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CARAVAGGIO: LA MORTE IN FACCIA

 

 Caravaggio tratta il tema della morte in alcune delle sue opere più famose. I protagonisti delle sue morti sono sempre molto realistici, tanto che quando sono personaggi biblici, spesso appaiono indegni di una rappresentazione sacra. Alcune delle opere più drammatiche ed efficaci della produzione caravaggesca riguardanti la tematica della morte sono la “Morte della Vergine”, la “Decollazione del Battista” e il “David con la testa di Golia”.

 

 

 

Morte della Vergine”, 1605-1606. 

Olio su tela, 369x245 cm. Parigi, Louvre.

  La scena raffigura la Madonna subito dopo la morte, mentre la Maddalena e gli Apostoli le si stringono attorno in lacrime. Il particolare che scandalizzò i contemporanei fu proprio la figura della Madonna, a modello della quale l’artista utilizzò, secondo la tradizione, il cadavere di una giovane prostituta affogata nel Tevere. Il corpo di Maria adagiato diagonalmente su una semplice panca di legno, appare già irrigidito dalla morte. Il ventre innaturalmente gonfio (comune per i morti per annegamento) assume qui anche il significato simbolico di perenne scrigno di grazia divina, allo stesso modo di come la giovinezza della Vergine, secondo alcune interpretazioni critiche, sta forse a rappresentare la volontà di rinnovamento del clero controriformista. La solenne e dolorosa figura di Maria colloca il dramma della sua morte in una dimensione quotidiana e umanissima. La giovane Maddalena che singhiozza in primo piano accasciata su una seggiola, così come gli Apostoli, ciascuno dei quali è colto nell’espressione più genuina del proprio dolore, non hanno nulla di diverso da coloro che, uomini e donne, sono ogni giorno provati dalla morte di una persona cara. In questa visione del dolore, Caravaggio, nonostante la sregolatezza della propria vita mostra una profonda religiosità. Egli, infatti, non ha la presunzione di elevare l’uomo a Dio, ma piuttosto, cerca di portare Dio fra gli uomini, secondo la lezione evangelica per la quale “gli ultimi saranno i primi e coloro che si umiliano saranno innalzati”.

L’ambientazione del dipinto è cupa e spoglia. Sul cadavere di Maria, la cui bellezza non è stata ancora intaccata dalla morte, pende un pesante drappo rosso, simbolo sinistro di sangue e violenza. La luce proviene dal retro, forse da un’alta finestra e percorre la tela obliquamente, sottraendo solo in parte i personaggi alle tenebre. Essa rappresenta anche il simbolo della grazia divina. E’ per questo che indugia significativamente sulle teste, rendendo drammaticamente evidenti le espressioni dei volti, mentre scivola veloce sui corpi, relegandoli volontariamente alla penombra. Il risultato che ne consegue è di straordinaria spettacolarità come se la scena si svolgesse su un palcoscenico. Il palcoscenico di Caravaggio non è però quello fittizio del teatro, ma quello realistico della vita sul quale si consuma in silenzio il dramma quotidiano della sofferenza umana.

 

 

 

  Decollazione del Battista”, 1608, 

Olio su tela, 361x520, La Valletta, St. John Museum

E’ l’opera centrale del soggiorno maltese di Caravaggio. Si tratta di una delle sue più  straordinarie creazioni e per molti costituisce, se per assurdo si dovesse operare una scelta in tal senso forse la numero uno di tutto il suo lavoro d’artista. E’ caratterizzata da un magico equilibrio di ogni componente e non è un caso che l’artista abbia reintrodotto un preciso riferimento ambientale posponendo ai personaggi la quinta del carcere, con la sua severa architettura cinquecentesca e la finestra dalla quale, vero colpo di genio, due personaggi assistono tacitamente alla scena: gli spettatori sono più risucchiati all’interno del quadro. Si tratta di un compendio finale della pittura caravaggesca. Ritornano figure note: la vecchia, la giovane, lo sguardo nudo, il personaggio nobilmente barbuto. I mezzi tecnici aderiscono alla voluta, pragmatica limitazione cui Caravaggio li adatta: ma fra questi toni smorzati, questa pittura oscura rimane un “ductus” grandioso del disegno cui l’artista non rinuncia, pur attraverso i tocchi luministici compendiari tipici delle opere tarde. Da questo equilibrio di assoluta classicità, che proietta l’avvenimento fuori di ogni contingenza, scaturisce una drammaticità asperrima, molto efficace. Caravaggio limita ogni manifestazione esteriormente eccessiva di sottolineatura sentimentale. Il pittore si è firmato nel sangue del Battista: “f (=fecit) michela...”: è il suggello impresso a quello che è forse il suo capolavoro assoluto.  

 

 

 

David con la testa di Golia”, 1610, 

Olio su tela, 125x100 cm, Roma, Galleria Borghese

  Sempre al tema della morte si rifà anche il “David” forse l’ultimo dipinto in assoluto realizzato da Caravaggio. Dal buio dello sfondo emerge con crudo risalto la figura adolescenziale di David che regge per i capelli la macabra testa del gigante Golia. L’espressione di quest’ultimo, i cui lineamenti congelati dalla morte, alludono con impressionante realismo a un probabile autoritratto, è angosciosa e inquietante. Gli occhi sbarrati guardano senza vedere, mentre la bocca semiaperta sembra aver voluto pronunciare l’ultimo grido. L’opera è caratterizzata da un uso violento e spregiudicato della luce e dell’ombra. L’istante della morte, ovvero       l’ultimo passaggio, viene più che mai ipervalorizzato, e fatto oggetto di un’angoscia ipnotizzata.