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Edizione Speciale -
LA
SETTIMANA SANTA A MURO LECCESE
a
cura di
Santo
Patella
Prefazione
di
Mons.
Luigi Montinaro
PREFAZIONE
Le
tradizioni sono come quei reperti archeologici che ci fanno
conoscere gli usi e costumi di una volta.
Le
tradizioni religiose sono un “ricordo” delle esperienze
religiose di una comunità.
C’è,
però, il pericolo di cadere nel folclore o nel folclorico, pericolo
reale quando si tratta dei misteri della Passione del Signore o
della religiosità popolare.
Santo
Patella ha fatto molto bene a darci la gioia di rivivere le nostre
tradizioni della Settimana Santa.
Gli
siamo riconoscenti per la completezza e competenza del descrivere
minutamente e, con precisione, i vari momenti della storia della
nostra salvezza.
Sta
a noi sfrondare quello che appesantisce e disturba la mentalità
corrente ed è anacronistico.
Sta
a noi far sì che queste tradizioni diventino testimonian-za di
fede.
Ve
lo augura chi ha vissuto, in prima persona, queste allora
meravigliose tradizioni.
Don
Luigi
INTRODUZIONE
Con
questo piccolo opuscolo non s’intende minimamente esaurire
l’argomento, ma dare solo un ampio ventaglio di come si svolgevano
e si svolgono i riti di questo particolare periodo dell’anno,
specie per la città di Muro.
Prendendo,
ad esempio, la sola processione del Venerdì Santo (giorno al quale
mi sento intimamente legato, non fosse altro perché ne porto il
nome, ereditato da mio nonno paterno, a sua volta antico retaggio
della devozione che per essa si teneva) possiamo asserire che essa
un tempo era grandiosa e purtroppo quella che con tanto fervore
religioso si svolge ancora oggi, non è che un pallido ricordo
dell’antica.
È
stata anche realizzata la commovente “Tragedia di Cristo”,
rappresentata già alla fine dell’800 e nel 1923 dalla
filodrammatica murese. È stata riproposta, poi, verso la metà
degli anni ’50 e nel ’95.
Per
concludere ho cercato di arricchire lo scritto, oltre alle notizie
storiche presenti, anche con curiosi aneddoti di vita paesana,
raccontatimi da anziani del paese e nella speranza di aver fatto
opera utile in merito, auguro buona lettura.
Ringrazio
con tutto il cuore Don Luigi per l’onore che mi ha fatto
nell’approvare questo lavoro con la sua prefazione.
Santo
Patella
LA DOMENICA DELLE PALME
Sin
dalla prima messa (Missa Prima) sul sagrato della
Parrocchiale, dedicata a Maria S.ma. Annunziata, gruppi di fedeli si
accalcavano con mazzi di palme ed ulivi, si trattava e si tratta di
un vero e proprio mercato di questi vegetali, che una volta
benedetti, dopo l’ultima messa, erano portati nelle case, nelle
campagne o nel posto che più si riteneva opportuno.
Questi
rami benedetti erano dai contadini ritenuti magici e capaci di
scacciare il male.
Oggi
un’usanza molto espressiva e divertente, specie per i fanciulli,
sono i Panareddhi realizzati con foglie di palma intrecciate
nelle più svariate e fantasiose forme, arricchite sovente con
dolciumi vari.
Intrecciando
foglie di palma si possono anche realizzare delle croci, le più
comuni sono di forma latina, ma ne realizzano anche di forma greca.
IL LUNEDÌ, MARTEDÌ E
MERCOLEDÌ SANTO
In
questi primi tre giorni si preparavano i Sepolcri (Sabburchi)
non solo
nelle chiese
e cappelle
di proprietà
della parrocchia, ma anche in quelle gentilizie. Non escludo che si
potesse fare a gara per realizzare il più bello e ricco. Oggi
questa tradizione non è più presente.
Nella
chiesa della Madonna Immacolata, ancora oggi, si realizza, sopra
l’unico altare, dall’omonima benemerita Confraternita, la
passione del Giovedì Santo, con manichini a misura d’uomo e con
una scenografia creata per l’occasione; si raffigurano, d’anno
in anno, alcuni momenti salienti degli ultimi giorni di vita di Gesù:
dall’entrata a Gerusalemme al Calvario.
IL
GIOVEDÌ SANTO
A
mezzogiorno si celebrava la messa “In Cœna Domini”,
(Per annunciare
le funzioni
invece
del campanello
si usava la Trozzula) durante la quale si benediceva
il pane ed il vino che venivano dati agli “Apostoli”. Questi
ultimi, di solito scelti tra i più poveri del paese, erano seduti
su dodici scanni, disposti a semicerchio, in mezzo alla navata
centrale. Dopo la messa si entrava in lutto stretto, si chiudeva
l’organo e si legavano le campane non più suonate sino al
“Resurrexit” (questa tradizione è in parte cambiata).
Dopo
la messa conservavano il calice con le ostie consacrate nel
sepolcro. Si trattava di una teca lignea dorata di stile rococò,
posta in cima ad una specie di piramide, ornata di ciotole
contenenti legumi o cereali fatti germogliare e crescere al buio,
arricchiti con fiori e spighe di grano.
La
sera si tornava nuovamente in chiesa per ascoltare la “predica
della Passione”, divisa in cinque parti.
Nella
prima il predicatore chiamava la “Croce” che veniva posta la
centro dell’altare, poi si faceva entrare la statua dell’“Ecce
Homo”, ma la parte più drammatica e attesa dai fedeli era
l’entrata della statua della Madonna Addolorata (Ndulurata)
al grido di “entra Maria in questa sera a vedere tuo figlio… (mi
è stato raccontato che alcuni goliardi irriverenti, continuassero
il verso ... con la camicia nera”).
Nell’ultima
parte il predicatore consegnava Cristo morto a Maria.
Quasi
puntualmente avveniva che l’oratorecercava di inserire la croce
tra le mani della statua e prontamente il parroco, temendo che tali
mani delicate si potessero rovinare, posava la croce ai piedi del
simulacro.
Nella
notte, quando tutte le campane tacevano in segno di lutto, per le
strade del paese si udivano tre squilli di tromba, intervallati da
rulli di tamburi, che rievocavano i lamenti strazianti ed i passi
della Madonna, in cerca del suo divino figlio.
IL
VENERDÌ SANTO
Al
mattino i fedeli si recavano nuovamente a messa e
si dava
inizio alla
“Liturgia della
Passione”, chiamata
Missa scerrata. Adesso si svolge di pomeriggio.
Terminate
le prime due letture ed il Passio, il celebrante, durante
l’adorazione della croce, partiva dalla sagrestia scalzo ed
attraverso la navata principale, si dirigeva verso il portone
d’ingresso, dove, avvolta da un panno viola, segno di lutto,
v’era la croce.
Il
sacerdote prendeva la croce mentre i chierichetti le due candele che
erano posizionate ai lati, e si dirigeva verso l’altare. Prima
d’arrivare, sostava tre volte (ricordando con ciò le cadute di
Cristo sul Golgota) e scopriva poco a poco il Crocefisso. Il coro
per tutta la cerimonia cantava, in segno di lutto, senza l’ausilio
dell’organo.
Arrivato
all’altare, deponeva la croce senza il panno viola, che veniva
baciata da tutti, e poi sistemata sull’altare.
Il
celebrante, dopo l’adorazione, si dirigeva verso l’urna e, preso
il calice, ritornava sull’altare, dove, nel frattempo, erano stati
riposti gli arredi sacri. Dopo il Padre Nostro ed il Prefazio
terminava la funzione distribuendo l’Eucaristia.
Verso
le dieci di mattina, dalla chiesa dell’Immacolata, iniziava la
processione dopo la gara d’offerta, per aggiudicarsi il diritto di
portare in spalla le statue.
La
processione, usciva dalla chiesa con le statue di Cristo morto,
dell’Addolorata e di Giovanni Apostolo, (in antichità vi erano
anche altre statue che si affiancavano alle odierne, ma non mi è
dato sapere quali esse erano. Unico aneddoto raccolto è che prima
che si realizzasse l’Ecce Homo locato nella chiesa del Crocefisso,
se ne commissionò un’altra del Cristo in piedi che trascinava la
croce, ma siccome non piacque si optò per l’attuale) poi
seguivano i bambini con in mano le statuette domestiche chiamate Santisceddhi
che rappresentavano per lo più degli Ecce Homo, (erano di
cartapesta, lignee o di pietra leccese, è quasi un secolo che non
si usano più) e ci si dirigeva verso la Matrice, si entrava dal
portone principale e si usciva da quello laterale, e attraverso le
stradine rurali, si raggiungeva la chiesetta del S.mo Crocefisso, un
tempo dedicata a San Giovanni Battista. All’interno della chiesa
vi è conservato il miracoloso Crocefisso del Boffelli. La
tradizione narra che Cristo, vista la sua somiglianza con la statua,
esclamasse all’artista, tramite il simulacro: “A ddhu scisti
me vidisti cà simmile simmile me facisti”.
Questa
volta si entrava dal bel portone laterale e si usciva dal più
sobrio portone principale, ci si dirigeva verso una seconda stradina
di campagna. Il parroco sostava per tre volte accanto a dei grandi
massi (chiamati Cascate), che simboleggiavano le cadute di Cristo.
Questi
massi non esistono più. In effetti, l’aspetto suggestivamente
voluto della chiesa posta sulla sommità brulla della collinetta
(scelta dai nostri avi a rappresentare un locale monte Calvario)
piena di rocce affioranti è stato profondamente mutato, con la
trasformazione del luogo in parco pubblico attrezzato.
Imboccata
la stradina si ritornava in piazza. E’ successo alcune volte che
lungo il tragitto alcuni bambini gettavano in una chisura,
chiamata Monicheddha (sita tra il Convento ed il Crocefisso),
alcune statuette dei Santisceddhi perché pesanti.
Le
statue grandi ritornavano nella chiesa dell’Immacolata dove si
teneva un breve sermone, poi si ritornava a casa e si digiunava.
Durante
questa processione si cantava l’inno “Stillatevi in pianto”,
che si canta ancora oggi.
Ne
esiste anche un altro molto antico chiamato “La Canzune de
Vennardia Santu”, forse l’equivalente del poemetto
scritto per celebrare la costruzione della chiesa dell’Immacolata.
Ne riportiamo il testo.
Ci
ole cu ssenta la storia ci dicu,
bbisogna
lla cuntempla cu cchiantu.
Ci
vistu nu nn’àe lu paradisu,
vegna
a Muru lu Vennardìa Santu.
Vìdune
Cristu su nna sbara
stisu,
ci
nunn’è ommu, nnu sse
smove a cchiantu.
A
lla Cungregazzione se fae lu ntricu,
addhai
se unisce quiddha purgissione.
Esse
Matre Maria der Paradisu,
cu
nna lancia trafitta a llu core.
Tanti
nnucenti d’àngeli vistiti,
cu
lli fragelli de nostro signore.
E
lli vattenti cu ffiere farite,
spàrgune
sangu pe lla soa passione.
Mo
ne nne sciamu a lli Duminicani:
tanta
era la ggente ca nun cì capia,
de
intra e ffore chinu de cristiani:
d’ogni
ommu lu sou fallu se chiangìa.
Mo
ne nne sciamu a quiddhu Curgifissu,
le
trascìne de sangu cchiamu a lla via.
Addhài
lu cchiamme scunzulatu e frittu,
postu
ncroce cu ttanta tirannia.
Scìane
cantannu lo sou Stabba Matre,
cu
quiddha piatusissima Maria.
Cusì
cumanna lu sou ternu Patre,
morte
e passione a llu sou fiju ulìa.
Mo
ne nne sciamu a quiddhu Santu Lasi;
Postu
a Ccarvariu cu ttante farite,
cu
ttanti straggi e mmàrtiri ci l’iti datu,
ca
fenu lu custatu pertu l’iti!
A
mmenzu chiazza se cercava pietate,
nemmeno
la purgissione cci capìa.
Puggiara
Gesù Cristu cu ssoa Matre.
D’ogni
àngiulu lu iersu sou dicìa,
sant’Angiolu
s’ìa postu pe ucatu,
la
parte de lu populu facìa :
«Satana,
nu scire tantannu le persone,
cu
nu llassi ddifriddire la diuzzione!».
Lu
predicature ca stia predicannu,
de
cci mmanera stia appassiunatu!
Nu
pputìa cchiùi pronunciare le parole,
le
làgrame lu core l’ìane ccupatu.
Li
parse beddha ssai la purgissione
e
se nne scìu bben cunzulatu.
E
Muru ci se vanta nc’è raggione:
a
nuddu logu cussì la purgissiune!
Questo
testo menziona anche i Vattenti. Erano di solito giovani
incappucciati che si percuotevano la schiena con una frusta a più
corde, alle cui estremità v’erano delle stelle appuntite di
metallo. Era un onore partecipare, chi non sosteneva questa sorta di
prova non era degno nemmeno di sposarsi.
Essi
erano anche effigiati, oltre al resto della grandiosa processione,
in una tela di Federico Pesino, della fine dell’ottocento, opera
esistente in una casa privata murese. La processione era stata
raffigurata mentre si dirigeva dal convento di S. Spirito dei
domenicani alla collinetta del Crocefisso. Quest’unico documento
visivo della processione, purtroppo danneggiato da un incendio, è
andato perso irrimediabilmente.
Nel
pomeriggio la gente ritornava nella parrocchiale per leggere i
Vespri ed ascoltare la predica della “Desolata”.
Dietro
l’altare maggiore veniva e viene calato un panno dipinto
raffigurante la crocifissione, grande quasi la larghezza e
l’altezza della navata centrale.
Sul
tabernacolo era posta una croce lignea con un sudario bianco sui
bracci, ai piedi dell’altare venivano posti otto conci di pietra
leccese scavati a gradini sui quali si posizionavano delle candele
che formavano il termine DESOLATA. Questa tradizione è in via di
scomparsa.
Il
sermone era diviso in sette parti sul tema: “La Madonna ai piedi
della Croce”. Nella parte prima, l’oratore saliva a predicare
sul pulpito, nella seconda, con un gesto invitava San Giovanni ad
entrare: la statua portata in spalla percorreva la principale navata
e veniva posizionata a sinistra della croce; allo stesso modo, nella
parte sesta chiamava la Madonna, accompagnata da donne vestite di
nero, piangenti, che veniva posta a destra della croce. Gesù morto
era posto ai piedi dell’altare nella parte quarta.
La
parte settima, col lamento di “Desolata Maria”, era la più
commovente. Finito ciò si riportavano le statue nella chiesa
dell’Immacolata, ed i fedeli ritornavano a casa.
IL
SABATO SANTO
Verso
mezzogiorno si celebrava la messa della “Resurrezione”.
Adesso si
celebra di sera.
Si disfaceva il sepolcro ed i fiori ancora freschi venivano
adoperati per ornare l’altare maggiore. Durante la messa si
benediceva l’Acqua Santa Nova, che era posta in un gran
bacile. Chi veniva battezzato in quel giorno era ritenuto
privilegiato.
La
gente portava a casa parte di quell’acqua miracolosa per gli usi
religiosi domestici, anzi molta era anche bevuta in quel giorno
(oggi non è più possibile).
Al
“Resurrexit”, si suonavano le campane, si battevano le porte, le
imposte, le spalliere dei letti ecc.
Altra
tradizione in questo giorno è la Cuddhura, una ciambella di pane
con al centro un uovo sodo. C’è un canto popolare al proposito:
Sabbatu
Santu currennu currennu
le
caruse vannu chiangennu,
vannu
chiangennu cu tuttu lu core
Sabbatu
Santu cuddhure cu l’ove.
LA
DOMENICA DI PASQUA
In
questo giorno non si doveva lavorare assolutamente, ed
in chiesa
si potevano
portare finanche gli animali,
oggi non più.
Chi poteva, cucinava per primo le Sagne o Ricchiteddhe e
Minchiareddhi cullu sugu, per secondo Cicureddhe cù a carne de
porcu e per dolce u Pecureddhu da pasta de Mengula.
PASCAREDDHA
O
LUNEDÌ
DI PASQUETTA
In
questo giorno si andava nelle proprie campagne, e si mangiava in
compagnia con amici
e parenti. Si consumavano gli avanzi del giorno prima e uova sode.
Molti andavano sul Crocefisso.
GIOVEDÌ
DI SANTA
MARIA DI MISCIANU
A
Muro si festeggia, nel pomeriggio, (a pochi chilometri
dal paese,
verso Scorrano) in
una cappella
d’origine Bizantina, questa Madonna.
Dai
muresi è ritenuta quasi una seconda Pascareddha. Giungono
anche dai paesi limitrofi.
Non
sono mancati, in antichità, anche episodi incresciosi di
campanilismo paesano e di liti sul possesso della cappella; in
effetti, è convinzione oramai infondata che se la città di Muro,
per un anno, non riuscisse ad organizzare questa festicciola, la
città ti Scorrano, o di Sanarica, potrebbe reclamarne il possesso.
F
I N E
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