A risolverli ci aiuta lo sguardo. Cominciamo, infatti, con l'indice: due parti
di cinque capitoli ciascuna, divisi rispettivamente in 3, 2, 3, 2 e 3 sezioni i
primi cinque e 3, 2, 3, 2 e 3 sezioni quelli del secondo gruppo.
Non stiamo a contare quanto fa la somma, perché se l'onomanzia è
obnubilamento per l'autore (Cap. 6.2), altrettanto immaginiamo sia la
numerologia. Quello che voleva cercare era la simmetria; ed infatti tutto
quello che accade nella prima parte (un pranzo, una passione amorosa, un
morto...) accade anche nella seconda, con una piccola differenza: nella prima
parte (Sito attivo) il protagonista è parte attiva, nella seconda
subisce gli eventi (da cui il nome Substrato che è il recettore
enzimatico del sito attivo, appunto). A sostegno di questa
"azzardata" interpretazione biologica c'è forse l'episodio
chiave del libro: in 4.2 il protagonista spacca una finestra, in 9.1 spaccano
la sua finestra. Perché chiave? Semplice, perché sfondando quel
vetro canta mentalmente il ritornello di Singin' in the rain, citazione
esplicita di Alex mentre stupra e danneggia in Arancia Meccanica (regia di
Stanley Kubrick, 1971). E come quel film fu accusato di essere indulgente nei
confronti della violenza, così J. Parva si aspetta di essere criticato
per aver cercato di spiegare cosa c'è dietro la violenza. Ma Arancia
Meccanica si proponeva di mostrare come non si possa curare la violenza con la
violenza ed altrettanto la disgregazione morale e fisica del protagonista ci
spiega che la sua medicina è la peggiore (2.2)!
Il romanzo è stato concepito per essere contemporaneamente attuale ed
universale, reale ed irrealistico: un equilibrio, una "simmetria",
che si raggiunge solo pagando il prezzo di relegare questo lavoro non nella
categoria della divulgazione di intrattenimento, ma tra le opere difficili.
Altrimenti l'autore si sarebbe preoccupato di tagliare documenti reali come gli
atti del Concistoro straordinario del 2001 o della seduta parlamentare del 23
luglio 2001 tenuta in seguito ai tragici fatti di Genova (uno per parte). Sono
la testimonianza di un periodo molto particolare della storia d'Italia e del
mondo, ma che ha avuto numerose repliche in passato e potrebbe averne ancora.
Incastrare una vicenda inventata in una storia vera ha due precedenti illustri
nella storia del cinema: Forrest Gump con la scena di Kennedy ed il Padrino III
con (guarda caso) il complotto contro il papa. Il ricorso al cinema è
tremendamente esplicito (due film citati nel libro, soluzione narrative
ereditate dagli script cinematografici e persino due montaggi alternati -
ovviamente uno per parte - il secondo dei quali è una gustosa
filastrocca che riprende il titolo del ciclo Quand'ero piccolino).
Tuttavia le modalità dei colpi di scena e le introspezioni continue
rendono quest'opera non esportabile sul grande schermo.
Rispetto al primo libro del ciclo, Il gioco del silenzio, molto più gioviale, meno ricercato e con un numero maggiore di spunti, in A pranzo con Dio l'idea fondamentale è unitaria ed attorno ad essa ruota tutto l'impianto, con un uso estremo dei richiami esterni (con il primo romanzo) e soprattutto interni sino all'evidente "L'esordio non fu dei migliori: era sbarrata da un massiccio lucchetto di ferro" (4.2) e "L'esordio non fu dei migliori: era sbarrato da una massiccia blinda" (6.3). È il dramma dei muri fisici e psicologici, dell'incomunicabilità che accompagna uno spirito libero e "buono" fuori dal mondo cattivo, che sembra dei buoni e lo ha reso cattivo, sino al controverso finale che non ha una collocazione cronologica precisa a causa dell'interiorizzazione della dimensione temporale.
In conclusione: la violenza va condannata e combattuta; ma prima di usare la forza e le discriminazioni frutto di errate generalizzazioni, si deve capire e non si deve mai dimenticare che anche il più barbaro degli attentati ha una motivazione dietro, folle quanto si vuole, ma costruita attraverso un percorso razionale. La letteratura mostra i lati oscuri delle nostre reazioni.