Fu domenica scorsa. Il sole aveva il colore dei faggi autunnali che contornano il pra del toro. Attorno a noi la linea delle montagne da sinistra a destra faceva un arco completo di roccia, un su e gił tremolante e emozionante, una linea grigia che accenna racconti.
Racconti di salite per valli e ghioni invicibili e mani su cengie, poi sentieri invisibili. Pensai a quell'arco che nascondeva e suggeriva giornate intere persi tra canaloni e valli pensando e camminando, soli come il sole sopra di noi. Persi nella fatica, nel sole e nell'aria che circodna i poloni e ti domina. Nell'imbuto di alberi che porta verso la val Ciadin aspettavo il gruppo di amici con cui avevo appuntamento. Salivo per sassi, calpestando la terra, le radici e le foglie dei faggi. Nel buio vedo la linea delle cresta grigia su quei nomi pieni di avventure. La voglia di correre per quella salita, la sensazione di scivolare sui sassi umidi e unti di muschi, le radici, le lingue di ghiaia, il piacere di essere lą con tutte quelle cose. Ogni volta che le vedo quelle montagne fanno allegria e malinconia.
Fu l'ultima volta che andai in montagna perchč poi, tornando tra i monti ho scoperto di essere ancora pił libero. Anche quando non ci tornavo. Anche se per parecchi mesi non ci tornai pił. In quel periodo ero lą sopra spesso ma col pensiero, ripensando alla linea grigia dei Monfalconi, ai colori di Napoleone Cozzi ed alla meraviglia di chi li vide la prima volta. Ogni volta la prima volta. Non sono pił tornato in montagna, non volevo pił perdermi quell'esperienza. Rivedere cose che erano indicibili e soffrire per non poter raccontarle.
Ho smesso.
E la montagna mi chiama.
Rispondo con la linea grigia dei Monfalconi.