Luigi
De Bellis

 


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Antonio Porta (pseudonimo di Leo Paolozzi)



PAROLE: Raccolta di poesie


Cresciuto negli anni, il corpo delle poesie di Parole mostra una singolare tenuta, quasi che gli inediti vadano ad aggiungersi uno all'altro secondo una logica non di puro accumulo, ma di ricchezza espressiva. La definizione di "diario lirico" per queste poesie è forse l'unica capace di rendere ragione, da una parte della loro capacità di trascrivere i minimi moti della vita, nella varietà del loro mutevole apparire, dall'altra del ricorrere di temi, quali l'amore, la solitudine, la nostalgia per una maternità negata, il desiderio di una pace irraggiungibile ecc. Ne deriva quella che si potrebbe chiamare un'arte della variazione, di alta intensità morale, in cui l'apparente scarsità di strumenti retorici (basta pensare al coevo e letteratissimo movimento ermetico) favorisce un tono colloquiale sommesso e appassionato, ricco di dubbi, confidenze e interrogativi, capace di orchestrare una meditazione spirituale piuttosto insolita nella nostra tradizione lirica.
Un posto di rilievo in questa scelta di tono, subito sicura, subito all'opera fin dalle prime poesie dei 1929, è occupato dal paesaggio, raramente urbano, quasi sempre legato ai monti e al lago. Gli scorci naturali, che fanno da sfondo ad ansie e turbamenti, evocano una quinta di regale impassibilità, che a tratti sembra reclamare l'irrequietezza umana, promettendo il ristoro di un definitivo ricongiungimento: «mentre le rocce, in alto, / sui grandi libri rosei del tramonto / leggono ai boschi e alle case / le parole della pace» (Ritorno serale). La funzione rasserenante del paesaggio si spinge, questa volta con un movimento inverso, a voler avvicinarsi alle cose, per carpire il loro straordinario alfabeto: «Certe sere vorrei salire / sui campanili della pianura, / veder le grandi nuvole rosa / lente sull'orizzonte / come montagne intessute di raggi. // Vorrei capire dal cenno dei pioppi / dove passa il fiume / e quale aria trascina» (Pianura). Accade anche - secondo la plausibilità di una poesia che non teme assolutamente l'esercizio dei più antichi riflessi della tradizione poetica - che il paesaggio si carichi di umori umani, in uno scambio di felice suggestione pittorica: «Ora guance di lontani monti / tra le nebbie si volgono / nel risveglio, al primo / rossore» (Notte e alba sulla montagna).

La morte, mai blandita o invocata, è un altro elemento di questa sensibilità acuta che, stoicamente, può accettarla come segno di supremo decoro: «come le ossa del falco / che sul torrione più alto / regalmente ha voluto / morire» (La roccia); oppure leggerla nella sua levità fatale, a cui non manca la grazia del ritorno: «Questo non è esser morti / questo è tornare / al paese, alla culla... Le fiammelle dei ceri, naufragare / nello splendore del mattino, / dicono quel che sia / questo vanire / delle terrene cose /- dolce- / questo tornare degli umani, / per aerei ponti / di cielo, / per candide creste di monti» (Funerale senza tristezza). E la leggerezza è uno degli stilemi ricorrenti, l'approdo di una visione dell'esistenza dove la pena di vivere, il tormento, sono destinati a finire in un bisbiglio, a cui forse non è estraneo il richiamo della morte: «Desiderio di cose leggere / nel cuore che pesa / come pietra / dentro una barca» (Desiderio di cose leggere).
La leggerezza è comunque un carattere delle cose, un segno e una meta da raggiungere: «Sotto gli ulivi vorrei / in un mattino fresco / salire / e salutare / di là dalle lievi / chiome d'argento / il pallore del sole ed il volo / delle nuvole lente / verso il mare» (Sogno sul colle).

Non è trascurabile, in una poesia così votata all'intimismo, alla preghiera solitaria, all'invocazione, una notevole attitudine al racconto. Come in Periferia in Aprile, in cui l'evocazione della fanciullezza richiama squarci lirici, ma di un lirismo aperto ai gesti di un semplice gioco: «Intorno aiole / dove ragazzo t'affannavi al calcio: / ed or fra cocci / s'apron fiori terrosi al secco fiato / dei muri a primavera»; un lirismo capace di accostare realtà e trasfigurazione della realtà: «così correndo in ogni vena / e dici / ancora quella strada remotissima / ed il vento / leggero sopra enormi / baratri azzurri». E nelle movenze di un racconto si cela, ma non troppo, tutta la forza di una femminilità salda, negli affetti, nella fedeltà, come nella bellissima Voce di donna, in cui il personaggio femminile («Io nacqui sposa di te soldato») esprime, in uno straordinario capovolgimento del tema del soldato al fronte, affetto, dolore e presenza fisica: «ma se ti penso all'addiaccio / piove sul mio corpo autunnale / come su un bosco tagliato». La fisicità dell'amore coniugale, tanto più intensamente vissuta, quanto negata dalla realtà, si esprime con immagini dense di emozioni, in una proiezione al limite del modello biblico del Cantico dei Cantici: «Quando balena il cielo di settembre / e pare un'arma gigantesca sui monti, / salvie rosse mi sbocciano sul cuore ... Sono la scarna siepe del tuo orto / che sta muta a fiorire / sotto convogli di zingare stelle».

 

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