Alle 5,40 il sole spunta appena a destra della Civetta: è il primo protagonista, il più atteso in quel momento, a presentarsi sul palcoscenico del Rosetta.
A quell’ora l’anfiteatro naturale a due passi dal Rifugio era già pieno di gente. Chi ha dormito lì (sotto le stelle, in tenda o in Rifugio), chi invece è salito a piedi durante la notte. I più erano appena arrivati comodamente in funivia. Tutti indistintamente aspettavano che quel raggio di sole arrivasse a scaldare e ad illuminare la scena. Lo spettacolo era già cominciato da un’oretta, con largo anticipo sull’orario impresso nelle locandine. I colori dell’aurora hanno lentamente colorato il buio e i contorni dell’immenso panorama di cime ad est.
Un’alba particolarmente fortunata: non una nuvola in cielo e un bel venticello che aiuta a mantenere l’aria ancora più tersa.
Quando Francesca Breschi, accompagnata da Mario Brunello al violoncello, rompe il silenzio e dà il via ai “Suoni dell’Alba” viene quasi un sobbalzo, ci si sente impreparati, la paura che si rompa l’incantesimo dell’alba. Ma alla musica seguono le parole di Buzzati, lette da Marco Paolini (“questa è una delle cose più belle” scrive Buzzati mentre racconta i colori delle dolomiti), e alle parole si
alterna la tromba di Paolo Fresu. L’incantesimo non è spezzato, le parole e la musica si inseriscono alla perfezione nel silenzio di quest’alba. E quando dalle Valle delle Comelle risale l’eco della tromba comincia un duetto unico. E forse irripetibile.
I colori dell’alba, come tutte le mattine, svaniscono. Anche i suoni e le parole vengono riposti. Lo spettacolo è finito.
Mi è stato chiesto dello spettacolo di Paolini: com’era? È stato bravo?
Paolini chi, - mi è venuto da rispondere – quello che ha fatto la comparsa allo spettacolo dell’Alba? Un bravissimo attore, come sempre. Ti prende e ti trascina dentro a ciò che sta leggendo, recitando, ricordando. Ma questa volta sceneggiatura, palcoscenico e fondali erano altro. Erano i protagonisti. E attore e musicisti delle ottime comparse.