SIGUR ROS

      

Atmosfere eteree e sognanti dall'Islanda                      

Devo ammettere che la prima volta che sentii parlare di questa nuova band islandese non diedi molta importanza, come mia abitudine, a quello che scrivevano le riviste o a quello che se ne diceva. Certo le referenze erano ottime. Bjork (loro connazionale) già nel 1994 inserì un loro brano in una raccolta da lei curata per festeggiare i 50 anni di indipendenza islandese dalla Danimarca, i Radiohead li hanno ospitati in numerose date del tour di "Kid A", e tanti altri grandi artisti affermati ne parlano molto bene tanto che qualcuno addirittura su qualche rivista li definì i Pink Floyd del futuro (wow!... Figo!). Per me però le referenze, le recensioni e le parole contano poco, quando si parla di musica, l'unica cosa che conta è proprio la musica in quanto tale e le sensazioni che ti riesce a dare e nel caso dei Sigur Ros dire che le parole non contano è proprio azzeccato come concetto. Infatti la cosa che colpisce di più di questi quattro giovani islandesi di Reykjavik - Jon Thor Birgisson (voce e chitarra), Kjartan Svensson (tastiere), Georg Holm (basso) e Orri Pall Dyrason - è la capacità di creare sonorità "emozionanti", capaci di penetrare nei luoghi più nascosti e più oscuri della mente. Loro stessi in un'intervista dichiarano: "In molte interviste ci hanno chiesto quali siano le nostre influenze e la nostra risposta è sempre stata: l'Islanda stessa. La sua cultura, i suoi orizzonti, la sua natura, i suoi contrasti interni... Ci sono moltissime rocce di lava dura circondate da zone ricoperte di muschio, che è invece così soffice, e tutto sotto grandi cieli aperti, davanti a panorami amplissimi. E' per questo che la musica ne risulta così aperta, ed è perfettamente naturale passare da sonorità morbide e calde ad altre aggressive e fredde...". Ed effettivamente ascoltando la loro musica è praticamente impossibile riuscire a capire da chi o da quale genere derivi, c'è un po' di tutto nel loro sound dagli Stone Roses ai Radiohead, il rock psichedelico dei Pink Floyd, fino al dark elettronico dei Dead Can Dance e al pop raffinato di Bjork. Il loro primo album arriva nel 1997 col nome di Von ("Speranza") e il primo singolo "Leit Af Lifi" arriva subito al n°1 delle classifiche islandesi. Non può passare inosservata la voce di Jon Pór Birgisson, celestiale e quasi femminea, che sembra quasi voler trascinare l'ascoltatore in un vortice sonoro denso di musica rarefatta. Un tripudio di strumenti musicali e di suoni che dà la sensazione di provenire da lontano. I brani migliori sono "Sigur Ros", "Dogun", "Myrkur", "Hafsol" in cui Birgisson, che chiama "hopelandish" la lingua in cui canta (un misto di islandese e suoni inventati) suona spesso la chitarra elettrica con l'archetto di un violoncello, ottenendone lunghi drones (suoni con minime variazioni tonali che si ripetono, lunghi ma mai uguali a se stessi). Nel 2000 arriva Ágætis Byrjun (in islandese "partenza valida") album della consacrazione in cui i Sigur Ros esprimono al meglio la loro musica fatta di suoni raffinati e melodie che avvolgono l'ascoltatore. La musica si ispira alla natura e ai panorami islandesi, tra rocce vulcaniche e valli color smeraldo, ghiacciai innevati e fiordi selvaggi. Dopo l'intro, colpiscono subito le prime due tracce (la barocca "Svefn-G-Englar" e il singolo "Staralfur", di oltre dieci minuti), contraddistinte da atmosfere romantiche e decadenti. Nella parte centrale dell'album l'uso dell'elettronica è più evidente, qui si nota una certa influenza dei Radiohead. L'ultima canzone "Avalon" chiude l'album tornando ad atmosfere più cupe fatte di ombre lunghe e semi oscurità. Lo Shortlist Music Prize premia Ágætis Byrjun come album più creativo dell'anno gonfiando le casse degli islandesi di 10.000 dollari. I Sigur Ros hanno battuto tra gli altri i White Stripes, Gorillaz, Air, Godspeed You Black Emperor!, PJ Harvey e Cousteau. Nel 2002 la band pubblica il loro 3 album intitolandolo semplicemente ( ). Questo album è forse, a mio parere, addirittura migliore del suo predecessore, perché ci mostra il suono dei Sigur Ròs nella sua forma più pura e diretta, rinunciando totalmente alle sperimentazioni elettroniche del primo album "Von" e alle ricche partiture orchestrali di "Agaetis Byrjun", se si fa eccezione per qualche timido campionamento e la costante ma estremamente discreta presenza di un quartetto d'archi in sottofondo. In quest'album i quattro islandesi scelgono di puntare con decisione verso il minimalismo più estremo: nessun titolo, nessuna informazione, nessun disegno (o quasi) sul booklet, addirittura nessuna lingua in cui esprimersi Birgisson infatti canta usando non delle parole, ancora presenti su "Agaetis" seppure rigorosamente in lingua madre islandese, ma dei suoni improvvisati e insensati (l'"Hopelandic"), finendo per usare le voce semplicemente come un altro strumento musicale. Le influenze nelle 8 tracce che compongono ( ) sono veramente tantissime, dalle ritmiche vocali dei Radiohead a quelle catatoniche e ultra-dilatate del post-rock e dello slo-core dei Low, ci sono echi dei Pink Floyd e della psichedelia più eterea, ma la genialità dei Sigur Ròs sta proprio nel riuscire a reinventare tutte queste ispirazioni secondo la loro personalissima ottica ed esprimersi con un'impronta sonora e stilistica unica. Insomma i presupposti per avere finalmente un qualcosa di nuovo e interessante a mio parere ci sono tutti adesso bisognerà solo attendere il loro prossimo album, si prevede uscirà verso la fine del 2004, per vedere se la strada intrapresa è quella giusta. Intanto il mio personale consiglio, per chi non avesse ancora ascoltato i Sigur Ros, è uno solo:non giudicate al primo ascolto, rischiereste di dover tornare sui vostri passi un domani (proprio come ho fatto io).

Daniele