Val Clusa - 7 maggio 2005

“Meravigliosa ascesa dalle viscere della Val Clusa ai pascoli del Moschesin”. Queste parole mi colpiscono sfogliando il libro di Gianpaolo Sani e Franco Bristot “Schiara Tamer Spiz di Mezzodì”.

L'imbocco della Val ClusaE’ maggio, c’è voglia di estate, ma il limite della neve, a nord, è ancora intorno ai 1800. Quale dunque il momento migliore per un’escursione che non tocchi quote troppo elevate e che permetta di partire dai 480 metri de La Muda che con il caldo estivo sono di per sè scoraggianti?
Messa a punto l’idea si decide di scoprire la Val Clusa. Le previsioni meteo suggeriscono però un cambio rispetto al programma iniziale: meglio salire subito verso la forcella Pongol e proseguire per cenge e creste finchè il cielo è sereno e scendere poi attraverso la Val Clusa. Un dubbio ci viene sul posto vedendo il cartello con l’ordinanza sindacale che dichiara chiuso il sentiero della valle a causa di una frana che lo rende pericoloso in un tratto subito dopo l’imbocco. Sarebbe più saggio avviarci dunque in questa direzione per capire la gravità dell’interruzione ma l’idea di percorrere la cresta con migliore visibilità ha la meglio. Sappiamo che se al ritorno l’interruzione dovesse rendere impossibile o anche solo pericoloso il passaggio franato dovremmo tornare sui nostri passi ripercorrendo nuovamente 700 metri di salita e la lunga discesa per la via dell’andata allungando il cammino di almeno 5 ore. Accettiamo il rischio, portandoci per sicurezza corda e moschettoni e ci assicuriamo di lasciare nello zaino qualcosa da mangiare qualora ci trovassimo costretti a tempi più lunghi del previsto. Alla fine la scelta è stata quella giusta e con un gran sospiro di sollievo abbiamo trovato il passaggio critico garantito da un cordino di sicurezza e percorribile, pur con le dovute precauzioni.

La cresta delle Pale del Fien L’escursione ad anello ci ha offerto dunque un percorso molto vario, dapprima nel bosco, fino alla forcella, poi apertura sull’accogliente conca che ospita la casera Folega. Impossibile non tornare con la mente ad un giorno di marzo dello scorso anno in cui abbiamo raggiunto la stessa meta ciaspolando “avvolti” nella neve. Ora ancora una ripida salita, su sentiero militare, esposta cengia e infine erbosa cresta con un fianco che precipita verso la Val Clusa. Difficile immaginare come questi potessero essere luoghi di fienagione, eppure è proprio così. Noi si scende invece sull’altro versante; ora il bosco si presenta più “disordinato”; ancora una breve risalita tra mughi e infine eccoci alla radura ove sorgono la Casera del Moschesin e la annessa stalla.
Una sosta per il pranzo con il sole che ci scalda, ci premia e ripaga delle circa 5 ore di cammino e via, a ritroso, fino alla forcella di Scendendo il Val ClusaScalabras e di qui si sprofonda nella Val Clusa, selvaggia e solitaria, forra ricca di anfratti e cascatelle, con le sue casere che stanno a testimoniare la dura vita che si faceva su questa montagne, in fondo poi non così tanto tempo fa. Una vita di lavoro, alpeggio e pastorizia (e anche di guerra) che ora ci appare come lontanissima. Com’è netto il contrasto tra il passare del tempo, che rapidamente muta le situazioni e la staticità che ci viene trasmessa dall’immobile, possente cornice dei monti. Uno stimolo a trovare misura, sicurezza, dimensione..............
Camoscio sul sentiero Oggi lo sguardo ha vagato dai Monti del Sole alle Pale di San Lucano e San Martino, alla lontana Marmolada, alla Civetta e Moiazza e ancora Tamer, San Sebastiano, Talvena, Pramper, la Schiara............ sono lì e ci saranno sempre.
Attualmente credo che la Val Clusa veda pochi passanti; anche un giovane camoscio si stupisce di incontrarci lì, nel suo bosco, e resta immobile a fissarci, indeciso, fino a che la mamma lo raggiunge indicandogli la via di fuga. L’esperienza la spinge a non fidarsi.
Molto meno romantica e suggestiva la pulizia dalle zecche alla quale siamo stati costretti una volta giunti alla macchina. Purtroppo sono sempre di più le zone delle Dolomiti Bellunesi infestate da questi parassiti, soprattutto in primavera. Mi darò da fare alla ricerca di qualche buon repellente naturale. La zecca non è piacevole e può essere pericolosa ma rinunciare a frequentare questi affascinanti luoghi, al di fuori dei percorsi più classici e più conosciuti, sarebbe davvero una grande perdita.

(maria cristina)

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