Il gioco del silenzio è la prima delle tre opere che compongono la trilogia Quand'ero piccolino.

Il gioco del silenzio racconta la crescita interiore attraverso l'amicizia, l'amore ed il dolore in una tempesta di passioni: è il percorso ideale di chi vorrebbe sentirsi vivo, che il lettore segue rapito con un po' di invidia per i personaggi.

Nell'introduzione di questo romanzo sembra che la parola "silenzio" sia la metafora di un discorso ultimativo. Tuttavia sappiamo che quest'opera (discorso) non conclude: a compensare ci pensano le prime tre parole della stessa introduzione, "Quand'ero piccolino", che preludono al ciclo e riecheggeranno in altre pagine.

In totale "silenzio" compare solo dieci volte, una per capitolo (comprese le due appendici), più quella menzionata nell'incipit. Vediamo nell'ordine gli altri significati: ipocrisia mascherata da un gioco; timoroso imbarazzo; misera solitudine dell'uomo senza cultura; sofferta accettazione del proprio destino; vuoto per un amore terminato e forse mai cominciato; trionfo della passione; estraniazione e distacco; vagito finale; somma di tutti i significati. La connotazione negativa del silenzio è presente anche in tutti gli altri usi, tranne che in quello del sesto capitolo.
Paradossalmente il sesto capitolo è proprio il più drammatico, mentre negli altri un clima costante di ironia e di dialogo con il lettore riesce a regalare un sorriso anche in episodi indubbiamente tristi.

La trama, infatti, parla di un ragazzo che ama, ma non ha rapporti e di un ragazzo che ha rapporti sessuali, ma non ama. Due storie che scorrono a volte parallele, a volte interdipendenti, che a volte quasi si fondono l'una nell'altra. L'espediente narrativo stesso è fortemente ambiguo: il narratore protagonista in realtà subisce il protagonismo psicologico dell'altro, con la sola eccezione della gita allo stadio (Cap. 5.2) dove si invertono i ruoli. E (guarda caso) proprio in questo scenario una donna, terzo personaggio importante, entra prepotentemente.

Il capitolo 6 potrebbe chiudere il libro: poi il settimo fa da secondo finale e la prima appendice da terzo. E tutti aggiungono qualcosa e completano a turno il ritratto di uno dei tre attori, anche a sorpresa con un epiteto lanciato di passaggio, inatteso, come "Il personaggio del nostro scaglione" (App. A.2) che non viene posto in alcun risalto.
L'appendice B, infine, con un'originale e poco canonica serie di citazioni pertinenti con il vissuto del secondo ragazzo, (3+1, come i tre finali più la "bibliografia") sancisce definitivamente il suo primato consacrandolo come il signore del silenzio.

Chiediamoci come mai non ci siano nove capitoli, ma sette e due appendici. Bene, perché J. Parva - nome del narratore che coincide con lo pseudonimo dell'autore - fa finta di non aver scritto il Diario (di cui con grande umorismo riporta note siglate "n.d.r.") e sicuramente non ha scritto la Bibliografia.
Questa corrispondenza di nomi, fortemente contrapposta alla mancanza del nome del protagonista in A pranzo con Dio (il secondo romanzo della trilogia), lungi dall'essere considerata come prova di un'ispirazione autobiografica delle vicende, può essere letta come preferenza data dall'autore al primo gruppo di stile, tema e destinatario fra i due contrapposti che caratterizzano rispettivamente le prime due opere del ciclo.

Il gioco del silenzio quindi ci insegna a saltare le convenzioni che in amore e più in generale nella vita, possono far perdere al singolo quei sapori che completano e maturano un essere umano. Il tutto senza mai prendersi troppo sul serio...



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