il momento il suo smantellamento è stato
“schedulato” a partire dalla prossima primavera”. Dal testo
sembra emergere chiaramente che le descritte condizioni non
hanno comportato l’immediata interruzione dell’esperimento
e la messa in sicurezza delle strutture danneggiate, visto
che l’Autore rimanda all’eventualità della smobilitazione
generale delle apparecchiature di questo esperimento voluta
dalla comunità scientifica. Sempre a proposito di queste perdite,
si portano all’attenzione degli Enti in indirizzo, dieci cosiddetti
“Rapporti di Turno” individuati sul sito del CALTECH, California
Institute of Technology durante una ricerca su INTERNET di
documenti relativi alle sostanze utilizzate nei Laboratori
utilizzando semplici motori di ricerca. Tali documenti - che
sono stati confermati come veri da parte del Direttore dei
Laboratori, Prof. Alessandro Bettini - rappresentano rapporti
relativi allo stato di esecuzione dell’esperimento MACRO ed
appaiono redatti dal personale operante all’interno dei Laboratori.
Il CALTECH ha una collaborazione per realizzare l’esperimento
MACRO nei Laboratori del Gran Sasso. Nel primo documento,
datato 22 Gennaio 1993, un lungo paragrafo è dedicato a due
perdite di olio. Il paragrafo inizia con queste parole: “Problemi
più seri. S. riporta: olio, olio ovunque. Due serie perdite
di olio sono state trovate al 4W3-0 e al 3E6-0”. Segue la
descrizione dell’intervento di drenaggio. Più sotto si legge
“L’olio appare colare sotto il serbatoio e scendere tortuosamente
a lato del detector, coprendo ogni cosa sul suo cammino. Infatti,
l’olio è andato nella scatola che contiene il materiale per
incidere la traccia. Speriamo che non sia penetrato nel contenitore
secondario”. E più avanti: “Approssimativamente il 50% dei
serbatoi cola…”. Nel secondo documento, datato 30 Gennaio
1993, vi sono tre interi paragrafi relativi a perdite di olio
minerale da più serbatoi. Nel documento, è riportata la ricerca
sistematica di perdite effettuata da A.S., al cui riguardo
di può leggere: “Egli riporta che tra il 7% e il 10% di coperchi
presenta olio che lentamente cola dai serbatoi orizzontali”.
Tra le ipotesi avanzate per intercettare le perdite si citano
“un suggerimento di C. P. di installare spugne utilizzate
nell’atletica da fissare intorno alle estremità che gocciolano
per intercettare le perdite. Un altro suggerimento (D. M.)
è di applicare, invece, assorbenti o pannolini”. Nel terzo
paragrafo dello stesso documento è riportato l’elenco dei
serbatoi fuori uso per perdite di olio. Nel terzo documento,
datato 7 Febbraio, si può leggere: “A. ha completato il suo
controllo sull’intero detector per le perdite. Un totale di
49 tappi delle estremità (su 784) sono state segnalate per
avere gocciolamenti (sebbene ad un tasso molto basso). Rispetto
ai verticali, ha notato 17 estremità che colano (su 168)...”.
Nel quarto documento, datato 3 Settembre 1993, si può leggere:
“E. ci ha detto che l’11 Settembre o il 12 vi sarà “un’ispezione
antincendio”. Noi dobbiamo liberarci del materiale da imballaggio
superfluo e dalle scatole vuote. Lei vedrà di rimuovere i
fogli di gommapiuma rimossi dalla sala C e la segatura piena
d’olio sotto il detector”. Nel quinto documento, datato 10
Dicembre 1993, si può leggere: “Disastro: quello che doveva
accadere è alla fine accaduto: due di quei triangoli di PVC
del serbatoio 6W06-1 sono scoppiati insieme stanotte, in un
serbatoio verticale ancora senza barra di protezione (ve ne
sono ancora 14 di questi). Risultato: una doccia di puro olio
(circa la metà del volume che vi era in quell’estremità del
serbatoio) diluvia giù sopra ogni cosa sotto di esso”. Più
avanti si fa riferimento alle analisi condotte con lo spettrofotometro
a Frascati sui campioni di perdite. Si accerta la perdita
di olio e scintillatore. Nel sesto documento, datato 9 Febbraio
1994, si può leggere del ritrovamento di 10 serbatoio che
gocciolano. Per monitorarne il comportamento vengono lasciati
sotto i serbatoi dei fazzoletti di plastica. Nel settimo documento,
datato 12 Febbraio 1994, si può leggere: “Più che un po’ è
come R. ha descritto la quantità di olio che è fuoriuscito
questa settimana. Quando sarà scritta la storia della Grande
Fuoriuscita d’Olio del MACRO … il 3C09-0 sarà al primo posto
rispetto alle leggendarie estremità del 6E01-1 e del 2C04-1.
Questa è una cronologia dei fatti che mette alla prova l’animo
degli uomini: 17:10: La documentazione suggerisce che il 3C09
può aver perso qualche tubo; 17:15: R. vede “Non riempire”
scritto sull’estremità del serbatoio; 17:16: R. apre lo spioncino
per l’olio e non vede olio; 17:17: R. mette un bastoncino
attraverso il buco che non si sporca d’olio; 17:18: R. inizia
a allentare le viti, e non vede gocciolare dal coperchio;
17:19: R. rimuove il coperchio e prende un fiotto in faccia.
C’è di più sulla storia di come tutto l’olio nell’estremità
del serbatoio sia stato smaltito, ma probabilmente è più divertente
lasciarlo alla vostra immaginazione”. Più avanti si può leggere:
“Una vecchia e rilevante perdita ha assunto un nuovo aspetto
questa settimana dopo che D. ha deciso che gli strofinacci
che vi si infradiciavano sopra erano a rischio d’incendio
e li ha tolti. Questo atto ha portato a un costante gocciolamento
un paio di piani sopra il 2B02. Certamente nessun uomo può
localizzare questo fiume”. Nell’ottavo documento, datato 8
Agosto 1996, si può leggere: “P. G. è ritornato per ripetere
il suo acclamato giro di pulizie di olio e secondo lui vi
sono meno perdite di olio quest’anno rispetto all’anno scorso,
sebbene egli abbia trovato un ulteriore nuovo serbatoio che
perde. P.S. ha creato una nuova perdita mentre cercava di
verificare una piccola perdita nel 2W11. Ha allentato la barra
di protezione per dare un’occhiata più da vicino, e due dei
triangoli sono saltati, provocando la fuoriuscita di tutto
l’olio che vi era alla fine del serbatoio”. Nel nono documento,
datato 23 Gennaio 1997, si può leggere: “Le perdite di scintillatore
sono state discusse a lungo. Il management del Gran Sasso
è preoccupato del rischio d’incendio. Dovrebbe essere implementato
un sistema per la raccolta in modo da intercettare le perdite
in una maniera più sicura”. Ancora più interessante appare
il decimo documento, datato 29 Agosto 1997, di cui si riporta
una più ampia traduzione. “Sul fronte politico, la più grossa
notizia è che il nuovo Direttore A.B. - ha preso un forte
e, sembra, personale interesse alla materia della sicurezza
nei Laboratori. Lo ha dimostrato nel suo approccio fattivo
dimostrato nel giro nei Laboratori, osservando cose e chiedendo
la risoluzione dei problemi. Naturalmente, questa è una notizia
in generale positiva visto che tutti vogliamo lavorare in
un ambiente sicuro, ma è anche problematico perché ha fatto
alcune richieste su MACRO. La prima cosa è quella di rimuovere
tutto l’olio stoccato nei tanks nell’“attico”. Non vi è nessuna
ragione tecnica di stoccare l’olio nell’“attico”, e, visto
che una persona sovrappensiero o particolarmente goffa potrebbe
rompere un serbatoio, abbiamo iniziato uno sforzo per rimuovere
l’olio in surplus dai tre serbatoio nell’attico (circa 4500
litri). Questo richiederà l’impiego di circa 25 serbatoi standard
e il problema maggiore è di ottenerli a un costo ragionevole.
E. ha iniziato un’inchiesta nelle ferramenta locali e la prima
stima è di 200 dollari per ogni serbatoio! La seconda richiesta
del Direttore riguarda le nostre famose perdite di olio. Alcune
settimane fa il Direttore annunciò che ci avrebbe richiesto
di svuotare tutti i serbatoi che perdono. Naturalmente, se
interpretato nella più semplice maniera, questo determinerebbe:
a) lo smantellamento di metà dell’esperimento MACRO; b) un
piccolo effetto su molti degli sgocciolamenti, visto che questi
derivano da olio catturato sulla superficie dei serbatoi.
E. e io gli abbiamo parlato del problema per circa 20 minuti,
prendendo un atteggiamento positivo e cooperativo, ma spiegando
la situazione e dandogli la copia del rapporto sulla pericolosità
delle perdite che D. ha scritto (non ne era a conoscenza).
Da questa riunione non sono scaturite decisioni definitive,
ma ha promesso di leggere il rapporto. Come molti di voi sapranno,
il pericolo di incendio a causa delle perdite di olio è trascurabile,
fino a quando noi evitiamo che l’olio arrivi su oggetti che
possono fare da esca come vestiti, tovaglioli, pannolini ecc..
Comunque l’apparenza amatoriale e non professionale dei bicchieri
di plastica attaccati con pezzi di filo metallico sui nostri
serbatoi per intercettare le perdite ha un forte impatto psicologico
su alcune persone”. Dai documenti sopra richiamati sembrano
quindi emergere le seguenti circostanze: a) Le perdite di
oli minerali e delle altre sostanze miscelate, presenti fin
dal 1993, sono proseguite negli anni successivi. Anche l’interesse
per la soluzione del problema nel 1997 non sembra aver risolto
il problema, visto che il Responsabile della sicurezza, Ing.
Tartaglia, ancora nel 2000 cita il problema delle perdite
sul pavimento. b) Le perdite sembrano avvenire in molte aree
dell’apparato e coinvolgere molti serbatoi. c) A quanto scritto
nel terzo rapporto, datato 29 Agosto 1997, il rischio di incendio
è trascurabile solo per la buona volontà degli operatori che
devono mantenere l’olio lontano da vestiti e altro (c’è da
chiedersi al riguardo se l’apparato fosse sicuro intrinsecamente).
d) Appaiono quantomeno inusuali le procedure di verifica delle
perdite (che ne provocano altre) e le altrettanto artigianali
modalità di contenimento delle stesse. Per quanto riguarda
la pericolosità dell’olio minerale, al di là delle considerazioni
circa l’infiammabilità, ricordate nella ricordata relazione
dell’Ing. Tartaglia, va detto che le caratteristiche di questa
sostanza variano con il suo grado di raffinatezza. In ogni
caso, la scheda sull’olio minerale redatta dall’OSHA (Occupational
Safety & Health Administration dell’U.S. Department of Labor)
sostiene che la pericolosità può variare da prodotti riconosciuti
come cancerogeni fino a prodotti meno pericolosi. Va comunque
osservato come le perdite segnalate nei documenti citati riguardano
una miscela di olio minerale con TrimetilBenzene, sostanza
che, come si è già ricordato, presenta diversi effetti negativi
sulla salute. Le condizioni dell’apparato e le modalità di
conduzione delle operazioni, se le testimonianze contenute
nei documenti citati corrispondono a verità, non sembrano
escludere un contatto diretto tra operatori e sostanze, anche
attraverso l’emissione di vapori visto che la miscela sembra
poter permanere per molto tempo sull’apparato esposta all’aria.
Il trimetilbenzene evapora facilmente nell’aria ed il mezzo
di assorbimento della sostanza nell’organismo è solitamente
questo. Inoltre appare preoccupante il fatto che si siano
verificate predite per almeno 7 anni e che dette sostanze
possano essere arrivate fino al pavimento dei Laboratori (si
ricorda che lo sversamento di oli minerali può raggiungere
direttamente falde presenti a pochi metri di profondità).
Infine, documento redatto dal cosiddetto Site Manager dell’esperimento
BOREXINO e datato 10 Maggio 1999, contiene la segnalazione
di un incidente che sarebbe avvenuto nella cosiddetta “Hall
di Montaggio” esterna ai Laboratori. Si può leggere: “Un piccolo
incidente è occorso alcune settimane fa durante il carico
del PC (Pseudocumene, ndr); io non so esattamente come è andata,
ma, in ogni caso, i seguenti punti si rilevano rispetto a
questa esperienza: un responsabile per queste attività deve
essere eletto (disponibile 24 ore al giorno: noi stiamo avendo
a che fare con 7000 litri di un fluido infiammabile) …”. Venuto
in possesso di tali documenti il WWF Abruzzo nel gennaio del
2002 ha inoltrato due distinte lettere agli Enti competenti
(Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio, Ministro
dei Beni culturali Ministro dell’Interno, Ministro dell’Istruzione,
Università, Ricerca Scientifica, Ministro del Lavoro e politiche
sociali, Ministro della Salute, Prefetto di L’Aquila, Prefetto
di Pescara, Prefetto di Teramo, Presidente della Regione Abruzzo,
Assessore alla Protezione Civile della Regione Abruzzo, ANPA
- Agenzia Nazionale Protezione dell’Ambiente, ISS - Istituto
Superiore di Sanità ISPESL - Istituto Superiore per la Prevenzione
e la Sicurezza del Lavoro, ARTA - Agenzia Regionale Tutela
Ambiente) affinché: a) accertassero le modalità e l’entità
degli sversamenti ed il loro effetto sull’ambiente e sui lavoratori;
b) verificassero il rispetto delle procedure per la corretta
gestione di queste situazioni a rischio, nonché dei necessari
controlli (ambientali e sanitari) volti a monitorare le situazioni
di rischio per l’ambiente e per l’uomo. Non avendo ricevuta
risposta, nel febbraio dello stesso anno il WWF Italia ha
provveduto a presentare un esposto al Tribunale di Teramo.
Attualmente, a seguito di tale esposto, è stata aperta un’inchiesta
giudiziaria tutt’ora in corso.
Per
ulteriori informazioni contatti:
Dante
Caserta, Presidente WWF Abruzzo, Tel.085/4510236, email:dantecaserta@inwind.it
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