Non
ho dubbi circa il fatto che i libri ai quali resterò più affezionato sono
quelli appartenuti alle persone a me care; un po’ perché resteranno sempre il
segno tangibile di un legame, di un’amicizia, un po’ perché danno ad un cultore
dell’affabulazione quale io sono, la possibilità di raccontare una storia che
si dipana nel passato, tra vicende familiari e
fatti storici.
Il Giardiniere
di Tagore mi è stato donato qualche anno fa da Francesco. L’opera in se non è
di grande valore storico, né si tratta di un edizione rara o preziosa, di
sicuro non è un libro molto antico. Il libello però, ha una storia interessante
e, cosa più importante, è appartenuto ad un personaggio insigne della famiglia
di Francesco.
Anna de
Renzio, nata alla fine del XIX secolo in una famiglia della migliore borghesia
bitontina, era la zia di Teresa de Renzio, una terribile ed arzilla signora di
93 anni, croce e delizia delle suore nigeriane della casa di riposo che la
ospita, ancora oggi appassionata
lettrice dei dialoghi di Platone, e delle poesie del Giusti. Teresa è la nonna
di Francesco, e un po’ anche del sottoscritto, praticamente da quando mi
presenta alle amiche come “suo nipote”; inutile soffermarmi su quanto io le sia
affezionato.
Torniamo alla
protagonista di queste mie memorie. Anna de Renzio si laurea in Lettere
Classiche all’Università di Padova nel lontano 1912 con una tesi sul dialetto
bitontino. Fu tra le prime donne laureate in Italia e, di conseguenza vanto e
orgoglio della famiglia, che pure contava letterati di assoluto rilievo
nell’ambiente culturale pugliese del tempo, tra cui l’illustre pedagogista
Giovanni Modugno e, soprattutto quel Giuseppe Modugno la cui monumentale
traduzione dell’Opera Omnia di Platone è ancor oggi annoverata nei cataloghi
delle più titolate librerie del meridione e i cui testi ancora girano sui
banchi dei mercatini di libri antichi di Puglia e non solo.
Anna de
Renzio, con Padre Agostino Gemelli e la Marchesa Armida Barelli, contribuì alla
nascita dell’Azione Cattolica Italiana e diresse dal 1922 il Movimento
Nazionale delle Laureate Cattoliche.
Per questo suo servizio alla Chiesa, nel 1927 veniva insignita da papa
Pio XI della croce pro Ecclesia et Pontefice.
Nel 1924 fondava, restando laica, un’Opera Pontificia, dapprima
chiamata Betania che divenne poi l’Istituto Secolare Figlie dei Sacri Cuori,
un’assoluta novità di apostolato femminile che, diffusa in tutto il mondo, ha
ancor oggi sede nella casa in cui nacque la fondatrice, ovvero il palazzo di
famiglia di Bitonto donatole dal padre.
In tutt’uno
con la vocazione spirituale, dedicò 42 anni della sua vita all’insegnamento
nelle scuole pubbliche e divenne anche preside del Liceo Carmine Sylos di
Bitonto, scrisse libri e fu autrice di testi e studi storici. In omaggio
all’opera da lei svolta e al segno lasciato dal suo insegnamento, la sua città
natale le intitolò una scuola media che ancora oggi porta il suo nome.
Quanto narrato
potrebbe già essere sufficiente a rendermi soddisfatto, ma non è tutto.
Il libello,
con firma autografa della prima proprietaria è di un autore non cristiano e già
questo è alquanto originale se si pensa alla vita e alla storia personale di
Anna, così vicina alle più
significative vicende del cattolicesimo italiano della prima metà del ‘900. Le
rime raccolte da Tagore poi, per quanto
univocamente tese all’esaltazione del tema della spiritualità indiana, con echi
di sorrisi e scene della vita quotidiana, presentano qua e là momenti di vivida
sensualità, specie se li si cala nel periodo in cui il testo fu dato in stampa
in Italia (1915). Non c’è ovviamente nulla di crudo o volgare che possa aver
minimamente turbato il lettore di ieri o di oggi, di certo, però non è un testo
a tema religioso.
Anna de Renzio che mantenne per tutta la vita il voto di castità, conservò a lungo questo libro, probabilmente ne fu anche affezionata, a giudicare dal fatto che lo regalò a sua nipote Teresa. Di certo ne conosceva il contenuto e non si lasciò viziare nel suo giudizio da moralismi bigotti o da riserve personali. Lesse ed apprezzò il messaggio di Tagore sull’amore e la pace tra gli uomini. Probabilmente colse e fece propri gli spunti ecumenici e interreligiosi che lo stesso Tagore volle rappresentare in questo e negli altri scritti della sua Opera, fedele al suo impegno di far conoscere la cultura e la spiritualità indiana al mondo occidentale corrotto e litigioso.
Le ultime frasi che Anna scrisse poco prima di morire nel gennaio del ‘75 furono: “Ci occorre più amore e grande mortificazione. Vi benedico tutte e ciascuna. Muoio contenta.”
Giuseppe Giannelli