James Joyce

L'autore

James Joyce

Uno degli scrittori più complessi del Novecento, la cui opera costituisce un tentativo ineguagliato di sperimentazione linguistica e letteraria.

James Joyce nasce, primo di dieci fratelli, a Rathgar, un sobborgo elegante di Dublino, il 2 febbraio 1882. La figura del padre, John Stanislaus, lo influenza profondamente, tanto che alla sua morte lo scrittore confesserà: "Lo humour di Ulisse è suo, la gente di Ulisse sono i suoi amici. Il libro è il suo ritratto sputato".

Il piccolo James frequenta scuole rette dai gesuiti: è dapprima a pensione nel prestigioso Clongowes wood College, poi, a causa delle difficoltà economiche della famiglia, viene accolto gratuitamente al Belvedere College. Nel 1898 si iscrive all'Università, dove manifesta ben presto il suo carattere anticonformista. Il 20 gennaio del 1900 tiene una conferenza al Literary and Historical Society sul tema "Teatro e vita", proponendo come modello il dramma di Ibsen, di cui recensirà favorevolmente l'ultimo lavoro, Quando noi morti ci destiamo. Scrive anche Una brillante carriera, un testo teatrale che due anni più tardi brucerà. Con il pamphlet Il giorno del volgo si scaglia violentemente contro il provincialismo della cultura irlandese. Nel 1902 dedica un saggio al poeta James Clarence Mangam e, dopo aver conseguito la laurea in materie letterarie, si iscrive a medicina.Si trasferisce quindi a Parigi per studiare alla Sorbona, dove vive miseramente collaborando al "Daily Express". Nel 1903, rientrato a Dublino per la morte della madre, Mary Jane Murray, attraversa un periodo di crisi in cui pensa di dedicarsi al canto sfruttando la sua voce da tenore.

Il 1904 è un anno decisivo. Il 7 gennaio scrive il racconto Ritratto dell'artista che, insieme all'incompiuto Stefano eroe (iniziato nel 1900 e abbandonato nel 1909), costituisce il nucleo centrale di quel Ritratto dell'artista da giovane tradotto per Frassinelli da Cesare Pavese con titolo Dedalus. Sull'"Irish Homestead" escono tre racconti poi ricompresi in Gente di Dublino. Il 10 giugno, passeggiando per Nassau Street, incontra Nora Barnacle, alla quale, anni dopo, confiderà: "Tu facesti di me un uomo". La rivide il 16 e, in suo onore, sarà questo il giorno, dalle otto del mattino alle due di notte, in cui Leopold Bloom, novello Ulisse, padre in cerca di figlio, uscirà nelle strade di Dublino e incontrerà Stephen Dedalus, l'altra metà di sè. Da quel giorno Nora diventa la sua inseparabile compagna, la madre dei suoi figli. Con lei, in ottobre, abbandona l'Irlanda. Fa tappa a Parigi, Zurigo, Trieste, raggiunge Pola. Nel 1905 ritorna a Trieste dove insegna alla Berlitz School e dove, il 27 luglio, nasce il primogenito Giorgio. Raggiunto dal fratello Stanislaus, l'unico della famiglia con cui conserva stretti rapporti, si trasferisce a Roma, ove concepisce il nucleo di un racconto sul vagabondaggio cittadino di un certo Hunter, un ebreo che si diceva fosse tradito dalla moglie, una sorta di Peer Gynt dublinese: una decina d'anni più tardi da quel racconto, mai scritto, nascerà l'Ulisse.

Nel marzo del 1907, deluso dall'ambiente romano, rientra a Trieste dove insegna inglese, collabora al"Piccolo della Sera" e tiene conferenze su temi irlandesi e sull'Amleto. In luglio nasce Lucia, la seconda figlia. Nel 1909 intraprende la fallimentare impresa di aprire un cinematografo a Dublino. Nella sua città ritorna tre anni più tardi per tentare inutilmente di far pubblicare Gente di Dublino. Contro un mancato editore scrive la satira Becco a Gas. La fortuna incomincia a sorridergli nel 1913, quando incontra Ezra Pound. Grazie all'interessamento del poeta americano, l'anno seguente su "The Egoist" esce a puntate Dedalus (in volume nel 1916) e vengono finalmente pubblicati, dopo il rifiuto di una quarantina di editori, i quindici racconti di Gente di Dublino. Scrive i primi capitoli dell'Ulisse che la "Little Review" di Chicago pubblicherà nel 1918. Mentre lavora al suo grande romanzo, abbozza il dramma Esuli, allestito a Monaco nel 1919 con scarso successo. Trasferitosi a Zurigo durante la guerra, riceve un provvidenziale sussidio dal British Royal Literary Fund. Nel 1917 viene operato agli occhi. Su consiglio di Pound, nel 1920, va a vivere a Parigi dove il 2 febbraio 1922, giorno del suo quarantesimo compleanno, Sylvia Beach pubblica Ulisse. Soltanto nel 1934, assolto dall'accusa di pornografia, il romanzo può uscire negli Stati Uniti: la prima edizione inglese è del 1936, mentre si dovrà attendere fino al 1960 per leggerlo in italiano nella traduzione di Giulio de Angelis.

Nel 1923 Joyce mette mano a Work in Progress, che vedrà la luce sedici anni più tardi con il titolo Finnegans Wake. Nel 1927 vengono pubblicate le tredici Poesie da un soldo. Nel 1930 subisce una seconda operazione agli occhi e l'anno dopo, morto il padre, si sposa con Nora. La figlia Lucia manifesta i primi gravi sintomi di schizofrenia e viene ricoverata in clinica. Per Joyce sono anni di amarezze e di intenso lavoro attorno a Finnegans Wake, che esce il 4 maggio 1939. Alla fine del 1940, in preda a una profonda crisi depressiva, convinto che quello sarà il suo ultimo Natale, ripara a Zurigo, dove il 13 gennaio 1941 muore in seguito a un'operazione di ulcera perforata.

Le opere

Quando pubblica il suo primo libro, Musica da camera (1907), trentasei poesie con una forte impronta di estetismo decadente, Joyce ha venticinque anni. Al fratello Stanislaus confida: "È comunque un libro da giovane". Ha trent'anni quando vengono pubblicati i quindici racconti di Gente di Dublino (1914), scritti fra il 1904 e il 1907, anni in cui contemporaneamente elabora Stefano eroe, pubblicato postumo nel 1909. Il primo Joyce è ancora immerso nell'Ottocento; ha gli occhi rivolti a Maupassant e, soprattutto, a Flaubert. I racconti di Gente di Dublino sono epifanie pietose sulla città e sui suoi abitanti: una prosa puntigliosa che dà voce alle grame esistenze dei protagonisti. Con questo libro, tuttavia, concepito come se Dublino fosse una persona, ha inizio l'operazione con cui Joyce consegna al mondo, e per il mondo ricrea, la sua amata odiata città. Tutto il lavoro dello scrittore irlandese ruota attorno a Dublino, "la città delle paralisi" (di contro a Parigi, "l'ultima delle città umane"), quella "vera patria" che non è mai riuscito ad abbandonare nonostante gli oltre trentacinque anni di volontario esilio. L'ha conservata dentro, Dublino, grazie all'esilio, come un'ossessione.

In Dedalus (1916), il romanzo con il quale si inaugura una nuova forma e un nuovo stile, trasforma Dublino in un labirinto; un labirinto che ospita quel gioco di realtà e simboli che in Ulisse e in Finnegans Wake assumerà le cartteristiche di una vera filosofia. I cinque capitoli di cui Dedalus si compone sono monologhi allo specchio che restituiscono, in una compattezza quasi medioevale, la personalità del protagonista, un certo Stephen Dedalus. Formatosi su Aristotele e Tommaso d'Aquino, convinto ammiratore di Dante, Joyce inaugura quella che, opera dopo opera, sarà la sua personalissima e umanissima comedia. Dedalus, questo ritratto giovanile dell'artista già perfettamente formato in rapporto alla famiglia, alle amicizie, all'ambiente, conduce alle soglie di Ulisse (1922) la cui prima vaga idea risale al 1907, durante il soggiorno romano. Tra i due romanzi viene pubblicato e rappresentato Esuli (1918), un dramma con scoperte influenze ibseniane, un'autobiografia spirituale e tesi dove si scontrano intelletto e sentimento, una riflessione sull'amore e sull'arte. Una parentesi forse necessaria per arrivare a Ulisse, scritto in otto anni (dal 1914 al 1921) di febbrile e intensissimo lavoro fra Trieste, Zurigo e Parigi.

Probabilmente non è il più bello, ma forse, come ha notato Gianfranco Contini, è il libro più decisivo del secolo. Il romanzo Ulisse scardina le coordinate tradizionali di tempo e spazio e si impone per l'impareggiabile complessità stilistica e lessicale, per le novità delle tecniche narrative e dei procedimenti, per la scelta del monologo interiore, per la sfida di dar voce e parola alle cose, agli oggetti, alle emozioni. Il 16 giugno 1904, un giovedì, tra le otto del mattino e le due di notte, in una Dublino diventata Mediterraneo, diventata mondo, si consuma l'odissea dell'agente pubblicitario Leopold Bloom, l'eterno uomo della strada, un Nessuno ebreo di origine ungherese. Sua moglie Molly e l'inquieto Stephen Dedalus, il giovane che Bloom incontra e conduce a casa sua al numero 7 di Eccles Street, costituiscono insieme a lui quella trinità e quella unità che è il cardine su cui ruota una giornata di ordinaria amministrazione orchestrata secondo uno sviluppo sinfonico, il quale traduce felicemente sulla pagina "la musica delle idee", come ha notato Harry Levin, uno dei più attenti critici joyciani. Un'opera dal tono ericomico, che si modella parzialmente sullo schema dell'Odissea, dove la parola è al tempo stesso liturgia e verità.

L'ansia di sperimentare non si placa in Joyce. Con Finnegans Wake (1939) supera le colonne d'Ercole della scrittura: insieme alla lingua fa esplodere anche la città di Dublino. Costruisce un poema del sonno, propone un enigma classico. L'agitatato sabato notte di Humprey Climpden Earwicker, cinquantenne taverniere dublinese di origine scandinava, è l'approdo estremo del tentativo di rivelare l'essenza della vita e di riformularla per iscritto. Se Ulisse può essere considerato la Bibbia del modernismo, come ritiene Anthony Burgess, Finnegans Wake è il sogno travolgente dell'umanità intera (le iniziali del protagonista, H.C.E. stanno per "Here Comes Everybody", qui viene ognuno) ambiziosamente racchiuso in un libro.