Mercato della formazione











Una prima verifica della portata euristica di queste formulazioni può essere tentata incrociando una delle rappresentazioni più "spregiudicate" della F, quella di mercato. Parlare di mercato significa infatti immaginare un gioco domanda/offerta di beni e servizi formativi, oggetto di scambi finanziari più o meno ingenti ed estesi. Tali servizi sono oggi soprattutto:
l'ingegneria di F, cioé la fornitura di sistemi completi di qualificazione - aggiornamento - riconversione - sviluppo a grandi utenti collettivi (amministrazioni e imprese pubbliche e private, paesi in via di sviluppo, etc.);
i corsi "su catalogo", cioé interventi in serie a copertura di domande singole, ma standardizzabili;
i corsi "su misura", cioé interventi specializzati ad hoc, a partire da domande localizzate e più complesse;
i corsi di formazione-lavoro per l'inserimento o la riconversione professionale (solitamente concordati con le parti sociali).
A tutti questi servizi sono collegati per lo più riconoscimenti, certificazioni, crediti formativi, che ne differenziano la "spendibilità". I settori di erogazione di questi "beni" sono sostanzialmente:
quello pubblico, delle politiche formative e del lavoro e delle politiche sociali (dall'educazione degli adulti, alla formazione professionale, al sostegno all'innovazione, all' assistenza dei più svantaggiati, ...);
quello privato, legato alle richieste aziendali, alle consulenze tecnologico-organizzative, o alle microdomande individuali di tipo extraprofessionale;
quello autogestito (cioé non profit oriented) basato sull'autorganizzazione degli interventi e/o la cooperazione e il volontariato (ad esempio nel settore dell'ecologia, della difesa non violenta, etc.).
Circa la consistenza economica di questi settori - oggi sempre più comunicanti - non esistono studi sistematici complessivi. I dati parziali sono comunque eloquenti: in Francia circa 40 miliardi di franchi é la spesa del settore pubblico e privato nel 1985, con circa 3 milioni di persone coinvolte, 10 miliardi di marchi sono stati spesi nella Germania Federale nello stesso anno, per circa 6 milioni di utenti. Per il nostro paese le cifre disponibili riguardano la sola formazione professionale, dove si registra - sempre al 1985 - una spesa dello Stato pari a 2.200 miliardi di lire, per circa 200.000 giovani e 80.000 adulti .
Ricerche più analitiche sono invece condotte per la fascia medio-alta del mercato, quella della formazione manageriale. E' qui che la F diventa inesorabilmente business, area di affari. Tali ricerche hanno un valore pradigmatico circa i possibili scenari di sviluppo del "mercato della F"; esse (Vanni, 1981, Savi, 1985) hanno infatti evidenziato:
il carattere protetto che questa fascia di mercato ha, data l'assenza deliberata di concorrenza pubblica (in particolare quella proveniente dall'Università);
la segmentazione del mercato a seconda delle fasce di clienti (aziende, banche, enti locali, professionisti,...) e del prezzo dei servizi;
la diversificazione del prodotto, dato il carattere per lo più derivato che esso ha rispetto alle attività di consulenza professionale (in questo caso la F funziona come "esca" per collocare altri prodotti del terziario avanzato);
la tendenza della F a diventare una questione di immagine più che di sostanza, a beneficio delle direzioni aziendali o come "benefit", contropartita simbolica per il personale.
In conclusione si può affermare non solo che la F è anche mercato, ma che tale logica é destinata a divenire sempre più pervasiva con tutte le ambivalenze che ciò comporta. La crescita dell'importanza economica della F si accompagna infatti a:
1. una progressiva specializzazione tecnica e funzionale delle pratiche formative. Ciò non é in contraddizione con la presenza di una vasta area non-formale che, funzionando spesso da primo sbocco di una domanda in crescita, non può poi sottrarsi alle pressioni più selettive del mercato. ( U.M.)






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