Doveva essere scritta a penna sul quaderno, questa relazione, assieme a qualche mio disegnetto infantile della casera de la Cazeta, tralasciata dagli uomini e dalle mucche sotto la forcella della cazeta. Forcella non è il termine esatto: è quasi una cima, uno spallone erboso nascosto tra gli alberi al quale si arriva dalla casera che avevo poco prima tentato di disegnare. Della casera impressiona la bella fontana di pietra dalla quale esce ancora tanta acqua e richiama scene di caccia ed inseguimenti di camosci per pendii impossibili e poi schioppettate, imprecazioni, dita aggrappate alle erbe, fuochi notturni, silenzi lunghissimi, grida improvvise, formaggi, lame, mani sporche di terra e sangue. E ancora, soprattutto, percorsi impossibili per tracce di sentiero, per margini rocciosi. Ci affacciamo alla forcella e vediamo la via di discesa: millecento metri di verde fin giù in basso. L’erba è morbida, un grillo salta sulla relazione e dice: preparatevi a correre leggeri sull’erba, per non scivolare. Nel grande canalone erboso che scende alla Costa dei Nass distinguiamo la grande cima della Talvena mentre una camoscio sparisce poco sotto di noi per infilarsi una grande grotta. Il silenzio è più comodo di una poltrona e vorrei fermarmi ad ascoltare per vedere se il camoscio verrà fuori. Dietro lo spigolo, sopra la grotta, si vedono le forme di possibili passaggi. L’acqua della fontana della Cazeta parla ancora di animali, tracce, notti, sparatorie e albe e dei labirinti tracciati in queste montagne da uomini e animali. Sull’erba c’è il coltello di un cacciatore. Ci fermiamo ad una barriera di alberi e la strada è persa.
Siamo nel labirinto degli uomi e dei camosci. Dobbiamo dar retta all’acqua della Cazeta e al grillo. E saltare fino al nostro parcheggio.