Associazione Provinciale Farmacisti non Proprietari di Lecce

Caro collega,

A nome dell’A.L.F.A. (Associazione Liberi Farmacisti d’Abruzzo), aderente al Movimento Nazionale Liberi Farmacisti, intendo rispondere all'articolo pubblicato sul numero del 24 gennaio 2001 col titolo " Liberi farmacisti o farmacie libere ?".

La protesta dei farmacisti italiani ed europei contro le restrizioni imposte dalla pianta organica è oggi forte ed inarrestabile per molti motivi, che lei conosce già perfettamente ma che mi permetto di ricordarle. I principi per i quali ci battiamo, infatti, si fondano, come lei sa, sul diritto Costituzionale (art. 3 e 41, relativi alle libertà individuali e d'impresa) e sul Trattato istitutivo dell’Unione Europea.  Sappiamo bene che dobbiamo confrontarci (o scontrarci?!) con chi gode (e quanto!) di privilegi acquisiti, non grazie alle proprie capacità e competenze, ma per una sorte benigna che gli ha concesso di far parte di una vera e propria casta. Abbiamo l'impressione che oggi il numero delle farmacie non sia realtà vincolato né al numero di abitanti, né tanto meno “al numero di laureati che le università producono ogni anno”, ma al numero degli eredi diretti dei farmacisti titolari! I laureati di cui parla hanno sostenuto un esame di Stato che abilita alla professione di farmacista: non vediamo perché non debba essere concesso loro di esercitare liberamente la professione, mettendo alla prova le proprie capacità in un regime di libera concorrenza. Come lei stesso afferma “ questo in realtà è possibile come dimostra l'esperienza di alcuni paesi europei ”; non capiamo però in che modo la liberalizzazione dovrebbe far passare in sottordine l'interesse della Sanità pubblica: i cittadini hanno interesse ad avere un numero minimo, non massimo, di servizi! Peraltro, da una recente indagine Istat è emerso che un cittadino italiano su quattro pensa che le farmacie siano troppo lontane dalla propria abitazione. Lei teme la possibilità di una “rarefazione del servizio nelle zone meno remunerative”, ma l'impressione è che questo sia un alibi, nemmeno dei più forti: le zone meno " interessanti " da un punto di vista economico potrebbero essere garantite e tutelate da incentivi che non graverebbero sul bilancio statale, derivando direttamente da un fondo dei farmacisti. E comunque non è solo il punto di vista economico a spingerci, ma la ferma volontà di potere esercitare liberamente la nostra professione, che vorremmo ora acquistasse una nuova dignità: non più solo bottegai e stacca fustelle (e questo che, spesso non a torto, purtroppo, l'opinione pubblica pensa di noi) ma professionisti al servizio del cittadino e della salute pubblica. E’ anche per questi motivi alcuni di noi spendono qualche ora del pochissimo tempo libero a disposizione per organizzare corsi di educazione sanitaria nelle scuole, gratuiti ovviamente, e questa è solo una delle tante iniziative che abbiamo in mente per rivalutare la nostra figura professionale.

Intendiamo quindi ignorare il suo prezioso suggerimento: non ribattezzeremo il movimento come le propone, perché il nostro obiettivo non è, chiaramente, la liberalizzazione selvaggia delle farmacie.

Infine vorrei rassicurarla circa le sue preoccupazioni: lei teme di non riuscire a sopravvivere nel circuito della libera professione. Stia tranquillo dottore: se sopravviviamo noi, con il nostro stipendio ...

 

Dott.sa Mila Iervese

Back