Rick era rimasto tutto il tempo in corridoio,
cercando di non dare nell’occhio alle infermiere che passavano tra un
reparto all’altro dell’ospedale. Fingeva di aspettare qualcuno e ogni
tanto dava un’occhiata dalla finestra dell’ala del reparto. Era da molto
tempo che Nathan era entrato nello studio del dottor Scott e non era
ancora uscito.
La
sua ansia continuava a salire ad ogni minuto che passava.
- Sono davvero felice che tu sia tornato da me. – si
lasciò sfuggire Gregory, mentre osservava Nathan.
Il ragazzo lo ringraziò, imbarazzato, ammettendo di
aver deciso di tornare perché provava fiducia in lui e non voleva
permettere a questa malattia di impedirgli di vivere. Mentre pronunciava
quelle parole, si sentiva incredibilmente più forte di quando aveva
avuto la diagnosi delle sue analisi.
- Come ti ho già spiegato, la situazione non è
affatto critica. Il tumore che è stato diagnosticato è resecabile. Mi
spiego meglio: se noi interveniamo direttamente ed in breve tempo,
possiamo asportarlo chirurgicamente, prima che continui con la sua
crescita infiltrante. -
- Dottore, la prego, cerchi di essere del tutto
onesto con me. Sto mettendo nelle sue mani la mia vita e … voglio sapere
quante possibilità ho di poter superare questo intervento e di poter…
guarire. – ammise, mentre stringeva, involontariamente, le sue mani
contro i braccioli della sedia sulla quale era seduto.
- Non posso essere del tutto certo, ma dalle prime
analisi che abbiamo fatto, il tumore è ancora allo stadio iniziale. La
zona colpita è limitata e potrebbe essere rimosso radicalmente. Ma
questo non posso assicurartelo prima dell’operazione. -
Nathan annuì.
- D’accordo. Allora, mi prenoti per gli ultimi esami
che devo fare… e poi mi ricovererò .-
Gregory annuì, compiaciuto.
- A New York opera un mio collega. Brian Trevis. E’
un chirurgo molto valido e mi sono permesso di chiamarlo prima del tuo
arrivo. E’ disposto ad operarti anche alla fine della prossima
settimana. Se tu mi dai il tuo consenso, inizio a compilare le solite
pratiche burocratiche.-
Nathan inspirò profondamente.
- D’accordo, iniziamo subito. -
Rachel fissò con aria sorpresa il foglio che Jack
Sander le aveva fatto scivolare sulla scrivania, mentre l’uomo chiudeva
delicatamente la sua penna stilografica che aveva appena usato.
La ragazza afferrò il foglio e lesse.
- Cosa sono? – chiese, ingenuamente.
- Ventimila dollari. Non vedi?-
Lei annuì, senza capire a cosa si riferisse quella
cifra che il presidente della “Free Face” aveva appena scritto.
- Il tuo provino dell’altro giorno è piaciuto molto.
Ne ho parlato con alcuni colleghi, e crediamo che tu abbia le qualità
per poter essere la nostra ragazza immagine per almeno un mese.-
Rachel lo guardò, senza ancora essere del tutto
convinta di aver davvero compreso la situazione.
- Mi sta già dando il compenso?- chiese, ironica.
Lui rise, divertito, posando i gomiti sul tavolo e
chiudendo le mani a pugno, sotto il mento.
- E’ un offerta. Se tu ci dai il consenso, noi
prepariamo il contratto e tu sei a tutti effetti una ragazza della Free
Face. Abbiamo in mente alcuni progetti per te.
La ragazza lo fissò, poco convinta delle sue parole.
Rick si allontanò in fondo al corridoio, non appena
vide lo studio del dottor Scott aprirsi.
Uscì Nathan, con aria decisamente più rilassata da
quella che aveva avuto la sfortuna di vedere qualche giorno prima quando
era andato a casa sua. Le parole del ragazzo gli risuonavano nella mente
come rasoiate nelle carne viva.
Ma i suoi pensieri vennero spazzati via, quando
assistette ad una scena che lo lascio senza parole.
Nathan aveva appena stretto la mano all’uomo e fatto
qualche passo nella direzione opposta a quella in cui si trovava lui,
osservatore non visto, quando si volto e, inaspettatamente , abbracciò
il medico con trasporto.
L’uomo sorrise e ricambiò l’abbraccio, sorridendogli.
Nathan non volle vedere altro.
Si voltò e scese rapidamente le scale.
L’ipotesi che aveva pronosticato insieme a Thomas,
come ultima delle possibili, stava diventando, involontariamente, la più
probabile.
CHICAGO
Non appena Alicia
Witt svoltò l’angolo della via e si trovò di fronte al cancello di casa
sua, comprese che doveva essere successo qualcosa di veramente grave.
Alcuni poliziotti erano nel suo giardino, alcuni alla ricerca di
qualcosa che non poteva sapere, altri al telefono con qualcuno. I vicini
erano tutti incuriositi dalla situazione, fissando, avidi, quello che
stava accadendo in quella piccola villetta.
-
Signorina, non può passare.- le disse, distrattamente un agente, senza
nemmeno guardarla in viso.
Lei, furiosa, lo spinse via, mentre il suo zaino con il quale era appena
tornata dal liceo, scivolava a terra.
-
Ehi, si fermi! Non può entrare!-
Alicia si voltò, con gli occhi sbarrati dalla rabbia.
-
Cazzo, è casa mia!-
L’uomo si fermò di scatto, imbarazzato, mentre il poliziotto che cercava
“quel qualcosa” intorno alla casa, si avvicinò alla ragazza, spegnendo
la sigaretta a terra.
-
Ciao… Sei Alicia?- chiese, tranquillamente, posandole delicatamente le
sue mani intorno al viso.
Lei annuì, spaventata da quello che stava succedendo intorno a lei.
-
Alicia, sai dirmi dove si trova tua madre? -
Lei sbarrò gli occhi, shockata dalle parole dell’uomo.
-
Cosa vuol dire se so dove si trova mia madre… Che cosa… Io… Sono tornata
ora da scuola. Dove è mia madre… Mamma!- gridò confusa, cercando di
superare l’agente.
Ma
l’uomo la fermò, impedendole di entrare.
-
Cosa sta succedendo!? Dove è mia madre! E che ci fate voi in casa
nostra?! – si lamentava, in lacrime.
-
Ora calmati, ti spiegheremo tutto… Calmati…- disse, mentre lei posava il
suo viso bagnato dalle lacrime contro il petto dell’agente.
Singhiozzando senza sosta.
FINE NONA PUNTATA