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Introduzione

In Italia, come nel resto d'Europa e in America, la produzione di videotapes dšartista è in qualche misura venuta a corrispondere con le proposizioni "intermediali" ed "extramediali" legate ai linguaggi concettuali e comportamentali che hanno percorso e attraversato, pur nella molteplicità delle sfumature, lšintero arco degli anni Settanta(1). Non che la produzione videoartistica si sia arrestata negli anni Ottanta, come vorrebbe far credere una certa parte della critica(2), ma semplicemente essa ha subito un brusco rallentamento, dovuto in particolare alla perdita di tensione delle proposizioni sperimentali gravitanti nell'area di ricerca delle arti visuali(3), che di fatto si è risolto in una progressiva e forte ripresa del "mezzo" nel corso degli anni Novanta.

Il video come espressione periferica, ma comunque attiva e propositiva, di tale ricerca si è nutrito quindi della fenomenologia artistica e dei modelli visuali allora correnti, nei quali ha trovato una sorta di rifugio e complicità "secondo lo schema di una immateriale concettualizzazione dellšarte e di una parallela espansione sociale"(4).

In una tale situazione di vicinanza e dipendenza del video dalle arti plastiche e visuali, possiamo dunque comprendere il calo, o addirittura la cessazione, delle attività di produzione e diffusione di opere video da parte di alcune gallerie quali la Galleria dšArte del Cavallino a Venezia - che ha svolto un ruolo fondamentale nella proposizione del video dšarte e di ricerca in Italia nella seconda metà degli anni Settanta - agli inizi degli anni Ottanta.

Rappresentative, a questo proposito, sono le parole di Paolo Cardazzo, direttore della Galleria del Cavallino, riguardo al videotape: "Verso il 1972 finalmente arrivò in Italia il portpack [sic] e con questo nuovo strumento estremamente versatile e facile da usare abbiamo realizzato i primi videotape strettamente aderenti al nuovo linguaggio dellšarte concettuale. [...] Con lšinizio degli anni Ottanta nuovi linguaggi venivano a sostituire nelle gallerie quelli dellšarte concettuale, la quale aveva utilizzato allšinterno della sua variegata articolazione mezzi diversi quali il cinema, la fotografia e la televisione. Abbiamo sentito allora che era giunto il momento di mettere fine alla nostra attività e di ricondurre la sperimentazione nellšambiente più congeniale dello studio televisivo"(5).

A parte lšapprossimazione con cui si accostano, semplicisticamente, le realizzazioni video al "nuovo linguaggio dellšarte concettuale", le parole di Cardazzo danno unšidea abbastanza chiara della situazione artistica allšavvio dello scorso decennio, e delle prospettive di allontanamento della sperimentazione video dallšambito delle arti visuali.

Lšautonomia della ricerca video e il suo distaccarsi dallšarea visuale, auspicata dal critico Vittorio Fagone come condizione ottimale per lo sviluppo di questo medium, ha dunque caratterizzato buona parte della produzione videoartistica degli anni Ottanta, ma soprattutto ha influito sulla distribuzione e diffusione di tale produzione.

Per tutto lšarco degli anni Ottanta lšarte video - nelle sue molteplici forme e sviluppi ¯ è stata per buona parte relegata in luoghi deputati alla fruizione spesso specialistica, quali festival e rassegne specifiche, anzi possiamo dire che si è nutrita quasi esclusivamente di questa forma di distribuzione e diffusione(6). Tale condizione ha comunque avuto il merito di preservare e promuovere una continuità di ricerca e di sperimentazioni nellšambito delle arti elettroniche, una sorta di incubazione che ha evitato la probabile condanna al totale silenzio delle opere video, e che nel corso degli anni Novanta ha dato i suoi frutti maturi(7).

Sono attualmente tanti i grandi complessi museali che dedicano se non una sezione appositamente attrezzata, quantomeno un costante interesse per le sperimentazioni nel campo delle arti elettroniche(8), per non parlare dei piccoli musei o centri dšarte contemporanea che puntualmente hanno un televisore acceso e unšoscura stanza illuminata dal fascio di luce di un videoproiettore(9).

Dunque ai giorni nostri è lecito constatare che non solo nei circuiti specializzati dei festival e delle rassegne, come è accaduto in buona parte per tutti gli anni Ottanta, è possibile gustare (o semplicemente osservare) le video opere dšarte ¯ nei suoi molteplici e variegati sviluppi ¯, ma che la pratica delle arti elettroniche è un elemento costantemente presente negli ambienti artistici ufficiali(10) e non(11).

Possiamo assumere ciò come dato di fatto, nonché come presupposto in cui inscrivere il lavoro di ricerca da me svolto sul decennio precedente la "lieve frattura" degli anni Ottanta.

Unšulteriore conferma del suddetto spostamento di interesse da parte della ricerca artistica (e di conseguenza di tutto lšambiente che gravita attorno ad essa) nei primi anni Ottanta ci è fornita dalle parole di Vittorio Fagone, uno dei critici che ha seguito con maggiore attenzione le vicende della nascita e sviluppo della "video arte", che così scrive: "Il ritorno alla materialità delle immagini dipinte che si ha alla fine degli anni Settanta e la perdita di velocità delle ricerche immateriali e comportamentali nellšarea visuale (si pensi al declino della performance) coincidono con lšabbandono del video da parte di alcuni artisti e con una larga disaffezione da parte degli spazi avanzati di promozione artistica. Questa situazione, che stabilisce anche un naturale processo di selezione rispetto a molte curiosità esterne e disinvolti opportunismi, libera la ricerca video da una dipendenza troppo stretta verso lšarea visuale"(12).

Parole, queste, che portano ad una riflessione interessante: nella misura in cui Fagone dà come condizione ottimale della ricerca video il suo distaccarsi dallšarea visuale ne rivendica anche una propria autonomia e dunque unšidentità separata, una sorta di "arte a parte".

Tale autonomia, però, se da una parte ha auspicato la liberazione del video dai modelli linguistici e metalinguistici legati allšarte concettuale, minimale e alla performance, dallšaltra ha teso ad una eccessiva separazione, specializzazione e conseguente marginalizzazione del mezzo elettronico. Separazione, del resto, che anche se è stata prova di un raggiunto specifico linguistico, è stata altresì modalità operativa e ideologica completamente opposta ai presupposti socio-culturali da cui era nata lšesigenza di utilizzo del video come mezzo creativo.

Possiamo con una certa sicurezza affermare che le origini della videoarte sono riscontrabili nella pratica operativa - ma sarebbe più esatto parlare di strategia - del movimento Fluxus(13), da cui partirà la nostra analisi. Successivamente rintracceremo quindi i rapporti che legano il video alle pratiche artistiche presenti sul finire degli anni Sessanta, ma anche quei movimenti di pensiero che si sono rivelati determinanti, per vari motivi, nello sviluppo delle ricerche video del decennio successivo. Presentando cioè il clima artistico-culturale in cui è maturata lšattenzione a questo "nuovo medium", un clima che in qualche modo ha accomunato molte delle ricerche artistiche, e più in generale estetiche, le quali hanno teso, nella molteplicità delle loro proposte, ad uno stesso obiettivo: la ridefinizione del concetto di opera dšarte, la sua smaterializzazione, e lšassunzione dellšartisticità come elemento peculiare della personalità dellšoperatore estetico.

In un tale clima, allora, ciò che viene posto in evidenza è lšimportanza del processo di produzione estetica e lšanalisi (e dunque visione critica) di questo stesso processo, piuttosto che la "forma chiusa" del prodotto finito. Ma la ridefinizione dellšopera dšarte oltre ad avvenire attraverso la messa in gioco del "processo", si attua anche attraverso la riduzione agli elementi essenziali del fare artistico, e di qui lšattenzione allšanalisi delle caratteristiche specifiche del mezzo, sia video che di altro tipo, attraverso lo "smarginamento", sia nel senso dei mezzi che nel senso degli ambiti disciplinari, e attraverso lšintroduzione dellšelemento politico ed ideologico nella pratica estetica (riallacciandosi così allšidea della fusione di arte e vita auspicato dalle avanguardie storiche già dagli inizi del secolo).

Analizzato quindi il fenomeno "videoarte" in una dimensione globale di broblematiche inerenti non solo lšaspetto strettamente artistico, ma tenendo in considerazione le motivazioni esistenziali, individuali e collettive di continua ricerca e critica dei modi di produzione, da quelli estetici a quelli economici, propria degli anni Settanta, si comprende la condizione che porta al rifiuto delle modalità operative tradizionali (pittura, scultura, disegno) e la ricerca di un equilibrio che mescoli il desiderio di partecipazione collettiva con lšattivazione di processi di sensibilizzazione verso determinati problemi di natura politica e sociale. Come scrive Silvia Bordini: "il suo contesto è quello degli orientamenti culturali che non considerano più le opere come oggetti in senso tradizionale, ma come situazioni, azioni, ricerche di nuove e diverse modalità della comunicazione estetica"(14).

La seconda parte di questa tesi si propone invece di effettuare una ricognizione sistematica della situazione artistica italiana in rapporto al video, ponendo come premessa che se è vero che in ambito internazionale si sviluppa una ricerca videoartistica riconosciuta ufficialmente e ormai formalizzata, è ugualmente vero che in Italia, soprattutto nella prima metà degli anni Settanta, si registra un clima di forte attenzione alle applicazioni del video in arte, anche se spesso risoltosi attraverso un uso sporadico e poco approfondito del mezzo. Partendo quindi dalle prime manifestazioni, essenzialmente teoriche, dellšuso del video in arte, offerteci dalle riflessioni di Fontana (e ancor prima dai Futuristi), passando per le ricerche cinetiche e "programmate" (soprattutto per le proposte metodologiche, per il rapporto intessuto con le tecnologie moderne, e per la spazializzazione e dinamizzazione dellšopera attraverso lšuso di ambienti e luci), attraversando quindi lšimportante pratica del "cinema dšartista", e infine il complesso rapporto con la tecnologia rintracciato nelle ricerche dellšArte Povera e "concettuale" degli anni Settanta (con la dovuta attenzione alla "lezione" Fluxus e alla pratica "comportamentale"), giungeremo a quella particolare e complessa congiuntura artistico-operativa che riconosciamo nella metodologia "extra media".

La situazione italiana del video dšartista si complica ulteriormente se si considera che proprio negli anni Settanta si verifica quella fusione della ricerca artistica con la dimensione politica e sociale di cui ho detto prima, e che se questa ha condizionato in generale la situazione artistica italiana, nel caso della pratica video essa assume un carattere fortemente accentuato. Per cui non possiamo non considerare che è esistita una forte realtà di base, che ha fatto largo uso del mezzo video, muovendosi in parte in una dimensione estetica (sperimentando quindi anche le possibilità e specificità del mezzo) e in parte in quella politica e sociale, con ottimi risultati, ma che trova comunque una difficile e problematica collocazione in ambito storico-artistico(15). Tale situazione ha avuto un forte peso fino alla fine degli anni Settanta, come è verificabile dalla mostra romana Video š79: dieci anni di videotape, dove accanto a lavori specificamente videoartistici sono presenti altri più ambigui (e forse più interessanti) lavori documentaristico-sociali(16). Realtà questa che si è comunque protratta fino ai giorni nostri, ma con una minore incisività, dato che a partire dagli anni Ottanta si è sviluppata una sistematica operazione di recupero-restaurazione delle situazioni creative conflittuali, nonché un efficiente lavoro di definizione degli ambiti operativi e ripristino degli specialismi, in perfetta contraddizione con la pretesa interdisciplinarietà, interattività e multimedialità propostaci oggigiorno quali necessari aspetti del nostro vivere quotidiano.

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Note

  • 1.Utilizzo i termini "intermedia" ed "extra media" nell'accezione proposta da Enrico Crispolti in Extra-media: esperienze attuali di comunicazione estetica, Studio Forma, Torino, 1978, e cioč rispettivamente "l'impiego di pių 'media' nuovi nel riscontro ad una 'coerenza' sostanzialmente di 'poetica' e ideologica al di lā dunque dei media stessi" o pių semplicemente come "trasferimento comunicativo attraverso 'media' diversi", e "un modo attuale di utilizzazione molteplice, e del tutto eterodosso rispetto agli orizzonti e ai canoni tradizionali, di 'media' diversi appunto di comunicazione visiva di connotazione estetica" ma "assunti nell'occasionalitā di uso di ciascuno di essi, secondo la necessitā episodica del voler dire, del voler fare, e dunque non privilegiandone, non feticizzandone specificamente alcuno".
  • 2. Mi riferisco in particolare all'articolo di Barbara London in "Art Forum" (sett. 1980) dal titolo Independent video in cui si registra la convinzione che alla fine degli anni Settanta il video abbia concluso la sua fase di crescita , ma soprattutto che abbia esaurito le proprie possibilitā espressive (informazione estratta dall'incontro con Vittorio Fagone della Scuola di Specializzazione in Storia dell'arte, alla certosa di Pontignano il 16/01/1992); tale ipotesi presupporrebbe una totale dipendenza del video dalle arti plastiche e visuali che gli sviluppi nel campo della ricerca video degli anni Ottanta e soprattutto di questi anni Novanta non hanno fatto altro che smentire.
  • 3. Posizione, quest'ultima, sostenuta dal critico Vittorio Fagone (cfr. L'immagine video, Feltrinelli, Milano, 1990), ma anche dal critico Gillo Dorfles che sul finire degli anni Settanta dichiara: "Non vorrei giungere fino ad affermare che la Videoarte sia giā giunta a una fase di declino e di esaustione, ma č indubbio che si assiste dopo un periodo di eccessiva divulgazione e di accettazione indiscriminata di documenti quanto mai precari e ambigui, a uno successivo di stanchezza e di diffidenza da parte del pubblico. E' un fatto che molte delle illusioni iniziali circa le possibilitā offerte da questa nuova forma espressiva sono state spazzate via, alla luce dei prodotti ormai diffusissimi e degli innumerevoli incontri ai quali abbiamo assistito" (in Le arti visuali e il ruolo della televisione, Eri, Roma, 1978, p. 125); va comunque sottolineato che tale posizione risente fortemente del clima di "riflusso" dovuto alla particolare situazione socio-politica ed economica della fine degli anni '70.
  • 4.V. Fagone, L'immagine video, Feltrinelli, Milano, 1990, p. 56.
  • 5.A. M. Montaldo, P. Atzori (a cura di), Artel. Media elettronici nell'arte visuale in Italia, Ilisso, Nuoro, 1995, p. 113.
  • 6. Nonostante qualche blando tentativo di apertura e sperimentazione delle possibilitā linguistiche del video da parte della televisione, i risultati su questo terreno si sono rivelati scarsi e senza una reale continuitā per la situazione italiana; un po' pių interessanti si sono rivelate le aperture della televisione belga, francese, inglese e nordamericana, ma sempre all'interno di una politica del "non disturbo" incompatibile con la sperimentazione video. Per un maggiore approfondimento del rapporto video-televisione negli anni Ottanta rimando al libro di Vittorio Fagone, L'immagine video, op. cit., 1990, e ai cataloghi della IV, V, VI, VII edizione della Rassegna Internazionale del Video d'Autore, a cura di Valentina Valentini, Sellerio, Palermo dal 1989 al 1992.
  • 7.Per un approfondimento sul ruolo dei festival rimando al saggio di Sandra Lischi, Dell'attenzione, Riflessione in tre punti sui festival del video, in Video d'Autore 1, a cura di V. Valentini, Gangemi, Roma, 1994.
  • 8.A tale proposito basterā ricordare la X Esposizione Internazionale Documenta di Kassel del 1997, oppure, sempre nello stesso anno, la Biennale Veneziana e la Biennale del Whitney di New York e infine la Berlin Biennale di quest'anno; e tra i grandi centri culturali possiamo ricordare il Musée National d'Art Moderne presso il Centre Georges Pompidou di Parigi e il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid.
  • 9.Qui i riferimenti potrebbero essere infiniti a partire dal Centro Arte Contemporanea del Palazzo delle Papesse a Siena, nato da un paio di mesi (Nov. 1998) e visitato qualche giorno fa, fino alla mostra La coscienza luccicante svoltasi al Palazzo delle Esposizioni di Roma dal 17 Settembre al 30 Ottobre 1998.
  • 10.Per una veloce ricognizione italiana ed europea della situazione attuale delle arti elettroniche rimando a AA.VV., Generazione media, Triennale di Milano, Milano, 1997; per uno spaccato della situazione internazionale e per una buona ed aggiornata bibliografia rimando a La coscienza luccicante, a cura di P. S. S. Zanetti, M. G. Tolomeo, Gangemi, Roma, 1998.
  • 11. La sperimentazione delle arti elettroniche continua, comunque, ad avere anche un suo autonomo sviluppo, rispetto alla produzione, alla distribuzione e ai luoghi di fruizione dell'"arte ufficiale", nella scia di una tradizione di produzione "alternativa" che affonda le sue radici nella cultura "underground" degli anni Sessanta. Mi riferisco in particolare alla polivalente e avanguardistica attivitā del centro culturale indipendente Link Project di Bologna, e all'attivitā, meno costante ma qualitativamente buona, del C.P.A. di Firenze o del Leoncavallo di Milano.
  • 12.M. M. Gazzano, A. Zaru (a cura di), Il Novecento di Nam June Paik, Carte Segrete, Roma, 1992, p. 25.
  • 13.A tale proposito richiamo le parole di Vittorio Fagone, che nel testo "Video d'Europa, origini e tracciati", scritto per il catalogo della Rassegna "In Video '90" di Milano, cosė scrive: "Quando Nam June Paik e Wolf Vostell dichiarano che le chiavi per comprendere ragioni e sviluppi della ricerca video vanno ricercate nella complessa e libera poetica del movimento Fluxus, danno una indicazione che difficilmente puō essere messa in discussione solo che si consideri l'indiscutibile e fondamentale contributo dato da questi due autori alla nascita, nei primi anni Sessanta, della videoarte o il valore ridefinitorio del contagio tra diversi linguaggi artistici e modelli della nuova comunicazione, sostenuto e praticato, almeno nei primi anni di attivitā, da tutti gli artisti del nuovo movimento".
  • 14.S. Bordini, Videoarte e arte. Tracce per una storia, Lithos, Roma, 1995, p. 19.
  • 15.Il caso del gruppo Videobase di Anna Lajolo, Alfredo Leonardi e Guido Lombardi, č solo l'esempio pių noto, al quale si potrebbe aggiungere il lavoro di diversi collettivi di cinema militante, da quello di Milano a quello di Bologna a quello di Torino, ma anche il lavoro di artisti giā riconosciuti quali l'Ufficio per l'Immaginazione Preventiva (Benveduti, Falasca, Catalano), o le operazioni di Ugo La Pietra e Fernando De Filippi.
  • 16.Cfr. AA.VV., Video '79: dieci anni di videotape, Kane, Roma, 1979.

 

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