Sentiero Corrado dei Bastiani - 10 aprile 2005

Parco delle Dolomiti Bellunesi
Carta Tabacco n. 23
Guida consultata: “Guida al Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi” di Teddy Soppesa, Moranti editore, c1998
Partenza: Capitello di sant’Agapito (m 550 circa) ore 10.00
Ritorno: ore 17.00


Il sentiero Corrado De Bastiani “è un itinerario ad anello che consente di visitare uno degli angoli meno noti delle Alpi feltrine…La zona è particolarmente significativa per la valenza faunistica, ricca di caprioli e di camosci…Suggestive le fioriture tardo primaverili del narciso sulle pendici del Monte Palmàr.” (Teddy Soppesa, vedi guida citata sopra).
La guida dice di lasciare la macchina nella piazza Mercato di Cesiomaggiore; noi risaliamo con la macchina fino al capitello di Sant’Agapito, tanto per guadagnare qualche metro di salita vista l’ora un po’ tarda. Sono già le dieci, e viste le condizioni atmosferiche poco propizie, è meglio sbrigarsi. Lasciata la macchina, zaino in spalla e prendiamo la strada che sale, non ci si può sbagliare perché è tutto segnato. Passiamo davanti ad una serie di casette in stile tipico della zona: case che si affacciano a valle, con balconi di legno, parte restaurate, e con bellissimi giardini, frutto di mani sapienti, di gente anziana che passa il tempo tra i lavori dell’orto.
Il cielo è coperto, le previsioni lo chiamavano il brutto tempo (mai fidarsi troppo delle previsioni, si rischia di mangiarsi le mani per una giornata di sole imprevisto). Dicevo, il cielo è coperto, ma la voglia di andare è tanta; noi partiamo; lui, il tempo, si faccia i suoi conti da sé.
Il sentiero sale ripido e s’inoltra nel bosco. Il bosco è in piena fioritura: un tappeto di edere puntellato da primule gialle e viole, che poi sono i fiori i cui colori sono stati presi dal Parco come segna-sentiero. (Se prendete questo sentiero non aspettatevi il segno bianco e rosso del CAI, è un sentiero del Parco, e quindi è contrassegnato in viola e giallo). Il bosco ci rapisce, l’aria è frizzante e fa da sottofondo un canto di uccelli. Il sentiero percorre un profondo canalone, chiamato Boràl de le Musse.

Ah, dimenticavo di dire chi sono i componenti del gruppo: Io, Roberta, e Petra, il mio cane tutto nero con un orecchio alto e uno basso, un incrocio di pastore belga; Ezio di Sedico, esperto conoscitore del posto e ottimo compagno di camminate e chiacchierate, e Lucia di Mestre, ama soprattutto lo sci escursionismo, ma quando manca la neve si concede qualche camminata.
Petra, come sempre, corre avanti e indietro, annusa gli odori del suo mondo olfattivo che noi nemmeno immaginiamo, e si accerta che ci siamo tutti, che nessuno rimanga indietro.

Il sentiero comincia a farsi meno ripido, e dopo un’ora si esce dal bosco sui prati di Pra Montagna (1017 m). Nel prato c’è una bella casera con due vecchi alberi di noce che le fanno da guardiani; un valligiano sta vangando l’orto, pianta le verze per l’estate. La casera è privata, peccato, perché è bella, restaurata ma quanto basta.
Il cielo sembra caricarsi, la sensazione è che tra breve dovremo fare marcia indietro, ma per il momento continuiamo, se piove piove e pazienza, vorrà dire che torneremo indietro, ma scoraggiarsi prima del tempo non vale proprio la pena! Dalla casera si prosegue sul crinale del Monte Palmàr e si arriva ad un crocifisso, proprio sulla cresta del Sass da Porta.
Inizia a nevicare, ed è una bella sensazione. La stagione è matta, può fare un caldo estivo e puoi ritrovarti in mezzo a una bufera di neve. Per questo è sempre meglio mettere in zaino un berretto in più che uno in meno… La neve crea una specie di mantello che ci isola sempre più dalla valle, è una neve lenta, silenziosa, che ci avvolge e ci invita a continuare. Dal crocifisso si vede il Monte Tre Pietre, e da qui il sentiero inizia a scendere verso la nostra mèta: il Rifugio Casera Bosc dei Boi.
Vedo che gli altri imboccano il sentiero che scende; dentro di me sono felicissima, perché ho tutte le intenzioni di farlo tutto questo giro, e con l’anello! Caspita, però, come scende questo sentiero; ci sono foglie e neve fradicia, è ripido e anche pericoloso a tratti, perché se si scivola non so dove ci si ferma…A quanto pare, comunque, l’unica spaventata sono io, perché Ezio procede con il suo passo sicuro da montanaro, Lucia è tranquilla e concentrata, non dà segni di paura, Petra ha quattro zampe e se la cava meglio di tutti…
Ci sono dei tratti parecchio esposti, Ezio mi aspetta sempre e mi allunga la mano quando mi vede in difficoltà: “Quel piede appoggialo là, con la mano ti tieni alla radice. La vedi questa? Questa sì che tiene…”. Di Ezio mi fido completamente; mi infonde un senso di calma e sicurezza. Ascolto i suoi consigli e proseguo, mi basta solo di non dover rifare lo stesso sentiero al ritorno, altrimenti chiamo l’elicottero!
Ad un certo punto, ciliegina sulla torta, si presentano pure due ponti di legno, ma non ponti con quelle belle tavole larghe, non no, ponti come scale a pioli. Io ho un po’ paura, mi tengo stretta alla corda e proseguo, ma Petra…I pioli distano l’uno dall’altro almeno 30 cm e lei poverina sotto si vede il vuoto; Ezio torna indietro per darle una mano, ma bisogna che si convinca lei, altrimenti non c’è verso. Petra mette una zampa tremolante sul primo piolo, si blocca un attimo e poi mette l’altra; comincia a capire il meccanismo, e una zampa dopo l’altra prosegue. Mi fa tenerezza, si vede che si fida completamente di noi, e vuole seguirci ad ogni costo. Pensare che appena l’ho presa era così paurosa, e ora guarda che imprese si ritrova a fare anche lei!
Alla fine riesce a percorrere tutto il ponte, e appena riesce a poggiare tutte le quattro zampe su un terreno sicuro, mi fa mille feste, e io mi complimento e le arruffo un po’ il pelo. Ora il sentiero si fa nuovamente tranquillo, e dopo poco vediamo spuntare il tetto del rifugio Bosc de Boi. Che bellezza…
La neve continua a scendere, ma a questo punto noi siamo arrivati. Siamo felicissimi, ora non ci resta che accendere il fuoco e mettere qualcosa sotto i denti per recuperare un po’ di energie. La casera è molto accogliente: un caminetto, un tavolo con delle sedie e al piano di sopra 12 posti letto, ottimo per bivaccare. Ezio trova della diavolina e accende il fuoco. Petra ha fame, si mangia un intero pacchetto di grissini, poi le allungo qualche pezzo di grana, anche lei ha fatto la sua parte e ha speso non poche energie!
Lucia prende nota accuratamente in vista di una prossima bivaccata. Mangiamo, chiacchieriamo, ci riposiamo un po’, saremmo quasi tentati di rimanere, ma cominciano ad essere le due passate, e fuori continua a nevicare. Non ci resta che caricarci nuovamente zaino in spalla e scendere, ma bisogna decidere se rifare lo stesso sentiero dell’andata (a me viene male al solo pensiero), oppure rischiare e proseguire il giro ad anello, anche se riporto le parole della guida: “si scende lungo l’erto sentiero, prestando la massima attenzione nel superare alcuni gradini di roccia. La discesa richiede un certo impegno…”. Non sono parole molto rassicuranti, speriamo bene!
In effetti il sentiero del ritorno è “erto” ma meno pericoloso di quello dell’andata. Basta fare attenzione a dove si mettono i piedi e si scende abbastanza tranquillamente. C’è qualche punto un po’ esposto, e poi di nuovo un ponte di legno a pioli . In un tratto c’è un cordino, ma si passa abbastanza tranquillamente.
Finchè arriviamo al punto forse più brutto di tutto il sentiero: un ripido attraversamento di fango puro con cordino, 10 metri circa, ma se non fosse per Ezio che anche questa volta è presente e mi tende la mano, non so se ce l’avrei fatta. Grazie Ezio! Bene, ora il peggio sembra fatto. C’è ancora qualche tratto un po’ esposto; si passa una gola di roccia e poi il sentiero ricomincia a salire per un tratto. Siamo tutti un po’ stanchi, ma proseguiamo già gratificati e contenti per l’escursione ricca di imprevisti ma ripagante per tutto il resto. Infine…spunta un altro tetto, quello della chiesetta di Sant’Agapito. A questo punto ci sentiamo ormai alla conclusione del giro, e il retro della chiesetta ci riserva una bella sorpresa; dentro un’anta ci sono lattine di ogni genere, birre in bottiglia e anche una bottiglia di grappa alla prugna! Io non resisto, una birra me la sono meritata, e così la stappo, e mentre ci riposiamo prima di percorrere l’ultimo tratto di sentiero fino alla macchina, ci rilassiamo. Sul muro della chiesa leggiamo una frase che ci colpisce: “non c'è cammino troppo lungo per chi cammina lentamente e senza sforzo “.
Che dire? Una giornata piena e bella, con dei compagni ideali! Siamo stanchi e felici, uniti dalle fatiche e dalle sensazioni vissute, dalle chiacchierate e dai silenzi. Siamo stati via solo poche ore, eppure è uno di quei momenti in cui si vive ogni istante con un’intensità tale che sembra di essere stati via un sacco di tempo. Petra si è già infilata nel bagagliaio della macchina, Lucia non resiste e scende al torrente per immergere i piedi, io approfitto per cercare alcuni sassi di torrente da mettere in giardino ma non trovo nulla di interessante, Ezio aspetta pazientemente alla macchina. Prima di salutarci e avviarci verso la strada del ritorno andiamo a bere qualcosa al baretto del paese; l’unica che si beve la birra sono io, e fanno due, ma è sempre la conclusione migliore per una giornata in montagna. E che giornata

(Roberta)

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