Un pugno di uomini contro il vento di Filippo Castiglia

Cielo limpido, luce su tutto, poche piccole aeree nuvole, il vento sferza con le sue raffiche un pugno di uomini che corrono tra i muretti a secco.
Quello che conosco meglio aveva tentato una fuga, più una reazione rabbiosa alla percezione della vescica sotto il piede sinistro che intenzione di frazionare il gruppetto. Un allungo rabbioso di circa 800 metri. Poi il ‘treno’ l’aveva ripreso dopo il rifornimento, quando le raffiche di vento erano troppo forti e sbandava, quando non c’era più il muretto a ridosso del quale correre in modo che solo il volto fosse esposto alla forza di Eolo.


Otto del mattino, siamo circa 200, la partenza è prevista alle 9.00. Pacco gara consegnati al mattino: maglietta, cappellino, crema di carrubbe, cioccolato aromatizzato a peperoncino o al limone o in uno dei mille modi della tradizione di questa parte di Sicilia, cioccolato alle nocciole, torroncino siculo, buoni sconto delle botteghe artigiane dove si preparano le predette delizie.
Alla consegna un po’ di confusione. Uno, cinquantanni, riccioli brizzolati dietro la nuca sgorgano dalla fascia in pile, tuta, piumino e ponte ortodontico evidente, s’infila irrispettoso della coda, si pianta davanti all’organizzatore, esordisce:
    -    Lei non sa chi sono io!
    -    Chi sei tu?
    -    Sono il manager di  Bellomo, Di Liberto e Cascio! (tutti novelli carneade)
    -    E che vuoi?
    -    I ragazzi si devono riscaldare e io voglio i pettorali!
    -    Che società sportiva?
    -    Atletica ‘Cuccilavaddiri’! (nome inventato archetipo delle società autogestite)
Gli danno i pettorali e si reca dai suoi assistiti.
Il via è scandito dal conto alla rovescia dei podisti e delle casse che su un camion già da un po’ pompano reggae salentino.

Si parte allegri in leggera, curva a destra, è Luigi, poco più avanti il camion. Lo raggiungo.
- Ciao Luigi.
- Ciao.
- Sono i Sud Sound System una band di Lecce che fa reggae.

Ascoltiamo e corriamo basta chiacchere, al duemila un gruppetto ci raggiunge
- Filippo, questo è il treno buono, piglialo!
-Yes!
Sono a ruota.
Sali scendi in città , un gruppetto di sei persone, compatti. Allungo nelle discese, resto in testa in salita, curva a U con palo, l’arpiono col braccio sinistro: una saetta!
Cinquemila 19’18’’, e vai! Usciamo fuori dalla città, in campagna, fitto reticolo di muretti a secco, vacche al pascolo, grano, vento!
Il percorso è duro: salita e discesa, non troppo pendenti ma neppure un pezzetto di pianura e un vento freddo e teso, che predilige le salite per soffiarti contro.
Rettilineo in salita col vento contro, non fiata nessuno, ci stringiamo, ci diamo il cambio. Non mi risparmio, qualcuno forse un po’ sì, ma non importa.
Uno dei ragusani:- dopo questa è fatta: saremo in discesa e a favore di vento.
Si susseguono le curve il paesaggio è un mosaico fatto a mano. Ciascuna pietra è stata tolta dal terreno, ciascuna è stata scelta da dita e occhi esperti per diventare quella parte di muro: una base, un interstizio, una corona alla luce del sole.
Anche quelli che hanno scelto le pietre si sono aiutati come noi adesso contro il vento. Un pugno di uomini, un po’ avversari, ma alleati per andare più forte contro le raffiche. Dissennato e suggerito dalla rabbia per la sensazione della vescica sotto il piede il mio allungo, sotto le sferzate del vento da solo ero debole. Ora, in compagnia, tiro il gruppo, ogni tanto rifiato al coperto.
Ultimo rifornimento, mancheranno 5 km, forse è meglio bere, il vento è freddo ma la traspirazione non deve essere poca.
Bottiglia, già aperta (come deve essere), un sorso, è fredda. Sono all’ombra, è freddo, sento freddo. Ho bisogno di andare in bagno più di prima, quando valutavo quale posto fosse il più indicato in caso di inderogabile necessità. Il gruppo allunga, il mio respiro è affannoso: crisi di freddo.
Rallenta e respira. Come mi piace questo pezzo di sterrato, ma devo lasciarli andare. Scarto uno con la mountain bike e sono di nuovo al sole. Il vento è alle spalle. Il sole mi riscalda. Il respiro di fa regolare, non c’è più alcun bisogno di fermarsi, il gruppo è andato ma anche la crisi è passata.
Gli ultimi tre km sono in leggera discesa con vento a favore. Mi disinteresso della vescica sotto il piede e lascio andare le gambe. Il rondò, il rettilineo, a scanso di equivoci allungo ancora un po’, chi mi è dietro di 50 m non mi potrà mai prendere. Arrivo! Farò di certo un po' schifo nelle foto che Antonio mi scatta al traguardo con i sali del sudore che mi decorano il viso, ma sono contento per molte ragioni.

Chi ha scelto di fare la maratona troverà il suo traguardo nell’impareggiabile patrimonio dell’Unesco che è Hybla.

Certo l'organizzazione si potrà migliorare, e la buona volontà a sopperito ad alcune mancanze, ma questa è una gran bella gara, è dura, è per veri podisti. L’anno prossimo saremo in molti di più a goderci il sole e a combattere col vento.

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