Monte Zita - 11 ottobre 2003

Ancora una volta in Val Zemola. Ci si torna sempre volentieri in questa valle più volte raccontata da Mauro Corona. Oggi sono solo, e l’obiettivo è andare a curiosare al nuovo ricovero Pagnac. Scelgo quindi un accesso insolito per la Valle: salgo da Davestra, la frazione di Ospitale di Cadore sulle rive del Piave. La salita è piacevole, si ha l’impressione di percorrere un sentiero raramente frequentato dall’uomo. In meno di due ore raggiungo il Ricovero Pagnac. È una nuova struttura voluta dal Comune di Ospitale di Cadore: un bel bivacco, ancora privo di letti ma caldo e accogliente. E sicuramente poco frequentato.

Proseguo oltre. Ho disturbato fin troppo i due camosci che a poca distanza mi osservano incuriositi. Il sentiero verso la forcella Pagnac sale ripido per un canalone friabile. In realtà del sentiero si perdono presto le tracce, bisogna salire sul fondo di un canale ghiaioso e faticoso. Finalmente la forcella, il panorama familiare della Val Zemola: casera Bedin, il Maniago e sopra il Duranno immerso nelle nuvole. Scendo alla Casera Bedin e riprendo fiato, mangio qualche cosa.

Sono venuto parecchie volte da queste parti, a volte solo, altre in compagnia. I sentieri più battuti li ho già percorsi, è ora di salire verso le cime. Il monte Zita è un bel gobbone verde che sovrasta la casera. Seguendo la traccia di sentiero arrivo facilmente in cima. Dei camosci che normalmente popolano questa zona sono restate solo le evidenti tracce. Loro sono già scesi a valle dopo la prima nevicata e l’abbassamento delle temperature. C’è l’ometto di pietra e due legni messi in croce. Per un attimo anche le cime intorno mettono la testa fuori dalle nuvole. Non mi fermo tanto in cima. La solitudine è sempre li, meglio camminare per tenerla a distanza. La discesa dalla forcella Zita a Davestra ha un che di irreale. Dei ruderi di casera indicati sulla carta non c’è più traccia, si intuisce solamente che su quel prato scosceso qualcuno ha vissuto assieme alle sue bestie. Chissà quando e chissà come.

E da qui la vita sembra essere stata cancellata. I roghi di quest’estate hanno distrutto buona parte di questo versante e si cammina tra i resti di piante bruciacchiate. La mano dell’uomo. La stessa mano che poi ha provveduto a riaprire il sentiero? Forse non proprio la mano dello stesso uomo, ma fa ben poca differenza. Torno alla macchina e un vecchio mi guarda incuriosito: solo ora mi rendo conto che in quasi otto ore di cammino non ho incontrato nessuno.


Andrea

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