Possiamo scorgere nella storia spirituale del Leopardi una lucida e continua tendenza alla demolizione delle speranze umane, che il poeta segue, ponendo in risalto inesorabilmente le varie ragioni che rendono infelice la condizione dell'uomo.

La vita gli appare avvolta dal mistero e dal dolore, che è l'unica certezza per l'uomo. Il piacere non esiste se non come pausa momentanea del male e un uscire dalla condizione di pena, mentre la vicenda umana gli appare come una inutile corsa verso il nulla, e la storia stessa è contrassegnata dal progressivo trionfo dell'infelicità.

La natura, vista da lui in un primo momento (fino al '23) come madre amorosa, gli appare in seguito come matrigna; essa, secondo il poeta, crea l'uomo ma non si preoccupa della sua felicità. L'unico conforto che può alleviare i mali della nostra esistenza è costituito  dalle cosiddette ILLUSIONI, alimentate dal mostro sentimento e dalla nostra fantasia. La prima causa dell'infelicità umana è la ragione, che dissolve le illusioni e pone l'uomo di fronte alla realtà. Da questa presa di coscienza derivano la delusione ed il tedio. A queste convinzioni il poeta arrivò gradualmente; esse sono infatti il frutto, oltre che della sua sensibilità, della sua stessa vicenda umana, tormentata da incomprensioni, delusioni, sventure.

Si riscontrano tre momenti nello sviluppo del pensiero leopardiano rappresentati dal pessimismo individuale, storico e cosmico.

Pertanto, a volte (soprattutto nella giovinezza) al poeta sembra che la sorte sia stata matrigna solo con lui, condannandolo all'infelicità nel fisico e nello spirito, alla solitudine ed all'incapacità di vivere come gli altri (mentre agli altri uomini sono concesse le gioie della vita, la giovinezza felice, gli affetti). E' questa la fase del pessimismo individuale.

Altre volte, invece, appaiono in lui quelle riflessioni sulla felicità dei primi uomini che si meravigliavano e gioivano per cose semplici e furono poi resi infelici dal progresso, chiaramente ispirate dalla lettura del Vico e di Rousseau, oltre che da meditazioni personali e negative in rapporto alla storia, nelle cui conquiste il poeta non crede. In ciò consiste il pessimismo storico.

Infine, a volte l'esame della condizione umana induce il poeta a concludere che a tutti è riservato lo stesso destino di dolore. A questa condizione si adeguano inoltre tutti gli elementi del creato (pessimismo cosmico).

 

Contro queste pessimistiche concezioni insorge il sentimento, esprimendosi per mezzo della poesia, che nel Leopardi appare come una continua rivolta contro le conclusioni della ragione. Essa è dettata dalle più profonde convinzioni ed esigenze del poeta, che è convinto della nobiltà dell'uomo, il quale non merita la sua infelicità, che è qualcosa di ingiusto e di assurdo. E' quindi, la sua, una rivolta, che, pur mostrando pessimismo e dolore, non genera a sua volta pessimismo. Come afferma De Sanctis, "questo uomo odia la vita e te la fa amare, dice che l'amore e la virtù sono illusioni, e te ne accende nell'anima un desiderio vivissimo".

Leopardi, infatti, celebra la giovinezza e la bellezza della natura e della vita, anche se con lo stato d'animo doloroso di colui che da tutto ciò si sente escluso. Il suo, comunque, è un pessimismo eroico e mai rassegnato. Egli reagisce perché ha in sé un'ansia religiosa che nessuna logica può distruggere e perché possiede una costante fiducia nella dignità umana. La sua energia si esprime nelle sue stesse parole "...e di più vi dico francamente che io non mi sottometto alla mia infelicità, né piego il collo al destino o vengo seco a patti come fanno gli altri uomini..."

La sua opera si traduce perciò anche in una esortazione a non cedere al fato, ad opporre all'universo assurdo l'intatta nobiltà dello spirito. Egli non tradusse però questa energia morale in azione, come il Foscolo, ma la realizzò nel continuo approfondimento del suo pensiero.