Luigi
De Bellis

 


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Signora Ava

 
     
     

 





Francesco Jovine



SIGNORA AVA: Romanzo


Il romanzo (diviso in due parti, entrambe composte di quindici capitoli non numerati) prende il titolo da una figura leggendaria del folclore molisano, la Signora Ava, assurta a simbolo di tempi lontani, passati per sempre, quasi favolosi. A spiegazione della sua scelta, l'autore pone, a epigrafe dell'opera - dedicata «Alla memoria di mio padre / ingenuo rapsodo / di questo mondo defunto» - un antico «Canto popolare del Mezzogiorno» che recita: «O tiempo da Gnora Ava / nu viecchio imperatore / a morte condannava / chi faceva a'mmore».
La vicenda è ambientata a Guardialfiera tra il 1859 e il 1860, alla vigilia dell'Unità d'Italia e della fine del regno borbonico. La divisione in due parti è molto netta: nella prima vi è descritta la vita quotidiana del piccolo borgo e sono presentati i personaggi principali: il giovane Pietro Veleno, contadino e «servo» della famiglia de Risio; donna Antonietta de Risio, fanciulla cresciuta con Pietro e a lui legata da grande familiarità, ma pur sempre «padrona»; don Giovannino de Risio, detto il Colonnello, direttore e insegnante di una scuola privata tenuta in un'ala della casa di famiglia, don Marco Tildone, prete contestatario e dai tratti ben poco canonici, inviso ai sacerdoti del circondario; e poi una piccola folla di figure di contorno, che anima una prima parte fatta più di scenette, di singoli quadri, che di una narrazione incentrata su una vicenda ben precisa. La vita del borgo scorre tranquilla, tra occupazioni contadine, beghe di paese, storie che s'intrecciano o tentano d'intrecciarsi, mentre le notizie del mondo esterno giungono solo di rado, approssimative e distorte.
La seconda parte, invece, è molto più movimentata; improvvisamente, la Storia irrompe a Guardialfiera e sconvolge il pacato ritmo di vita dei suoi abitanti. Nel romanzo si ode come eco lontana l'impresa di Garibaldi, sempre sullo sfondo, mai menzionata direttamente (il punto di vista è quello dei paesani, che nulla sanno di quel che accade oltre i confini del loro territorio). Si sa solo che c'è la guerra di un re «straniero» che combatte contro Francesco I: molti giovani partono, in paese don Matteo inneggia alla libertà, i notabili sono in ansia per i propri beni, mentre soldati nemici compiono scorribande nelle vicinanze, con razzie e morti. Nella confusione provocata dalle alterne vicende della guerra, viene coinvolto anche Pietro: denunciato alla Guardia Nazionale, e costretto a fuggire nottetempo, insieme a Carlo Antenucci (sono considerati colpevoli di aver rimesso in chiesa il ritratto di re Francesco al posto di quello del nuovo re); i due finiscono per unirsi a una banda di soldati fedeli al regime borbonico. Passano mesi di scorribande, scontri, incursioni, sempre inseguiti e sempre inseguitori; Pietro impara a uccidere, rubare, saccheggiare. Una notte, durante un'incursione nel convento di Termoli, il giovane ritrova Antonietta, di cui era sempre stato segretamente innamorato; la ragazza, ammalata di febbre terzana, era stata mandata nella cittadina di mare per curarsi. Pietro la conduce con sé e la promiscuità indotta dalla dura vita banditesca porta a compimento l'amore tra i due giovani, che sperano di poter fuggire e raggiungere lo Stato pontificio. La guerra intanto decima la compagnia di sbandati, finché i superstiti decidono di separarsi e di tentare la sorte ognuno per conto proprio. Pietro e Antonietta, accompagnati da Seppe di Celenza, tornano a Guardialfiera; a loro s'unisce anche don Matteo, e il gruppetto riparte in direzione del confine. Ma una sera vengono intercettati e arrestati.
«Nato dal felice incontro di memoria e fantasia, ideologia e storia» (Eugenio Ragni), il romanzo rievoca in chiave favolosa un'epoca antica, nella quale però affondano le radici i problemi sociali che travagliano il Meridione. Jovine compie quindi una duplice operazione: tentare il recupero delle proprie origini culturali, che risalgono ai tempi mitici della «Gnora Ava», e insieme denunciare la crisi, ancora attuale, del Meridione e le sue ragioni storiche. Quanto a Pietro Veleno, si tratta di un personaggio di minore coscienza rispetto a Luca Marano, protagonista delle Terre del Sacramento. La sua ribellione non deriva, infatti, da una maturazione politica e sociale, ma da circostanze esterne, estranee alla sua volontà.
Nel 1975 andò in onda uno sceneggiato televisivo tratto dal romanzo, con la regia di Antonio Calenda.

 

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