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Ipotesi Extraterrestre

La Grande Madre

Il teschio di cristallo

Il mistero delle RUNE

Glanstonbury: la leggendaria AVALON?

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Ipotesi Extraterrestre

Lecce, maggio 2000 Foto by FabianDimostrante sostenitore dell'Ipotesi Extraterrestre

E' il mese di luglio del 1993 e la notizia appare senza alcun clamore tra le pagine di cronaca della Gazzetta del Mezzogiorno, in un articolo di Gianni Rotondo. Un tecnico dell'ILVA in prepensionamento e la sua compagna, vengono trovati morti, in circostanze "misteriose", nella loro abitazione in agro di Villa Castelli, in provincia di Brindisi. Le vittime, due masse informi in avanzatissimo stato di putrefazione, vengono identificate come Giuseppe De Falco, tarantino e Rosa Gigante, francavillese. Ad avvisare le autorità competenti era stato, una settimana dopo il decesso, l'inquilino del piano terra della villetta nel cui primo piano da qualche anno abitava la coppia. Tutto fin qui da' l'impressione d'essere una comune vicenda di cronaca, se non fosse per alcuni particolari che seguono. Anzitutto De Falco era considerato un tipo strano, allevava rettili ed uccelli ed era un appassionato ufologo. La sua notorietà era dovuta alle sue convinte asserzioni circa il fatto di essere in contatto con abitanti di altri pianeti e spesso ripeteva allarmato che presto gli extraterrestri sarebbero venuti a prelevarlo: "Solo con loro sarò felice", diceva; si qualificava "inventore" e parapsicologo. La sua casa era piena di vasetti contenenti strani liquidi, due dei quali, vuoti, erano accanto ai corpi delle vittime. Che volessero stabilire un "contatto" ingerendo tali sostanze? Nessuno potè dirlo. Fatto sta che durante la perquisizione degli investigatori venne fuori un tesserino che confermava l'appartenenza di Giuseppe De Falco ad una non meglio precisata Polizia interplanetaria!!!

"Siamo di fronte ad un autentico giallo!", scrive l'autore dell'articolo. Può sembrare un racconto di fantascienza (il libro "I Guardiani del tempo" di Poul Anderson tratta proprio di polizia interplanetaria), eppure non lo è. Un caso di paranoia o di estremo fanatismo? In ogni caso troppa gente, in tutto il mondo, ha avuto a che fare con il fenomeno U.F.O. per poter parlare senz'altro di fantasie popolari. Numerosissime sono le persone "qualificate" (piloti di linea, scienziati, astronomi) che testimoniano come oggi, in alcune parti del mondo, siano nascosti veicoli spaziali alieni caduti sulla terra. Ad esempio, nel Nevada vi è una zona impenetrabile del deserto, denominata "Area 51", sorvegliata da militari armati e attraversarla equivale a rischiare la vita. Qualcuno, con prove alla mano, afferma che il Governo degli Stati Uniti vi sperimenti possibili applicazioni della tecnologia aliena in base a dischi volanti in suo possesso. Pochi forse sanno che il Fenomeno U.F.O. era già noto anche agli antichi romani. Gli antichi cronachisti menzionavano spesso nelle loro opere l'improvviso balenare di oggetti celesti (a seconda dell'epoca le apparizioni venivano interpretate come un presagio, un segno divino o altro); gli artisti le raffiguravano nelle loro opere. Un consistente numero di scienziati e scrittori ha dato vita, a tal proposito, alla cosiddetta IPOTESI EXTRATERRESTRE, una delle più popolari, nonché semplicistiche, spiegazioni per parecchi enigmi, specie archeologici, rimasti irrisolti. Su cosa si basa tale ipotesi? All'origine della civiltà umana vi sarebbero delle "visite" di un popolo alieno, proprio come sostengono le varie mitologie quando parlano di "Dei venuti dal Cielo". Gli extraterrestri avrebbero fornito ai terrestri le conoscenze necessarie per iniziare il loro lungo cammino verso la civiltà poi, compiuta la missione, gli alieni sarebbero tornati al loro mondo nella Galassia. Non è facile risalire a un inventore "ufficiale" dell'ipotesi extraterrestre: per anni, infatti, è stata relegata a riviste estremamente specializzate in Ufologia o a club interessati a cose misteriose. Tra i maggiori fautori di tale ipotesi, citiamo l'italiano Peter Kolosimo - Premio Bancarella 1969 -, i francesi Robert Charroux e Pauwels & Bergier, e soprattutto il tedesco Erich von Dæniken, autore di bestsellers mondiali.

Una delle domande più interessanti che l'ufologia tende a porci è questa: "E' possibile un contatto ufficiale con altri mondi?". Di certo, se dovessimo affidarci unicamente ai tradizionali sistemi di comunicazione, come le onde radio, potenti fasci di raggi laser o appositi apparecchi spaziali in cerca di forme intelligenti di vita, il lasso di tempo "minimo" intercorrente tra una nostra domanda e una "loro" risposta potrebbe essere di miliardi di anni, data l'enorme distanza. La nostra civiltà, si capisce, o la loro, potrebbe già essere scomparsa! E allora? La soluzione ce la da' lo studioso Rudy Rucker nel suo libro "La quarta dimensione." "Come potremo noi trasferirci in un altro universo? Passando attraverso un tunnel iperspaziale, un cosiddetto ponte di Einstein-Rosen (o "cunicolo di tarlo"). [...] Se una stella di grande massa o un buco nero distorcono abbastanza lo spazio, è possibile che si crei un ponte di Einstein-Rosen verso un altro universo." Considerazioni al limite della fantascienza, corroborate da calcoli tuttora discussi, hanno portato Kip Thorne del Caltech di Pasadena (l'istituto di tecnologia della California) a postulare la possibilità del salto indietro nel tempo. Attraverso un suddetto ponte di Einstein-Rosen nella struttura dello spazio-tempo, dovrebbe essere possibile tornare nello stesso luogo di partenza, qualche tempo prima di cui si è partiti. Un'operazione del genere, che per ora è soltanto un'acrobazia matematica, secondo Thorne e colleghi non sconvolgerebbe le usuali nozioni di causa ed effetto né interverrebbe sulla storia passata. "Tutto sta a trovare il cunicolo di tarlo giusto nella struttura dello spazio-tempo", afferma Lanfranco Belloni, articolista scientifico. "Per aprirsi un passaggio del genere e per tenerselo aperto per il ritorno, bisognerebbe disporre di una buona scorta di energia negativa. Un falso vuoto che si verrebbe a creare, caricato di energia negativa, potrebbe così dare origine ad un intero nuovo universo"!

 

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Tra gli sterminati libri sull'argomento, si consiglia:

Enigmi dal passato - E. von Dæniken - SugarCo Edizioni S.r.l. 1978

Ricordi dal futuro - E. von Dæniken - SugarCo Edizioni S.r.l. 1986

Angeli, dèi, astronavi - R. Pinotti - Oscar Mondadori 1991

Non è terrestre - P. Kolosimo - Mondadori 1991

La quarta dimensione - R. Rucker - Adelphi Edizioni S.p.A. 1994

LINKS

http://www.ufo.it/ufo1bis.htm

 

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La Grande Madre

La VENERE calcarea di WillendorfLa "Venere" di Willendorf, Austria (h 11 cm circa)

Quando i primi missionari cristiani scoprivano in Gallia un gruppo di Celti intenti a venerare una figura femminile nell'atto di dare alla luce un bambino, non tentavano neppure di modificare le loro concezioni religiose. Si limitavano a spiegare loro che, senza saperlo, erano già cristiani, e stavano adorando un'immagine della Madonna. Così facendo trasformavano l'idolo pagano in una rappresentazione crisiana. Naturalmente per giustificare la presenza di figurazioni mariane addirittura precedenti alla stessa nascita di Maria, i teologi arrivarono a coniare il termine "Prefigurazione della Vergine". Ma chi era quella figura materna venerata - con aspetti e nomi diversi - fin dai primordi dell'umanità? Se dovessimo necessariamente attribuire un'unica denominazione a Iside, a Ishtar, a Venere, ad Athena, a Gea, a Modron e a tutte le grandi e antiche divinità femminili, forse GRANDE MADRE sarebbe la scelta più appropriata. Tali divinità, anche se in modo differente, rappresentano generalmente la Dea Terra, l'onnipotente Madre di ogni essere vivente; sono il simbolo della natura nei suoi aspetti positivi - la fertilità, l'abbondanza dei raccolti - e negativi - le tempeste, la carestia. Per questo suo dualismo, molte antiche rappresentazioni della "Dea Madre" hanno il volto metà bianco e metà nero, da cui molto probabilmente derivano le celebri "Vergini Nere" come quella di Loreto o di Crotone, in Italia, secondo un processo operativo noto come sincretismo. Benché esistesse un numero davvero impressionante di luoghi di culto della Grande Madre nel nostro continente, questo non deve indurci a pensare che la società che deteneva tale culto, fosse di natura prettamente matriarcale. Sarebbe come affermare che gli archeologi del futuro, rinvenendo le nostre attuali e numerosissime immaginette votive o statue della Madonna, giudicasse come matriarcale la società di provenienza, conclusione di certo totalmente errata!

E' nel periodo dell'agricoltura primitiva che si trovano, in molte parti del mondo, figurine umane spesso in terracotta; esse sono diffuse certamente nel Neolitico antico del Vicino Oriente, dell'Europa sud-orientale (ma non in quella centrale e occidentale) e in Mesoamerica. Sebbene molti studiosi vi abbiano scorto una rappresentazione quasi universale della Grande Madre Terra, c'è chi respinge del tutto tale affermazione considerandola un'ipotesi molto improbabile. Uno di questi è Peter Ucko, che ha dimostrato ad esempio che la forma di moltissime figurine non si può neanche definire femminile con assoluta certezza. La sua posizione ci ricorda in ogni modo una cosa: Ogni società possedeva per la scultura proprie convenzioni, ognuna delle quali richiede competenze specialistiche per essere compresa e interpretata correttamente.

Nell'interessantissimo saggio La Dea Bianca (1948), una vera e propria grammatica del mito, Robert Graves identifica il culto primitivo per la Grande Madre con un culto antichissimo dedicato alla Luna (la Dea Bianca, appunto), a sua volta simbolo celeste della fertilità. Dei riti lunari, totalmente dimenticati già in tempi remoti, sarebbero rimaste alcune confuse tracce in tradizioni successive, tra cui il sinistro "Sabba" delle streghe.

 

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Tra gli sterminati libri sull'argomento, si consiglia:

Enigmi dal passato - E. von Daeniken - SugarCo Edizioni S.r.l. 1978

Le Grandi Madri - AA.VV. - Feltrinelli 1989

La Dea Bianca - R. Graves - Adelphi 1992

Archeologia - C. Renfrew; P. Bahn - Zanichelli 1995

LINKS

http://web.tiscalinet.it/archeonews/preistoria.html

http://www.archeologia.com/homefrm.htm

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Il teschio di cristallo

 

Il teschio di cristallo scoperto nel 1926Teschio in cristallo di rocca ritrovato nello Yucatàn (altezza e largh. 13 cm)

"Mio padre stava facendo degli scavi in America Centrale, nell'Honduras Britannico (l'attuale Belize). Scoprimmo le rovine di una civiltà Maya, che, secondo lui, avevano qualcosa a che vedere con Atlantide, per cui continuammo a scavare per sette anni. Poi, un giorno, tra le pietre, vidi qualcosa che scintillava. Era il mio diciassettesimo compleanno, e la cosa mi riempì di gioia." A parlare è una serafica vecchia signora, figlia adottiva di Frederick Albert "Mike" Mitchell-Hedges, un personaggio molto popolare negli anni Venti. Il suo nome è Anna Mitchell-Hedges e quell'oggetto scintillante da lei ritrovato, è uno dei reperti archeologici più misteriosi mai rinvenuti durante uno scavo: il Teschio di cristallo o del Destino, un cranio umano a grandezza naturale scolpito in un unico blocco di purissimo cristallo di rocca, lavorato con incredibile perizia e precisione. Un'antica leggenda Maya narra che al mondo esistono tredici teschi di cristallo che racchiudono misteriose informazioni sull'origine, gli scopi e il destino dell'umanità. Secondo quest'antica credenza un giorno, quando tutti i teschi saranno stati scoperti e riuniti, avranno di nuovo il potere di trasmettere agli uomini tutta la loro conoscenza, purché l'umanità sia sufficientemente evoluta e moralmente integra.

L'avventuriero e archeologo F. A. "Mike" Mitchell-Hedges fece nello Yuacatàn, terra dei Maya in America Centrale, un'importante scoperta: seguendo le indicazioni delle popolazioni indigene, individuò nella foresta quanto rimaneva di una grande città perduta chiamata Lubaantun, parola Maya che significa "città dalle pietre cadute". Le ricerche in questa zona archeologica richiesero varie spedizioni nel corso di anni diversi, ma Mike non si perse mai d'animo, spinto anche e soprattutto dal desiderio di ritrovare, tra le rovine di Lubaantun, l'Atlantide di platonica memoria. E se non era la tanto sognata Atlantide, la città che si svelò agli occhi dell'esploratore era comunque un maestoso complesso architettonico, con città fortificata, piramidi, terrazze, terrapieni, mura, case, camere sotterranee e un imponente magnifico anfiteatro della capacità di diecimila persone! Questa Lubaantun, città Maya fondata, secondo gli studiosi, poco dopo il 700 d.C., e che venne abbandonata meno di due secoli dopo.

Il teschio di cristallo ivi rinvenuto nel 1926 risalirebbe, secondo gli esperti del British Museum, alla civiltà azteca, datandone la dubbia origine al 1300/1400 dopo Cristo. Ma cosa ci faceva un manufatto azteco in una città Maya dislocata molte centinaia di chilometri più a sud? Non si sa neppure con quali strumenti il teschio fu costruito: è stata rilevata soltanto la possibile traccia di un acuminato scalpello. In tal caso, per costruirlo, sarebbero stati necessari almeno centocinquant'anni di lavoro ininterrotto! E inoltre i Maya non conoscevano il ferro. Sfregamento di sabbia? Ancora più probabile, per cui però sarebbero stati necessari almeno trecento anni per terminarlo! L'affascinante ed eclettico libro Il segreto dei teschi di cristallo di Jon Ropper ci spiega che, benché esistano altri teschi di cristallo simili in musei europei, nessuno pare fornire informazioni particolarmente interessanti utili a chiarirne la provenienza o l'utilità. Da dove deriva quindi tanto interesse sui particolari del ritrovamento del "Teschio del Destino"? Proprio dal fatto che nessun ricercatore sia in grado di affermare con certezza quando e da quale civiltà esso sia stato fabbricato. Qualunque sia la verità sull'autenticità di crani sinistri come questo, rimane per noi il fatto che si tratta di oggetti dotati di un fascino inquietante, e citando le parole di Simon Welfare e John Failey, si può affermare: "Il Teschio di Mitchell-Hedges esercita su chi lo osserva un potere maestoso e terrificante. Gli occhi prismatici e la mascella mobile stimolano facilmente l'immaginazione di ognuno a considerarlo un oggetto destinato ad atterrire gli animi di primitive popolazioni. Probabilmente veniva illuminato dal basso e, luccicando nella penombra di un tempio, profetizzava dalla sua bocca di cristallo. Anche se fosse relativamente moderno, come opera d'arte è indimenticabile ed è di una sinistra bellezza".

 

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Tra i numerosi libri sull'argomento, si consiglia:

The Crystal Skull - R. M. Garvin - Doublrday & Company !973

Crystal Skull - R. MacGregor - Ballentine Book 1991

Il segreto dei teschi di cristallo - J. Ropper - Edizioni Piemme 1998

LINKS

http://www.crystalskullsociety.org/

http://www.execpc.com/-vjentpr/

 

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Aggiornato il: ottobre 24, 2002.

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