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Una nuova concezione di opera d'arte

Il video comincia ad essere utilizzato più largamente, in Europa come negli Stati Uniti, solo alla fine degli anni Sessanta. La scena artistica era allora caratterizzata da un moltiplicarsi di tendenze e denominazioni (Minimalismo, Arte concettuale, Land Art, Performance e Body Art) che per molti aspetti tendevano ad esigenze e interrogativi simili, fino ad incontrarsi in un unico punto: la ridefinizione del concetto di opera dčarte70.

La pratica del video, come nuova tecnica in grado di offrire possibilità nuove di immediatezza comunicativa ed esplorazione spazio-temporale, si è mossa allčinterno di quasi tutte queste correnti artistiche, nutrendosi proprio dellčabbattimento degli ambiti disciplinari caratteristico dellčarte di questo periodo71: "Lčhappening, la performance, lčarte del corpo, gli ambienti, sono tutte espressioni di un nuovo clima del mondo dellčarte. Alla fine degli anni sessanta la condizione della ricerca registra un massimo di sconfinamento dai limiti convenzionali dellčarte e, nei processi di concettualizzazione e di interrogativa riflessione sul fare artistico (lčarte concettuale), tocca insieme il massimo di concentrazione"72.

Nella propria peculiare dimensione temporale il video raccoglie allora sia la memoria di una performance che lčunica manifestazione sensibile di una proposizione concettuale, senza comunque rinunciare allčesplorazione delle specificità e degli aspetti puramente formali dellčimmagine elettronica.

Meno interessata a questčultima possibilità è la posizione di Anne-Marie Duguet che, nel testo Dispositivi, scrive: "Se parecchie realizzazioni sembrano esplorare problemi puramente formali a partire da principi tecnici specifici come la diretta, è a un lavoro critico di portata più generale che sono impegnate le opere più feconde. Queste chiamano in causa contesto e referenze, si mettono in gioco attraverso ibridazioni multiple e confronti che vanno ampiamente al di là dei limiti "territoriali" di ogni arte per mettere in causa i limiti dellčarte stessa"73.

Quindi si comprende lčinteresse suscitato dal video solo a partire da quello che possiamo definire come un doppio spostamento delle problematiche artistiche nel corso degli anni Sessanta. Dove da una parte troviamo la ricerca sulla percezione dellčopera, in cui lčesperienza del fruitore costituisce un elemento decisivo. E in una tale posizione possiamo riconoscere come determinante il contributo dellčarte minimale. Dallčaltra parte invece lčattenzione viene posta sul concetto dellčopera, fino a giungere al rifiuto totale di qualsiasi produzione materiale. Questo approccio è riscontrabile in particolare nellčarte concettuale.

Lčopera dčarte dunque è, da una parte e dallčaltra, rimessa completamente in discussione, fino ad intaccarne i fondamenti tradizionali, quali lčunicità, lčautonomia e la materialità stessa. In un tale clima si sviluppano allora altri modi di produzione e creazione artistica come ad esempio la già in parte affrontata "performance" (con le sue radici in Fluxus, e ancor prima, negli spettacoli futuristi e dadaisti), e "lčinstallazione", che saranno entrambi predominanti anche nella produzione video.

 

a. Minimalismo: lčespansione della spazialità interna allčopera dčarte e lčanalisi del suo campo di percezione

Lčelemento dellčinstallazione diventa dunque un aspetto caratteristico e fondamentale di un certo tipo di produzione artistica riscontrabile soprattutto nella pratica minimalista.

Mettendo in discussione il tradizionale modo di vedere prospettico, la riduzione minimalista si pone il problema di riorganizzare il rapporto tra lo spazio e lčopera-oggetto. Questa non si colloca più semplicemente in uno spazio, ma è essa stessa che lo determina e lo organizza.

Vediamo cosa scrive Germano Celant in Precronistoria 1966-1969: "Il 27 aprile 1966 si apre al Jewish Museum di New York, "Primary structures", una rassegna che decreta a livello museale il riconoscimento della minimal art. [Š]gli artisti minimal rifiutano le componenti illusionistiche, liriche o personali, nonché i problemi contenutistici e compositivi per interessarsi alle unità standard, linee, volumi, che escludono, con la loro banalità, ogni problema associativo e interpretativo. Sintomatici di questa posizione sono i lavori di Andre, Judd, LeWitt, Morris, Flavin con i loro arrangiamenti o agglomerati di elementi che la produzione industriale ha reso "ridotti e primari" quali mattoni, tubi fluorescenti, assi e piani metallici.

Le unità vengono organizzate a terra o a muro, in modo che la loro "definizione" derivi solo dalla collocazione e dalla disposizione spaziale. Queste non possiedono alcunché di singolare, ma producono delle quantità di vuoto e di pieno, verticali e orizzontali, che modificano il significato topologico delle unità standard. Gli insiemi che ne risultano sono allora "gruppi di senso", il cui significato ha origine nel processo costruttivo e nella collocazione ambientale"74.

Lč "opera in situazione", come la definisce Robert Morris75, quindi più che tendere a influenzare il pubblico, coinvolgendolo passivamente in uno spettacolo, cerca lčinserimento in una situazione. Allčevento si può assistere, semmai, come testimoni o come elementi dellčambiente. Assume, allora, unčimportanza primaria lčaspetto della ricerca e dellčadeguamento del "luogo" in cui avviene lčevento: la situazione diventa lčelemento condizionante e intrinseco della proposizione artistica.

Come scrive Carl Andre: "Il genere di luogo che ho in mente non deve essere confuso con lčambiente (environment). Eč cosa futile da parte di un artista il tentativo di creare un ambiente, perché si ha sempre un ambiente intorno. Ogni organismo vivente ha un ambiente che lo circonda. Un luogo è unčarea allčinterno di un ambiente che è stata alterata in modo da rendere lčambiente generale più evidente. Tutto è ambiente, ma un luogo è in relazione particolare sia con le qualità generali dellčambiente, sia con le qualità particolari del lavoro che è stato fatto"76.

Lčarte minimale, quindi, non crea lčambiente, ma si inserisce in esso per renderne manifeste certe relazioni essenziali. Lčartista in un certo senso reagisce allčambiente, compie determinate azioni che ridefiniscono lčambiente, opera con un atteggiamento in definitiva "comportamentista"77.

Ma tornando allčopera in situazione, e al suo statuto come antecedente diretto dellčinstallazione, Robert Morris, nelle sue Notes on sculpture, definisce alcuni dati essenziali di questa nuova concezione di opera dčarte.

In questo scritto Morris da una parte difende gli oggetti di grandi dimensioni, che impegnano una partecipazione fisica dello spettatore più attiva che nella modalità intima offerta dallčoggetto artistico tradizionale. Dallčaltra parte, invece, si muove in direzione dellčutilizzazione di forme conosciute, facilmente identificabili, di modo che lčattenzione non si fissi sullčoggetto ma sulla sua messa in situazione, rimandando il fruitore direttamente alla propria attività percettiva: "Il piccolo numero di elementi in gioco, il loro carattere spesso geometrico e ripetitivo, questa "economia di mezzi" con cui si è troppo facilmente qualificata lčopera minimale non provengono da un culto della sobrietà o da un ascetismo ossessivo, ma da una concezione dellčopera come sistema relazionale"78. E come scrive Robert Morris: "lčoggetto non è più che uno dei termini della nuova estetica. In un certo senso essa non è più riflessiva, perché si ha maggiore coscienza del fatto che esistiamo nello stesso spazio dellčopera di quanto non si avesse di fronte a opere precedenti con le loro multiple relazioni interne. Ci si rende conto meglio che in precedenza di essere noi stessi impegnati a stabilire delle relazioni, mentre concepiamo lčoggetto a partire da posizioni diverse e sotto certe condizioni variabili di luce e di spazio"79.

Lčopera viene così concepita a partire da parametri elementari capaci di intrattenere relazioni costantemente mutevoli tra spettatore, spazio e punto di vista.

Il video aggiunge al concetto di installazione semplicemente lčelemento del dispositivo elettronico. E quello che viene rimesso in discussione, sia nelle proposizioni del minimalismo che nelle stesse videoinstallzioni, è proprio la nozione di punto di vista unico e privilegiato. Come nellčopera minimalista, anche nellčinstallazione video è lo spettatore ad agire lo spazio, spostandosi attorno, davanti e attraverso lčopera stessa, verificando a suo modo la teoria della relatività: "perché è lčosservatore a cambiare continuamente di forma mutando la sua posizione in rapporto allčopera"80.

Lčesplorazione fisica, quindi, diventa il modo privilegiato della percezione nella nuova concezione dell'opera dčarte, e la sua esperienza "si realizza necessariamente nel tempo"81, come afferma ancora Morris.

E come scrive Anne-Marie Duguet: "Lčopera non si concede più tutta dčun colpo e si presenta essenzialmente come un procedimento, attraverso le modalità della sua percezione. Essa è "opera aperta" per eccellenza, nel senso in cui essa si presta a una infinità dčinterpretazioni, per cui non saprebbe più essere un prodotto compiuto, in cui ognuna delle sue attualizzazioni implica la variazione"82.

Da un punto di vista storico una delle prime videoinstallazioni è stata realizzata ancora da Nam June Paik. Lčopera, del 1965, si intitola Moon is the Oldest TV e consiste nellčaver posto in semicerchio, sopra alti parallelepipedi neri, una serie di televisori accesi in un ambiente buio, e creando, attraverso la deformazione del segnale elettronico, negli schermi una sequenza di sfere luminose che mimano le fasi di una luna artificiale83.

Una tale configurazione spazio-temporale di radice minimalista, connessa alla serialità delle sequenze delle immagini e alla moltiplicazione degli schermi (e quindi dei fuochi visivi) come unità standard, sarà un elemento ampiamente sviluppato (e sfruttato) nella pratica di molti videoartisti, soprattutto a partire dagli anni Ottanta84.

Un intenso confronto tra la dimensione dello spazio e la strutturazione del tempo, presente in area minimalista, ma anche più in generale in quel clima di dematerializzazione dellčarte di cui partecipa anche la performance, è proposto da Ira Schneider e Frank Gillette nelle loro prime videoinstallazioni.

Nella videoinstallazione Wipe Cycle85, struttura di nove monitor nella forma di una "televisione murale", il dispositivo video ridefinisce lo spazio e il tempo dellčesperienza reale dello spettatore tramite il ritardo dellčimmagine in diretta e la giustapposizione di più visioni dislocate86. Scrive Frank Gillette: "Eč un tentativo di rimaneggiamento della propria esperienza temporale, del proprio senso del tempo e dello spazio"87.

Manhattan is an island, una videoinstallazione di Ira Schneider del 1975 in cui vengono disposti dei televisori in cerchio che consentono di realizzare la prima panoramica completa dellčisola di New York, oltre ad agire sullo spazio di percezione del dispositivo video, creando un ambiente spazialmente percorribile e dai molteplici fuochi visivi, esplora anche la dimensione temporale stabilendone una propria inedita misura.

Come scrive Fagone: "Lčinstallazione di Ira Schneider afferma singolarmente due gesti tipici di ogni video-installazione: 1) la formulazione di una dislocazione spaziale paradossale e reale; 2) lčattivazione di un confronto col tempo come canone di messa in ordine, codice di riconoscibilità della fluidità del visibile, ritmo di crescita e dčapprendimento di ogni fenomeno"88.

 

b. Arte concettuale: l'opera come procedimento

Uno degli obiettivi dellčarte concettuale è quello di sollecitare lčattività mentale dello spettatore, quindi di spostare lčattenzione dallčoggetto dčarte ai suoi presupposti, ai principi che presiedono la sua concezione.

Determinanti nella definizione del lavoro artistico concettuale si rivelano gli scritti di Sol LeWit e di Joseph Kosuth. Sol LeWit ha introdotto la parola "conceptual art" nellčarticolo Paragraphs on Conceptual Art apparso in "Artforum" nellčestate del 1967. In questo articolo lčattenzione è posta sul lavoro dellčartista coinvolto nella situazione, in cui lč "intenzione" che suscita lčevento entra a far parte dellčevento stesso, e sullč "idea", intesa come una "macchina per fare arte".

Scrive Sol LeWit: "Nellčarte concettuale lčidea o concetto è lčaspetto più importante del lavoro. Quando un artista utilizza una forma concettuale di arte vuol dire che tutte le programmazioni e decisioni sono stabilite in anticipo e lčesecuzione è una faccenda meccanica. Lčidea diventa una macchina che crea arte [Š]Se lčartista vuole analizzare completamente la sua idea, allora dovrebbe ridurre al minimo le decisioni arbitrarie o casuali, mentre il capriccio, il gusto e altre fantasie andrebbero eliminate dalla creazione artistica [Š] Il programma dovrebbe progettare il lavoro [Š] Se lčartista porta avanti la sua idea e la trasforma in una forma visibile, allora tutti i passaggi del processo sono importanti. Lčidea stessa, anche se non è divenuta visiva, è unčopera dčarte esattamente come qualsiasi prodotto finito [Š] Le cose che illustrano il processo mentale dellčartista sono a volte più interessanti del risultato finale [Š] Le idee si possono anche enunciare con numeri, fotografie, parole, o in qualunque altro modo scelto dallčartista, poiché la forma è priva dčimportanza"89.

Lčessenziale risiede quindi nella matrice, nellčinsieme di regole e disposizioni suscettibili di generare lčopera, o più semplicemente di pensarla. In questo modo il linguaggio, la descrizione, lčannotazione, il documento possono sostituirsi allčoggetto, dissolvendo al tempo stesso la complessa e discussa nozione di "originale"90.

Non molto distante è la posizione di Joseph Kosuth, per cui lčarte non può che essere concettuale, in quanto la sua vera natura sta proprio nella sua definizione. Ciò ha portato Kosuth allčatteggiamento radicale dellčeliminazione di ogni manifestazione sensibile dellčoggetto dčarte a vantaggio delle sole "proposizioni". Tale atteggiamento radicale, però, è soltanto il culmine di un processo che tendeva alla dematerializzazione dellčoggetto; in altre situazioni, pur accordando unčimportanza particolare allčelaborazione concettuale, non si rinunciava comunque alla realizzazione concreta. In tal caso ciò che si proponeva era una sorta di apertura, una diversificazione delle attualizzazioni possibili di concetti: dal testo alla foto, al documento, alla grafica, al film, al corpo, al video, ecc.

Scrive Joseph Kosuth in Art after Philosophy: "Con lčunassisted ready-made di Duchamp, lčarte ha cambiato il suo obiettivo dalla forma del linguaggio a ciò che è detto. Ciò ha significato spostare la natura dellčarte da un problema di morfologia a un problema di funzione. Questo cambiamento Ż dallčapparenza al concetto Ż ha significato lčinizio dellčarte moderna e dellčarte concettuale [Š] Il "valore" dei singoli artisti dopo Duchamp può essere stabilito in base a quanto essi si interrogarono intorno alla natura dellčarte; il che equivale a dire "cosa essi aggiunsero al concetto di arte", o cosa mancava prima che essi iniziassero [Š] Qual è la funzione dellčarte o la natura dellčarte? Se noi manteniamo la nostra analogia fra le forme che lčarte assume e il "linguaggio" si può comprendere come unčopera dčarte sia una specie di "proposizione" presentata nel contesto dellčarte come un commento sullčarte"91.

Spostando lčattenzione sulla definizione concettuale dellčarte anche le sue problematiche si trasferiscono nellčambito del linguaggio e della comunicazione. Eč solo attraverso la comunicazione che si realizza lčopera dčarte: lčarte diventa arte solo nel contesto dellčarte.

Lčopera si mostra, mette in evidenza il proprio funzionamento, lo statuto e le poste in gioco della rappresentazione. Offre dei procedimenti che espongono essi stessi le loro condizioni di possibilità.

Il video si presta allora perfettamente allčuso concettuale per il suo essere registrazione (riconosciuto un ruolo primario alla comunicazione) destinata al sistema di circolazione dellčinformazione, ma anche per il suo essere puro procedimento, senza residui né tracce.

"[Il video] non può che essere procedimento, pura virtualità dčimmagini. E più che un oggetto è un sistema di rappresentazione, che si espone e definisce uno spazio concettuale sensibile, di riflessione e percezione al tempo stesso"92.

 

c. Land Art: lčopera come documentazione

Abbiamo parlato del particolare interesse dellčarte minimalista per lčinterazione tra le forme-oggetto e lčarchitettura o ambiente; da ciò si sviluppa unčattenzione particolare da parte degli artisti nei riguardi di strutture che si collocano direttamente nel paesaggio come "luogo".

"La minimal aveva spostato il discorso sulla struttura, intesa come un insieme relazionale di oggetti, in cui sono gli oggetti stessi a imporre la propria dimensione spaziotemporale. Ne deriva allora che questi artisti sentono come oppressivi i limiti dettati dalla galleria e dallo spazio urbano in cui la galleria è inserita. Ciò ha come conseguenza una dialettica tra dentro e fuori, in cui il tempo dilatato del paesaggio si contrappone allo spazio quotidiano della città"93.

Tale atteggiamento prende il nome di Land Art, e cioè lčagire sul paesaggio stesso, trasformarlo in opera dčarte. Lčartista si pone quindi come elemento modificatore e al tempo stesso modificato, assumendo come materiale di lavoro quei luoghi solitari e inaccessibili, in cui instaurare un ambiguo rapporto tra naturale e artificiale.

La sua consacrazione ufficiale (con il nome di Earth Art) avviene nel 1968 in occasione della mostra alla Cornell University di Ithaca, ed in cui vengono esposte per lo più foto e progetti, dunque le tracce selezionate di unčidea di intervento sul paesaggio dal carattere fortemente concettuale94.

Un aspetto interessante della Land art, proposto da Fulvio Salvadori in Gli art/tapes dellčASAC, riguarda il nuovo rapporto intessuto con il mercato dellčarte95.

Trasferita dunque lčopera in luoghi inaccessibili, lčartista si trova solo a contatto con la propria realizzazione. Non essendoci più un pubblico "presente" da stupire o da affascinare in prospettiva di un eventuale acquisto, si infrange quellč "eterno triangolo di studio, galleria, collezionista" riscontrato da Gerry Schum come fattore determinante tutta lčarte fino ad allora96.

"Lčavvento della Land Art porta un elemento nuovo, rivoluzionario, nel sistema della distribuzione del prodotto artistico, fondato su di un mercato condizionato dalla ideologia borghese della tesaurizzazione, della ricchezza e dello spettacolo. Lčopera dčarte intesa come bene di lusso, acquistata in una bottega (la galleria) ed esibita come oggetto di prestigio, aveva come punto di riferimento lčoggettività e la mercificazione del pezzo unico, che, una volta incamerato nella collezione privata, o nel museo, aveva una circolazione solo attraverso la riproduzione"97. Quindi attraverso questo tipo di distribuzione lčopera acquisiva una sorta di aura di irraggiungibilità, veniva feticizzato come merce e gli veniva assegnato un valore monetario.

Il principio della "tesaurizzazione dellčopera" entra, però, in contraddizione con le pratiche Minimalista e della Land Art che considerano lčoggettività dello spazio e del tempo come limiti dellčevento: "Lčevento artistico deve sottostare a quello che Duchamp ha chiamato lč "effetto istantaneo", lčincontro simultaneo tra lčartista e le condizioni oggettive del suo lavoro. Una volta superata la logica del pezzo vendibile, ciò che rimane è il sistema della circolazione, della informazione, a meno che non si vogliano considerare come pezzi mercificabili i residui dellčopera, le tracce che essa ha lasciato"98.

Una tale interpretazione risente certamente del clima fortemente ideologizzato degli anni Settanta, quello stesso clima che muoveva e indirizzava molta della pratica artistica, soprattutto italiana, verso una sorta di apertura al sociale e al politico. Va quindi constatato che i "residui dellčopera", "le sue tracce", assunti nel sistema dellčarte sono diventati a loro volta e inevitabilmente delle altre opere. Ciò è comprensibile se si considera che la registrazione di un evento, e quindi il trasferimento di unčopera per sua natura transitoria ed effimera su un nuovo supporto, non si limita alla pura e semplice documentazione, ma proietta questo in una dimensione di estensione sia visiva che temporale.

In questa direzione si muove lčimportante ed isolata esperienza di Gerry Schum, e della sua Videogalerie attiva a Dusseldorf tra il 1971 ed il 197399.

Gerry Schum realizza la prima mostra televisiva nel 1969 con il film-opera-documentario Land Art, in cui sono presentati gli interventi ambientali di Marinus Boezem, Walter De Maria, Jan Dibbets, Barry Flanagan, Richard Long, Dennis Oppenheim, Robert Smithson e Michel Heizer100. Questa iniziativa, oltre ad introdurre il termine Land Art per indicare la pratica artistica sopra descritta, ridefinisce lo statuto della produzione e della distribuzione dellčarte, proponendo una percezione diversa sia per le opere che per i video ad esse connessi, i quali vengono istituzionalizzati ed assunti nel mondo dellčarte101.

Nel filmato Land Art, che come ho detto può essere considerato di per se stesso unčopera dčarte, gli artisti svolgono la funzione della regia mentre Schum è lčoperatore. La macchina da presa è usata con una certa moderazione, le inquadrature o sono fisse, o dettate da esigenze strettamente connesse allčopera102.

In definitiva Land Art si presenta come la registrazione di azioni e trasformazioni ambientali nel loro farsi, caratterizzata, secondo Silvia Bordini, da una componente artificiale dovuta al fatto che queste opere erano state pensate e realizzate più che per essere viste per esistere concettualmente in una dimensione remota, quindi "pensabili come totalità ma percepibili come frammento, come parzialità, o come registrazione; che ne perpetua il processo, ne raffredda la simbolicità, li trasforma in altro tipo di opera, restituendo la visibilità espunta dalla loro natura concettuale"103.

Ma vediamo cosa scrive lo stesso Schum: "Gli artisti di Land Art cercano possibilità espressive che vanno ben oltre i limiti tradizionali della pittura. Non è più il punto di vista del paesaggio ma il paesaggio stesso, per esempio il paesaggio contrassegnato dallčartista stesso, che diventa lčoggetto dčarte [Š] Tutte le opere che sono esibite sono state ideate e realizzate dagli artisti appositamente per la trasmissione tramite la televisione"104.

Lčanno seguente fu realizzata unčaltra mostra televisiva, dal titolo Identifications, finanziata dalla Kunstverein di Hannover e trasmessa dalla Sudwestfunk di Baden-Baden il 30 novembre 1970.

Identifications è composta da un programma di registrazioni di azioni comportamentali e concettuali di diversi artisti105, e sebbene lčidea di fondo della mostra televisiva può essere nel complesso simile a quella della precedente Land Art, la realizzazione e il campo dčazione degli interventi cambiano in direzione di una maggiore fusione e correlazione tra artista e opera dčarte.

Il soggetto dei video è ora lčautore-artista e, come scrive Germano Celant in Offmedia, "La telecamera serve allora a produrre centinaia di copie dellčio, che tendono a penetrare nellčuniverso del telespettatore. Prima il visore entrava nello schermo e si immedesimava nellčuniverso creativo e fantastico dellčimmagine, senza autore, ora lčartista muta questo ruolo e si rivolge, guarda e parla allo spettatore. Lo aggredisce e tende a entrare nel suo mondo, si estende dal privato al pubblico attraverso lčoggetto tv"106.

Il film Identifications ha come obiettivo la neutra "visualizzazione" delle opere, senza alcun commento e riducendo al minimo lčazione della macchina da presa (quasi sempre fissa): "Il film mostra, registra nel tempo, fissa un modello di chiaro scuro su una superficie bidimensionale, in modo da soddisfare certe esigenze del processo artistico e dellčarte concettuale, di garantire lčaspetto processuale e immateriale [Š] Land Art, questo primo confronto fra autore materiale del film e artista visivo (che convenivano sul fatto che non avrebbero prodotto un documentario sullčarte, ma unčopera dčarte per la televisione) risultò una combinazione unica di idea, materiale, e mezzo. In Identifications la tensione di quel confronto era subordinata alla pura visualizzazione di un concetto"107.

Apparentemente, dunque, il ruolo di Schum, nel lavoro di produzione, sembra essere semplicemente quello del tecnico che gestisce le attrezzature, ma ciò non è del tutto vero. La sua posizione è particolare e come scrive Dorine Mignot: "Da un lato si ritiene che Schum sia stato un tramite, unčestensione delle possibilità tecnologiche, qualcuno che ha contribuito a realizzare le idee dellčartista [Š] Dallčaltro si ritiene che Schum sia un artista, come è dimostrato dalla dichiarazione per es. di Merz, che ha affermato: "Non si può dire che Lumaca fosse di Merz e neanche di Schum, bensì lčopera di due artisti, una cooproduzione""108.

Quindi la posizione di Schum nei confronti dellčoperazione artistica risulta ambigua proprio per la forte attenzione rivolta allčelemento concettuale del fare arte, che in qualche modo allontana dallčidea della pratica dello strumento e dal suo carattere manuale, consentendo così la separazione del momento di elaborazione (appannaggio dellčartista) dalla sua esecuzione effettiva (realizzabile da qualsiasi esperto operaio). Una tale concezione dellčarte non è facilmente applicabile però al mezzo video che si presenta come un mondo nuovo, poco conosciuto, e quindi poco concettualizzabile. Per quanto neutrale quindi possa essere stato il momento delle riprese, è inevitabile che lčoperatore (unico esperto e conoscitore del mezzo) diventi anche un "co-elaboratore" dellčopera stessa. Lčelaborazione estetica dellčopera procede allora di pari passo con lčesplorazione e la sperimentazione del mezzo televisivo spingendo così gli artisti allčuso del video in prima persona.

Nellčintroduzione alla mostra televisiva Identifications Schum chiarisce la sua idea di arte e lo sviluppo che ha portato a questa nuova dimensione dellčopera come processo: "Cčè stato uno sviluppo che ha portato lontano dallčautonomo Œoggetto di grandi dimensionič, in cui lčidea e il concetto sono utili per azzerare le dimensioni o lčestetica. Il film è stato ridotto in favore dellčessenza dellčoggetto, lčidea. Lčopera dčarte perde la sua autonomia e non può più essere separata da colui che la produce, per esempio lčartista [Š] Identifications indica la correlazione nel processo artistico fra lčopera dčarte e lčartista nel tentativo di superare ciò che li separa. Questa separazione essenziale è radicata nella domanda del tradizionale mercato dellčarte. Lčartista è un artigiano: si deve a questo soltanto il fatto che lčarte possa essere comprata e venduta. Il film e specialmente la televisione offrono in un certo senso allčartista la possibilità di evitare la materializzazione delle sue idee; la trasmissione televisiva e la videoregistrazione creano un diretto contatto fra lčartista e un potenziale pubblico [Š] Gli artisti in questa mostra vogliono provocare, scatenare dei processi"109.

Da un punto di vista teorico si rivelano interessanti le riflessioni di Gerry Schum sul suo rapporto con il mercato dellčarte, le quali cercheranno di essere messe in pratica dallčautore stesso nella costituzione di una videogalleria, attivata a Dusseldorf dal 1971 al 1973 con il nome di Fernsehgalerie Gerry Schum110.

Inevitabilmente le idee di Schum si scontrarono con la chiusura dei circuiti televisivi, che lo costrinsero spesso a ridimensionare i propri progetti, e con le regole del mercato dellčarte. Come ci fa notare Ursula Wevers in La Galleria Televisiva: lčidea e come è fallita: "Le idee sullčarte di Gerry Schum erano in diretta opposizione alle leggi che regolavano il mercato e il commercio dellčarte, ma da allora in poi egli dovette sottomettersi a quelle regole. La concessione che fece alla nuova situazione consisteva nel produrre opere su video in edizioni limitate, a volte accompagnate da certificati a sé stanti rispetto ai lavori veri e propri. Lčunica possibilità di distribuire i progetti su scala più vasta era la collaborazione con istituti dčarte e musei. Dato che pochi istituti avevano la necessaria apparecchiatura, la distribuzione continuava a porre dei problemi [Š] erano il contenuto avanguardistico, lo stile e la concezione del suo lavoro a sbarrargli più spesso le porte degli studi televisivi, impedendo di conseguenza la distribuzione fra le masse"111.

Nel complesso lčattività della galleria-laboratorio di Schum, e la sua idea di una circolazione di videotape dčarte, apre comunque una linea operativa che verrà seguita in diversi paesi, e troverà nella realizzazione di centri di produzione e distribuzione di video dčartista, anche se a volte per breve tempo, un ideale compimento112.

 

d. Body Art: il corpo come linguaggio e il video come estetica del narcisismo

Con la mostra televisiva Identifications avviene il passaggio dallčenvironment, lčanalisi dellčambiente, alla "performance", azione in cui lčartista stesso è situazione e elemento primario dellčopera, e in cui si procede allčesplorazione del corpo-luogo dellčartista stesso: "In molti lavori il corpo di Oppenheim è usato come luogo. Generalmente il corpo come luogo è adoperato come un terreno inciso in una maniera del tutto simile a quella delle earthworks"113.

Abbiamo esplorato quindi la possibilità di trasferire sullo schermo un evento o unčazione. Queste presentate nellčimmaterialità dellčimmagine riprodotta, costituite di impulsi elettronici, assumono a loro volta lo statuto di opere dčarte. La registrazione allora fissa in una nuova dimensione spazio-temporale, modificandole, opere dalla durata limitata nello spazio e nel tempo, proprio al di là della presunta oggettività della camera.

Questo particolare procedimento è ancora più evidente nella pratica della Body Art, dove il video oltre a porsi come documentazione, secondo il modello di Schum, spesso assume la funzione di tramite diretto tra artista e pubblico. Ciò proprio per il carattere coinvolgente di queste opere, le quali si basano sulla immediata ed istintiva risposta che provoca nello spettatore la loro visione114.

La dimensione del coinvolgimento era stata già esplorata nelle azioni Fluxus e negli happening degli anni Sessanta che tendevano ad impostare un rapporto più diretto con il pubblico, come afferma Rauschemberg in una dichiarazione del 1968: "Ritengo che a teatro il pubblico dovrebbe assumere le stesse responsabilità degli attori. Vorrei che la gente tornasse a casa dal lavoro, si lavasse e andasse a teatro con lčintenzione di correre dei rischi"115. Ma a differenza di queste, più teatrali, espanse e aperte ad una dimensione sociale, le opere della Body Art rimangono per lo più circoscritte nellčambito delle gallerie.

Lčuso della registrazione nella Body Art ha inizio alla fine degli anni Sessanta, prima attraverso il medium del film e presto direttamente con il mezzo video. Saranno documentate le performance di Dennis Oppenheim, Vito Acconci, Gina Pane, Marina Abramovic, Bruce Nauman, Gilbert e George, Gino De Dominicis, Arnulf Rainer, Hermann Nitsch, Joan Jonas ed altri.

Calzante, per certi aspetti, appare la definizione, proposta da Rosalind Krauss116 nel 1976 per il particolare uso del mezzo elettronico nella Body Art, di video come estetica del narcisismo, in cui il dispositivo assume sovente la funzione di specchio del corpo dellčartista e della sua identità. Infatti scrive la Krauss: "Cosa significa dire ŒIl medium del video è il narcisismoč? [Š] Due sono gli aspetti del quotidiano uso del medium utili per una discussione sul video: la ricezione e la proiezione simultanea di un immagine; e la psiche umana usata come conduttore. Perché gran parte delle opere prodotte nel breve arco dellčesistenza della videoarte hanno usato il corpo umano come strumento centrale. Nel caso dei nastri è stato per lo più il corpo dellčartista. Nel caso delle videoinstallazioni è stato di solito il corpo dellčosservatore [Š] Diversamente dalle altre arti visuali, il video è capace di registrare e trasmettere nello stesso tempo, producendo un feedback istantaneo. Dunque è come se il corpo fosse posto in mezzo a due macchine che sono lčapertura e la chiusura di una parentesi. La prima è la telecamera; la seconda è il monitor, che proietta lčimmagine del performer con lčimmediatezza di uno specchio"117.

Usato allora dagli artisti in esperienze "comportamentali" e nella performance il sistema camera-monitor offre la possibilità di un rispecchiamento del sé come esperienza psichica, proponendo un dialogo serrato con lčidentità e il corpo, proprio in virtù della particolare capacità del mezzo di riprendere e ritrasmettere simultaneamente lčimmagine: "il soggetto si mediatizza in un altro se stesso"118.

Quindi se da un lato le azioni vengono concepite espressamente per essere registrate, dallčaltro la loro ripresa innesca un processo di modificazione delle relazioni abituali tra osservatore (non necessariamente spettatore) ed osservato (non necessariamente attore), fino ad esplorare le possibilità di uno sguardo autonomo del video.

Questa peculiarità dello specchio-video consente un processo di identificazione più profondo e analitico con se stesso e con "lčaltro", ma anche un diverso rapporto con lčosservatore che nella ricerca di una comunicazione diretta e primaria porta ad infrangere il tradizionale rapporto artista/pubblico, stabilendo così un approccio che avviene a livello personale, individuale, e a volte confidenziale.

Eč il caso di Vito Acconci che scrive: "Sto seduto qui guardando in uno specchio, non per guardarmi ma per vedere me stesso in relazione a quella persona specifica con cui sono stato coinvolto per un lungo tempo: guardo nello specchio come se fosse qui con me, come se guardassi proprio lei, come se le parlassi attraverso la folla: ricreo avvenimenti che abbiamo vissuto insieme: io vedo me stesso come mi ha visto lei, mi ascolto come mi ha ascoltato lei. Tu, il passante, devi stare là, fuori, in modo da certificare la mia posizione: una volta che tu hai visto come sono stato con lei, non sarò capace di negarlo, dovrò abituarmici"119.

Nel caso di Acconci, dunque, la telecamera assume il ruolo di un vero e proprio partner/complice, mentre lo spettatore diventa spesso una sorta di voyeur, attratto dallčartista in un mondo rappresentato, simulato, ma caratterizzato da una particolare intensità psicologica120.

Le caratteristiche del video, dellčimmagine televisiva, quali appunto lčimmediatezza, la confidenzialità, lčintimità, vengono quindi usate da Acconci per fini estetici (che poi sono anche politici), e cioè per esprimere il desiderio di cambiamento e ridefinizione sia del rapporto artista/spettatore che del mondo dellčarte in generale. Le scelte estetiche di Acconci allora non sono determinate dallčuso della telecamera, ma trovano nelle proprietà tecnologiche di questo mezzo un modo, una possibilità di realizzazione.

Germano Celant in Offmedia parla di "realismo ossessivo" a proposito dei lavori di Acconci e scrive: "Ossessionato dallčessere fedele al suo corpo e al territorio emotivo e umano che esso determina, Acconci usa il mezzo televisivo come complemento al suo io interiore ed esteriore. Eč la sua maschera pubblica e attraverso di essa egli può esprimere e mettere a nudo tutti i suoi segreti, corporali e mentali"121.

Diversamente, ma sempre sulla stessa linea analitica, si muove il lavoro di Bruce Nauman che usa la telecamera come uno strumento di autoanalisi, per indagare la propria immagine, la sua evidenza corporale e gestuale, giungendo fino a far coincidere la stessa immagine dellčartista e lčopera video: "Entrambi Nauman e video-tape recorder non rappresentano altro che sé stessi, trovano la loro concretezza e la loro fisicità, determinate dal singolo fare, e giungono ad espellere ogni Œassorbimentoč mentale e culturale"122.

Dunque lo spettatore si trova di fronte allčesecuzione di unčazione in cui i movimenti ossessivi e reiterati dellčartista vengono chiusi nello spazio dellčinquadratura, analizzati e riproposti dallo schermo video senza alcuno effetto spettacolare. Come scrive ancora Celant: "Con lo stabilire una sequenza meccanicamente controllata e ripetuta, Nauman attesta una volta di più che il suo lavoro, lungi dal risolversi nel banale proseguimento di unčespressione individuale, si articola in un procedimento razionale tendente a rendere intelleggibile il fenomeno del soggetto-artista-corpo. La comunicazione corporale non sarà allora lasciata semplicemente accadere, ma verrà assunta e (tele)trasmessa volontariamente, in maniera tale che il padroneggiamento del funzionamento del corpo si unisca alla consapevolezza del corpo quale emittente informazionale"123.

Come si sottolinea in Per una classificazione del video dčartista124, nella casistica riguardante il "videotape personale e autoanalitico", che ha avuto una grande diffusione proprio nellčambito della Body Art e della performance, tra i temi dominanti si ritrovano lčesplorazione corporea, come "ingrandimento=geografia immaginaria", il gioco dčidentità, quale raddoppiamento, deformazione o sparizione del sé, e il monologo per immagini. Tutti questi temi sono ravvisabili negli autori sopra descritti, ma anche in autori quali ad esempio Joan Jonas, soprattutto per lčanalisi della propria immagine, o Antonio Muntadas, nellčesplorazione della geografia corporea, a questčultima accostabile anche il lavoro più estremo di Arnulf Rainer o quello più geometrizzante di Frederike Pezold125.

Si fa strada così lčesigenza di trovare, ed esplorare, un mezzo che per le sue caratteristiche specifiche si presti al fissaggio della forma artistica del linguaggio corporeo e della performance. Il video si pone allora come strumento ideale, in grado, fino a un certo punto, di eliminare quello scarto presente nella fotografia, la quale "contiene sempre una separazione temporale e una variazione materiale che equivalgono a una variazione del grado di realtà"126.

Inizialmente connotato da unčaura di presunta oggettività, il video si è comunque progressivamente slegato dal suo statuto di "pura documentazione", anche in virtù di una maggiore esplorazione delle caratteristiche linguistiche del mezzo, per diventare un elemento costitutivo delle opere stesse.

Come afferma Daniela Palazzoli in un saggio del 1977: "Molti artisti hanno usato la telecamera per "fare un ritratto" della loro arte, soprattutto quei protagonisti delle nuove tendenze Ż landartisti, bodyartisti, artisti sociologici ed ecologici Ż la cui opera sfugge a una concretizzazione oggettuale. Tuttavia ciò che si è verificato nel corso degli ultimi anni è che, mentre inizialmente le loro opere nascevano indipendentemente dal video e da esso venivano semplicemente fissate, poco per volta il video è divenuto costitutivo di queste opere"127.

E sempre a proposito dellčautonomia delle opere video, più recentemente, Silvia Bordini scrive: "Trasferendosi immediatamente sul nastro magnetico e scavalcando la dimensione emotiva della performance le azioni si oggettificano e si trasformano, acquisendo un nuovo tipo di visibilità, e i videotapes tendono a diventare opere autonome, in virtù del loro agire sul piano del linguaggio più ancora che sullčevento riprodotto"128.

In un clima in cui non è più lčoggetto artistico ad essere centrale ma lo svolgersi di un evento esistenziale, mediante la messa in gioco del processo dellčopera con la sua caratterizzante dimensione effimera e transitoria, le tracce visibili di questi eventi saranno memorizzate necessariamente attraverso la documentazione fotografica, cinematografica e infine video. In questo clima il video, grazie alle proprie caratteristiche specifiche, verrà dunque assunto come mezzo preferenziale per la documentazione "oggettiva" di tali eventi, fino a delinearsi come elemento in grado di determinare o suggerire esso stesso azioni appositamente pensate per la registrazione con la videocamera, e giungendo infine a configurarsi sempre più come opera dčarte autonoma che utilizza quindi le potenzialità proprie della sua natura elettronica129.

Di qui allčelaborazione, quindi, di un linguaggio autonomo del video, operando anche in modo spettacolare sulle immagini, modificate, alterate e ricostruite secondo una sensibilità ancora pittorica, il passo è breve130.

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Note

  • 70. A questo proposito gioca un ruolo importante anche la modificazione del campo sociale in cui opera l'artista e la convinzione che l'arte non possa sottrarsi ai processi di mutamento critico richiesti dalla società. Come scrive Fagone: "I grandi movimenti delle masse studentesche e della cultura radicale europea del 1968 trovano equivalenti ben precisi in molte sperimentazioni artistiche che cercano di aprire un campo sociale attivo per la operatività artistica. Nota Frank Popper "l'enfasi non è più nell'oggetto, ma nel drammatico confronto sulla condizione percettiva in cui lo spettatore ritrova se stesso"" (in L'immagine video, op. cit., 1990, p. 35).
  • 71. In questo contesto cominciano a delinearsi anche i primi sintomi di un approccio modernista al video tendente a provare la specificità di questo mezzo e, contemporaneamente, a procedere alla propria autodefinizione.
  • 72. L'immagine video, op. cit., 1990, p. 36.
  • 73. Dispositivi di Anne-Marie Duguet in Video imago, op. cit., 1993, p. 188.
  • 74. Germano Celant, Precronistoria 1966-1969, Centro Di, Firenze, 1970.
  • 75. Cfr. R. Morris, Notes on Sculpture, in Regards sur l'art américain des années soixante, a cura di C. Gintz, Ed. Territoires, Paris, 1979.
  • 76.Six Years: The dematerialization of the art object from 1966 to 1972, a cura di Lucy Lippard, Praeger Publisher, Washington, in M. G. Bicocchi, F. Salvadori (a cura di), Gli art/tapes dell'ASAC, catalogo della rassegna, Venezia, 1977, p. 6.
  • 77.Nella fattispecie è il "gesto" dell'autore sull'ambiente che viene ad assumere un'importanza primaria, allontanando così l'attenzione dall'oggetto come prodotto per riversarla sull'opera come processo. Quindi l'artista non impone più allo spettatore un tema prefissato, ma lo pone nella condizione di crearselo da sé, attraverso la sua fantasia e gli impulsi che riceve. Come tra l'altro anticipava Fontana già nel 1950 nello scritto Proposta di un regolamento del movimento spaziale, in Enrico Crispolti, Lucio Fontana. Catalogo generale, Electa, Milano, 1986.
  • 78.Dispositivi di Anne-Marie Duguet in Video imago, op. cit., 1993, p. 190.
  • 79. R. Morris, Notes on Sculpture, in Regards sur l'art américain des années soixante, a cura di C. Gintz, Ed. Territoires, Paris, 1979, p. 89, in Dispositivi, op. cit., 1993, p. 190.
  • 80.R. Morris, Notes on Sculpture, in Regards sur l'art américain des années soixante, a cura di C. Gintz, op. cit., 1979, p. 89, in Dispositivi, op. cit., 1993, p. 190.
  • 81. R. Morris, Notes on Sculpture, in Regards sur l'art américain des années soixante, a cura di C. Gintz, op. cit., 1979, p. 89, in Dispositivi, op. cit., 1993, p. 190.
  • 82.Dispositivi di Anne-Marie Duguet in Video imago, op. cit., 1993, p. 191.
  • 83. Cfr. C. Van Assche (a cura di), Vidéo et après. La collection vidéo du Musée National d'art moderne, Centre G. Pompidou, Parigi, 1992.
  • 84.Per quanto riguarda la videoinstallazione e i suoi sviluppi rimando agli studi approfonditi svolti da Vittorio Fagone in L'immagine video, op. cit., 1990, nel capitolo Tempo, materia, luce. Tra videosculture e videoinstallazioni; oppure, per uno studio della situazione degli anni Ottanta e seguente, alla sezione III dello stesso libro, Il fuoco e il neon. Arti visuali e ricerca video nella prospettiva degli anni novanta. Studi, cronache, note. Rimando inoltre al testo Video-installazioni di Dany Bloch, in Metamorfosi della visione, a cura di R. Albertini e S. Lischi, Ets, Pisa, 1988, p. 64.
  • 85.Opera realizzata da Frank Gillette e Ira Schneider per la mostra "TV as a creative medium" alla Howard Wise Gallery di New York nel 1969. Scrive F. Gillette in un'intervista del 1969: "Il progetto iniziale era di distribuire dei sistemi di videotape ritardati (delay) lungo la galleria, ma siccome ciò avrebbe interferito con altre mostre, il progetto fu messo da parte e fu introdotta la concezione murale con i meccanismi di ritardo su una sola parete"; e, sempre nella solita intervista, I. Schneider scrive: "Un sistema di feedback in diretta che permette ad uno spettatore che si trova nel suo ambiente di vedersi non solo ora nel tempo e nello spazio, ma anche 8 e 16 secondi fa, e questi sono in giustapposizione e in flusso. Inoltre egli vede immagini di trasmissioni standard che periodicamente si alternano alla sua immagine in diretta, ed anche due spettacoli programmati tipo collage, che vanno da una ripresa della terra dallo spazio, a mucche che pascolano, alla 57a Strada. In un certo senso, c'è una giustapposizione fra l'adesso della persona, l'individuo e altri elementi di informazione sull'Universo e sull'America [Š]" (in Radical Software, n. 1, 1970, p. 9, in AA. VV., L'altro video (incontro sul videotape), Quaderno informativo n. 44 della IX Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, Pesaro, 1973, p. 16).
  • 86. Per quanto riguarda la nozione di dispositivo, elemento centrale nella pratica e nella sperimentazione video a partire dalla fine degli anni sessanta, e le sua possibili applicazioni da parte di alcuni pionieri in questo campo, quali Bruce Nauman, Dan Graham, Peter Campus, Bill Viola, Michael Snow o Keith Sonnier, rimando al saggio di Anne-Marie Duguet, Dispositivi, in Video imago, op. cit., 1993, pp. 192-210.
  • 87. Radical Software, n. 1, 1970, p. 9, in L'altro video (incontro sul videotape),op. cit., 1973, p. 16.
  • 88. V. Fagone, Ascoltare le immagini, in "Immagine e pubblico", anno IX, n. 1, genn.-marz., 1991, p. 22.
  • 89.Sol LeWit, Paragraphs on Conceptual Art, in Gli art/tapes dell'ASAC, op. cit., 1977, p. 11.
  • 90. A questo proposito è inevitabile il rinvio al saggio di Walter Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (Einaudi, Torino, 1966), in cui le problematiche connesse alle nozioni di unicità, copia ed originale nell'opera d'arte contemporanea vengono anticipate ed affrontate con vivace spirito critico. Inoltre non si può fare a meno di ricordare ancora una volta l'apporto di Duchamp, del suo ready-made, e dei suoi propositi che tendevano a respingere la "retinalità" e la "fisicalità" della pittura.
  • 91.Joseph Kosuth, Art after Philosophy, in Studio International, ott., 1968.
  • 92.Dispositivi di Anne-Marie Duguet in Video imago, op. cit., 1993, p. 192.
  • 93.Gli art/tapes dell'ASAC, op. cit., 1977, p. 9.
  • 94.Cfr. Videoarte e arte. Tracce per una storia, op. cit., 1995, p. 50.
  • 95.Cfr.Gli art/tapes dell'ASAC, op. cit., 1977, pp. 8-11.
  • 96. Cfr. Gerry Schum, Introduzione alla mostra televisiva Land Art, in Cominciamenti, a cura di V. Valentini, De Luca, 1988, pp. 45-48.
  • 97.Gli art/tapes dell'ASAC, op. cit., 1977, p. 10.
  • 98.Gli art/tapes dell'ASAC, op. cit., 1977, p. 11.
  • 99.Cfr. Fernsehgalerie Gerry Schum in Cominciamenti, op. cit., 1988, pp. 31-60.
  • 100. Il film, trasferito in video, è trasmesso pubblicamente dalla rete Sender Freies Berlin (SFB) il 15 aprile 1969.
  • 101.E' interessante notare come questo avvenimento è stato accolto nell'ambiente artistico, ed un esempio ci è offerto da Calvesi che in un articolo dal titolo Complicità tra mezzo e messaggio, pubblicato sul "Corriere della Sera" del 23 marzo 1975, scrive: "Non a caso l'impiego del video da parte di artisti è coinciso con la comparsa della cosiddetta "Land Art"; e Land Art è il titolo del film che Gerry Schum trasmise alla televisione tedesca nel 1969 [Š] Travasato in video-nastri e trasmesso a ripetizione in settembre alla mostra "Prospect 69" di Düsseldorf, ne conservo ancora viva l'impressione di novità e l'intensità, che è probabilmente rimasta insuperata".
  • 102. Come afferma Walter De Maria in una conversazione telefonica con Dorine Mignot: "Ho usato la macchina da presa come uso la scultura, come una struttura, come un concetto minimale. Alla base, questo film è una scultura minimale" (in Cominciamenti, op. cit., 1988, p. 36).
  • 103.Videoarte e arte. Tracce per una storia, op. cit., 1995, p. 51.
  • 104. Introduzione alla mostra televisiva "Land Art" di Gerry Schum, in Cominciamenti, op. cit., 1988, pp. 45-46.
  • 105. La mostra comprende i lavori di Giovanni Anselmo, Joseph Beuys, Alighiero Boetti, Stanley Brouwn, Daniel Buren, Pierpaolo Calzolari, Gino De Dominicis, Gervan Elk, Hamish Fulton, Gilbert & George, Gary Kuehn, Mario Merz, Klaus Rinke, Ulrich Ruckriem, Reiner Ruthenbeck, Richard Serra, Keith Sonnier, Franz Erhard Walther, Lawrence Weiner, Gilberto Zorio.
  • 106. Offmedia, op. cit., 1977, p. 51.
  • 107.Dorine Mignot, Gerry Schum, un pioniere, in Cominciamenti, op. cit., 1988, p. 39.
  • 108.Dorine Mignot, Gerry Schum, un pioniere, in Cominciamenti, op. cit., 1988, p. 37.
  • 109.Gerry Schum, Introduzione alla mostra televisiva Identifications, in Cominciamenti, op. cit., 1988, p. 50.
  • 110.Schum in una lettera a Youngblood del 1969 spiega di cosa si tratta e scrive: "La prima cosa che desidero spiegare è il fatto che la galleria non è un vero spazio fisico. La galleria televisiva esiste solo in una serie di trasmissioni televisive; ciò significa che essa è più o meno un'istituzione mentale che esiste realmente solo nel momento della trasmissione televisiva. Non è il posto per mostrare oggetti artistici reali che si possono comprare e portare a casa. Una delle nostre idee è la comunicazione dell'arte invece del possesso dell'oggetto artistico [Š] In generale considero le mostre televisive della Fernesehgalerie come un genere specifico di evento artistico e non come una sua documentazione. Vi sono veramente pochi artisti oggi che a parer mio sono coscienti delle possibilità che potrebbero scaturire dalla cooperazione fra l'arte e il medium televisivo" (in Gerry Schum, La galleria, un'istituzione mentale, in Cominciamenti, op. cit., 1988, p. 54).
  • 111.Ursula Wevers, La Galleria Televisiva: l'idea e come è fallita, in Cominciamenti, op. cit., 1988, pp. 43-44.
  • 112.Mi riferisco in particolare alla galleria Art/tapes/22 di Firenze, attiva dal '74 al '76, o alle più fortunate e durature esperienze del Centro Video Arte di Ferrara o della Videoteca Giaccari a Varese, attiva ancora oggi con il nome di Museo Elettronico; tali esperienze, assieme all'attività sporadica di alcune gallerie, verranno trattate specificamente nel II capitolo di questo elaborato.
  • 113.Willoughby Sharp, Body works, in Gli Art/tapes dell'ASAC, op. cit., 1977, p. 18.
  • 114.La pratica della Body Art o "comportamento" si propone di assumere direttamente il corpo dell'artista come mezzo d'espressione, come luogo di comunicazione con il pubblico, come confine e limite del privato, agendo spesso sugli elementi della complicità o della repulsione. Per un maggiore approfondimento rimando al saggio di Lea Vergine Il Corpo Come Linguaggio, Gianpaolo Prearo Ed., Milano, 1974; oppure U. Kultermann, Vita e arte. La funzione degli intermedia, Görlich, Milano, 1972, in cui le esperienze "comportamentali" sono inserite in una contestualità propriamente "multimediale".
  • 115.Citato in Gli Art/tapes dell'ASAC, op. cit., 1977, p. 19.
  • 116.Cfr. R. Krauss, Video: The Aesthetics of Narcissism, in Video Culture. A Critical Investigation, a cura di J. Hanhardt, Visual Studies Workshop Press, New York, 1997.
  • 117R. Krauss, Video: The Aesthetics of Narcissism, "October", 1976, in Videoarte e arte. Tracce per una storia, op. cit., 1995, p. 73. Una tale interpretazione può comunque risultare limitante se applicata a tutta la produzione video dei primi anni '70 come sottolinea giustamente anche Marita Sturken: "La tendenza degli artisti a sistemare la camera e a recitare nello spazio davanti ad essa e a usare il monitor come uno specchio ha portato il critico d'arte Rosalind Krauss a etichettare il video come essenzialmente narcisistico. Osservò: "L'auto-incapsulamento - il corpo o la psiche come proprio ambiente - si può trovare da ogni parte nel corpus della videoarte". Tuttavia dire che un medium è categoricamente più intimo di un altro o che l'intimità è inerente al medium vuol dire privilegiare la concezione per cui la tecnologia si impone sull'estetica [Š] "L'intimità" evidenziata da vecchi lavori di artisti come Vito Acconci può anche essere letta nel contesto delle strategie usate a quel tempo per mutare il rapporto spettatore/artista, per sgretolare le nozioni di personale e privato, per ridefinire il ruolo dell'arte nella società" (Marita Sturken, Paradossi nell'evoluzione di un'arte: grandi speranze e come nasce una storia, in Video imago, op. cit., 1993, p. 161); critica nei confronti dell'interpretazione della Krauss è anche la posizione di Maureen Turim in La logica culturale del video, sempre in Video imago, op. cit., 1993, pp. 178-179.
  • 118.Videoarte e arte. Tracce per una storia, op. cit., 1995, p. 54.
  • 119.Vito Acconci, Air Time, in Il Corpo Come Linguaggio, op. cit., 1974, p. 40.
  • 120. Per un approfondimento della poetica di Vito Acconci e del suo rapporto con i mezzi audiovisivi rimando a Dissensi tra film video televisione, a cura di V. Valentini, Sellerio, Palermo, 1991, pp. 10-84, dove sono presenti anche una completa bibliografia e videografia.
  • 121.Offmedia, op. cit., 1977, p. 61.
  • 122.Offmedia, op. cit., 1977, p. 35.
  • 123.Offmedia, op. cit., 1977, p. 39.
  • 124. In Patalogo, n. 5-6, Ubulibri, Milano, 1983, pp. 301-306.
  • 125. Per quanto riguarda le nuove possibilità di autoritratto offerte dal video rimando al testo di Helmut Friedel, Video-Narciso: il nuovo autoritratto, in Metamorfosi della Visione, op. cit., 1988, pp. 158-164.
  • 126. Helmut Friedel, Video-Narciso: il nuovo autoritratto, in Metamorfosi della visione, op. cit., 1988, p. 161.
  • 127. D. Palazzoli, Fotografia, cinema e videotape: L'arte nell'età dei media, in L'arte moderna, Fabbri Ed., Milano, 1977, vol. XV, p. 224.
  • 128Videoarte e arte. Tracce per una storia, op. cit., 1995, p. 54.
  • 129.Va comunque sottolineato che esiste anche una motivazione economico-istituzionale che ha in parte determinato lo sviluppo della produzione propriamente videoartistica. La maggiore attenzione alle caratteristiche linguistiche del mezzo, e quindi alla sua progressiva definizione come forma d'arte, appunto nel suo carattere di manipolabilità dell'immmagine, è stata determinata, almeno in America, anche dalla politica dei finanziamenti della fondazione Rockefeller e del Nysca (New York State Council on the Arts) che a partire dalla metà degli anni Settanta saranno stanziati quasi esclusivamente per quei prodotti video tesi a sondare le potenzialità del mezzo in una direzione propriamente artistica.
  • 130. Naturalmente la realtà degli avvenimenti in gioco non è così perfettamente consequenziale (soprattutto in senso cronologico), e quindi al di là di una forzatura inevitabilmente storiografica e di comodo l'uso del video da parte degli artisti continuerà a muoversi illogicamente tra la documentazione di azioni, la ricerca percettiva, l'elaborazione di temi concettuali intorno alla dimensione dello spazio e del tempo, e l'esplorazione propriamente linguistica del mezzo.

 

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