Il mare

I miei genitori mi portavano al mare, ero una bimba alta e magra, il sole spietato di luglio incendiava la sabbia di Viareggio e i miei piedi un minimo di ombra per camminarci.
La mamma vestiva allora un costume di cotone nero righettato di bianco, con le maniche appena al disopra del gomito e i mutandoni al disotto del ginocchio, io sempre col cappellino di paglia.
L'aiutante del negozio si licenziò, non potevano lasciare il Sale e Tabacchi, i miei mi affidarono allora a una specie di collegio che ospitava le ragazzine.
Le suore di S. Giuseppe gestivano questa pensione a Castiglioncello; al mattino pane, latte e caffè d'orzo e dopo una preghierina in cappella; sul mare.
Si scendeva da un viottolino da capre sugli scogli taglienti; giù la suora si toglieva le scarpe e suo refrigerio i piedi nell'acqua - non c'era nessuno, noi ci si spogliava sotto il sole, il costume lasciava appena intravedere la pelle delle spalle. Il vento, il meraviglioso vento del mare, le piccole onde con ritmo regolare battevano la loro spuma bianca si rincorrevano, si frantumavano, ricominciavano il loro gioco, ciac! S'inseguivano, ciac! Fino a che un cavallone le ingoiava tutte e si schiantava spruzzando freddo ardire.
Il mare, il mare, com'era salata l'acqua a Castiglioncello, come salava la pelle del corpo e che groviglio i nostri capelli impettinabili.
Io disappetente ho conosciuto la vera fame; al tocco il pranzo: minestroni, pastasciutta, frittatine o poca carne, frutta dell'orto e pane, pane, tanto pane.
Dopo mangiato riposino in camerata che noi figliole si consumava prendendoci a guancialate da un lettino all'altro fino a che la suora arrivava tutta stizzita.
A volte nel pomeriggio si andava a cogliere le more su in alto del paese, i rovi pesanti di grappoli neri. Alla sera, sul mare tutte graffiate, l'acqua era un autentico supplizio, il giorno dopo però già guarite.
Il sole indorava la nostra pelle e la differenza fra il sole e la parte coperta ci faceva a strisce.
Una monaca accompagnatrice, un po' matta, con verdissime occhialute iridi desiderava una gita in barca a vela, una lira ciascuna per il barcaiolo, il tempo era turbato, il mare un po' grosso, ormai era fissato; si andò; sette o otto figliole più la suora e il marinaio. Il mare era davvero cattivo, la barca s'inclinava, l'uomo diceva: andate dall'altra parte per il contrappeso; niente, le ragazze urlavano di malore e di spavento; io a prua abbracciata a un pilone, il vento sferzava il mio viso, mi sentivo una dea, quella tempesta dava una sensazione di potenza. Il vecchio marinaio: Tu non hai paura?- No; è bellissimo! Peggiorava, rientrammo appena a tempo; per quella incosciente monachina avevamo rischiato il naufragio! Le figliole appena a terra si ripresero tutte.
Castiglioncello, il vento mi è sempre piaciuto, alla punta estrema del paese un tentativo di costruire una casa sugli scogli; non avevano potuto terminarla, si strappavano porte e finestre, gli spruzzi ci arrivavano incontro da cento metri. Per diversi anni sono tornata ospite delle suore, da bimba anemica e delicata mi feci una ragazza bella e forte: quando sposai tornammo a Castiglioncello. Il paese è molto cambiato, il viottolo da capre non esiste più, il posto delle more è fiorito di numerose ville, le suore non ospitano le ragazzine. (Prima parte)


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