Non sono gli zaini con l’attrezzatura a gravarci ma il peso della settimana, del lavoro, degli impegni e ........ di altro ancora. Ci sono anche musi lunghi stamattina. Chissà cosa stiamo cercando, perchè siamo qui? Comunque partiamo alle 7,30 da Capanna Trieste.
La prima ora di cammino, fino al Rifugio Vazzoler, passa quasi in silenzio, ognuno a inseguire i propri pensieri, incapaci di distrarci. Questa volta si fatica a trovare lo spirito giusto per una giornata in montagna. Forse è stata una cattiva idea, stiamo andando in montagna come se potesse essere una cura, un balsamo buono a lenire i nostri dolori.
La giornata è splendida, cielo azzurro e luci settembrine. La Val dei Cantoni lì, alla nostra destra. Il pensiero scivola via, ritorna allo scorso mese, stesso punto di partenza, meta il bivacco Tomè e il giorno successivo la Piccola Civetta che, generosamente, ci ha regalato uno squarcio di sereno proprio mentre eravamo in vetta, dopo la salita (e ancor peggio la discesa) più o meno avvolti nella nebbia in cerca degli ometti per trovare la via.
Il balsamo inizia ad agire. I nostri volti sono più distesi, si comincia a chiacchierare, compare anche qualche sorriso. Poi il profumo di bosco umido e di funghi fa il resto. Siamo di nuovo noi, quattro amici che si divertono ad andare in montagna. Solo questo.
Lungo la precedente salita al Bivacco Tomè più volte abbiamo
rivolto lo sguardo alla Torre Venezia, in basso dal nostro punto di osservazione, con la sua cengia anulare in bella mostra. É lei oggi la nostra meta: Torre Venezia per la via normale. Lasciato il sentiero che condurrebbe al Rifugio Tissi ci portiamo ai piedi della Torre su ripido sentiero; il sole comincia a scaldare, i cespugli ci bagnano i pantaloni, il fiato si fa più corto per la salita. Un pezzo di cioccolato, un sorso d’acqua, si mettono imbrachi e scarpette, si preparano le corde, lasciamo gli zaini.
Eccoci. L’entusiasmo è quello di sempre, il pensiero rivolto alla roccia avanti e sopra di noi, la mente sgombra dal resto, le preoccupazioni sono rimaste più giù. Io ho un po’ paura, come sempre, non sono brava ad arrampicare ma mi lascio tentare e ci provo.
Un canalone, un masso incastrato, una cengia, un camino, dei gradoni di roccia e un primo terrazzino poi ancora gradoni, cengia, roccia.
La sosta ai piedi della fessura Cozzi, uno dei capitoli più snervanti
dell'alpinismo mondiale. Un gruppetto di alpinisti non più giovanissimi
arrivano sul bel terrazzino della torre Venezia e si fermano in sosta a
cercare il silenzio, il respiro e la concentrazione giusta per l'ultimo
sforzo, per il momento più impegnativo. La sosta ansiosa prima dell'attacco
decisivo, diceva Kugy. Ma ecco che ...
"No... io non vengo."
"ehhhhh????"
"Mi lego qua, vi aspetto, torno giù, non salgo, andate voi, non ce la
faccio, mi basta, sono contenta di essere arrivata qui, sono di impiccio,
ditemi cosa devo fare, lasciatemi da bere, ho dimenticato di dare da
mangiare a Penelope, devo potare la siepe, lasciatemi il maglione, come si
fa l'otto, devo spalare la neve, devo fare un fax per Sandro, come si fa il
barcaiolo..."
"....."
"sisisisisisisi..."
"ma...vaaaaaaaaaa...taci!!!!"
Fu così che gli Adadm superarono anche la fessura Cozzi.
E finalmente il sentiero che porta alla cima.
Che splendido panorama, non me lo aspettavo. Forse perchè vedendo la Torre dall’alto, dal Giazzer, mi ero fatta l’idea che fosse soffocata tra le alte montagne che la circondano. Tutt’altro, la vista è meravigliosa, la roccia amica, il silenzio dolcissimo e penetrante.
La discesa è abbastanza veloce, si rimettono gli scarponi, si riprende il sentiero e, purtroppo, anche l’orologio. A casa siamo attesi, non possiamo soffermarci oltre. Sarebbe bello assaporare ancora l’ambiente, aspettare la sera. La montagna è anche altro, è di più, sono anche le piccole cose, i paesi dove i negozi chiudono presto, dove il buio e, ancor più la neve, rendono tutto molto più silenzioso, dove le persone, per la via, si salutano e i bambini escono di casa da soli.
Sarà per un’altra volta, per ora si chiacchiera, si ride, si fanno progetti futuri; il balsamo ha fatto il suo effetto. La montagna è la nostra cura, la nostra malattia, ma va bene così. C’è, rimane lì e a casa la pensiamo, la leggiamo, la sogniamo.
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